La pellicola della San Paolo Film fu girata negli anni cinquanta a Peschici e a Kàlena. Alle riprese partecipò l’intero paese.
Presso la Palazzina Multimediale della Biblioteca Provinciale “ La Magna Capitana “, durante la settimana santa sono stati proiettati cinque film che raccontano le vicende, la vita e la morte di Gesù Cristo: il Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli (1977); Il Messia di Roberto Rossellini (1975); il Vangelo secondo Matteo, regia di Pier Paolo Pasolini, (1964); L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese (1988) e La passione di Cristo di Mel Gibson (2004).
Un ciclo tematico sulla religiosità pasquale, selezionato dal direttore Franco Mercurio fra i 150 film sulla vita di Gesù realizzati in oltre un secolo di cinema.
È del 1897 il primo film sul tema: il fotografo parigino Léar dirige La passion du Christ. Si tratta di alcuni tableaux vivants allestiti in occasione della Pasqua. Sono passati appena due anni dalla nascita della macchina da presa. I fratelli Lumière si rendono conto del grande impatto sul pubblico del tema religioso: ecco nascere il cortometraggio Vues représentant la vie et la passion de Jesus-Christ (Vedute che rappresentano la vita e la passione di Gesù), ribattezzato Passion Lumière. Tredici episodi, dalla adorazione dei magi alla resurrezione, quasi statici, sull’esempio dei tableaux vivants teatrali. La supervisione alla regia di Hatot e Breteau è curata dal padre dei fratelli Lumiere, Antoine. La pellicola è lunga soltanto 230 metri . L’immaginario popolare trova in quei pochi spezzoni di celluloide la rappresentazione scenica di temi decisamente familiari.
Hollywood si butta a capofitto sul quel proficuo filone. Un‘attenzione mai venuta meno fino ai nostri giorni, confermata dal successo di tanti film sulla vita di Gesù, riproposti puntualmente in occasione della settimana santa.
Un radicale cambiamento nell’approccio ai temi della “passione” si registra con Il Vangelo secondo Matteo (1964): Pasolini ribalta canoni formali e stilistici, usando un linguaggio realistico in cui si fondono atmosfere arcaiche e riferimenti pittorici rinascimentali. Il tutto accompagnato da una colonna musicale a base di spiritual e blues. Subito criticato, il film guadagna credito col tempo. Un capolavoro, che oggi è possibile rivedere anche a Foggia grazie al restauro del Centro sperimentale di cinematografia.
Nella rassegna foggiana, avremmo volentieri inserito Il Figlio dell’Uomo (Ecce Homo), un film in bianco e nero di Virgilio Sabel della durata di 92 minuti, prodotto in Italia nel lontano 1954 e girato interamente a Peschici un anno prima. Nel cast degli interpreti, attori professionisti come Fiorella Mari, Eugenio Valenti, Franca Parisi, Jenny Magetti, Antonio Casale, recitano con gli attori dilettanti di Peschici, scelti dopo un provino: tra di essi spiccano Elio Del Duca (Pietro), Tommasina Vera, Raffaele Costante (Giuda), Gaetano Diana (Giuseppe) e Antonio Vigilante (Caifa).
La sinossi del film parte dalla Genesi per arrivare ai giorni della vita, della Passione e della Resurrezione di Gesù Cristo: dopo la caduta di Adamo ed Eva, Iddio promette un Redentore. La visita dell’Angelo alla Vergine Maria, sposa di Giuseppe, segna l’inizio del mistero dell’Incarnazione. Gesù, nato in una stalla di Betlemme, dopo trent’anni di vita anonima, inizia il suo ministero di redenzione e d’amore; attraverso la predicazione e i miracoli entusiasma il popolo. Catturato al Getsemani, viene condannato a morte ed ucciso sul Calvario. La resurrezione segna il trionfo di Gesù, che ascende al cielo per sedere alla destra del Padre.
Proponiamo, a chi vuole saperne di più sul “clima” del set garganico, uno stralcio di Pèschici come la Palestina , tratto dalla recensione di Domenico Ottaviano e Raffaele D’Amato, studenti del Liceo Scientifico di Pèschici, pubblicata sul Giornale interscolastico «Ottoetrenta», anno II, n. 2:
«Nel film – scrivono i ragazzi – sono visibili parti dell’antico paese; si riconoscono scene girate nell’antica Abbazia di Kàlena (l’Annunciazione e il Tribunale) o nella Chiesa della Madonna di Loreto (l’Ultima Cena), mentre le prediche fatte da Gesù Cristo (impersonato dall’attore professionista Eugenio Valenti) sono state ambientate sulla Torre di Monte Pucci, da dove è visibile la costa che va fino a Rodi Garganico. Insieme a pochi attori professionisti, Sabel ha utilizzato molte comparse di Pèschici. Altre persone del posto appaiono in ruoli secondari, come, ad esempio, i centurioni. La trama e la recitazione sono per l’epoca molto avanzate e propongono una realtà ancora sconosciuta di un piccolo villaggio di pescatori, che si cimentò per la prima volta nella recitazione di un film. Forse anche per questo, Il figlio dell’uomo ha suscitato nella popolazione grande interesse e disponibilità. Il film ha un grande valore documentale, perché mostra come era Pèschici cinquanta anni fa, nel suo incontaminato splendore, con le piccole casette a cupola di Via Kennedy e del Borgo di S. Nicola, con le rispettive grotte per gli asini e le bestie da latte, che rappresentano il profilo ormai perduto del nostro paese».
Don Alberione si era lanciato nel mondo della celluloide il 18 marzo 1938; fino ad allora aveva limitato il suo campo d’azione apostolica nella carta stampata. In quell’anno in Italia le sale cinematografiche erano 4049 e i cattolici ne gestivano quasi la metà. Le organizzazioni cattoliche non avevano ancora un proprio spazio in un ambito di importanza strategica come quello della produzione e distribuzione del film, limitandosi a interventi censori e moralistici sulla “nuova arte”, ormai divenuta un fenomeno di massa. La parola d’ordine di Don Alberione fu deporre le forbici della censura e prendere in mano la macchina da presa.
Negli anni del secondo dopoguerra, le 70 librerie delle Edizioni Paoline furono attrezzate per diventare luogo di distribuzione delle pellicole ma anche centri di consulenza, di assistenza tecnica e di irradiazione sul territorio della nuova proposta. Le riviste della Società San Paolo, soprattutto «Vita Pastorale», scatenarono una formidabile campagna di convincimento nelle parrocchie perché appoggiassero in modo concreto la nuova “via paolina” al cinema. Il 19 dicembre del 1947 venne costituita una nuova società, la Parva Film , che aveva tra i suoi scopi, oltre alla produzione, acquisto, vendita e sfruttamento dei film, anche quello di realizzare e gestire «stabilimenti per la produzione e riduzione di film da passo normale a passo ridotto». L’idea consisteva nell’acquisire dalle Case cinematografiche di produzione i diritti di riduzione a passo 16mm della pellicola originale a 35mm già sfruttata nei normali circuiti delle sale cinematografiche; per proporre al mercato uno strumento più duttile e snello rispetto alla pellicola in 35mm.
Nell’arco dell’anno 1948, la Parva Film , con un catalogo di 40 film, era già diventata leader del mercato; «Vita Pastorale» nel gennaio 1949 registrava che la società aveva approntato «il gruppo di film più numeroso, più buono moralmente ed artisticamente che esista in Italia… e l’organizzazione di noleggio più vasta, più comoda, più economica, più comprensiva».
La Parva Film specializzò l’ambito della sua produzione nel settore del cinema religioso. L’esperienza deludente nell’uso del colore suggerirono alla casa cinematografica (che nel 1952 adotta la ragione sociale Parva-San Paolo Film), di girare due film in bianco e nero: Il Figlio dell’Uomo (1953), che abbiamo qui analizzato, e Ho ritrovato mio figlio (1954), la storia di un dramma familiare. Entrambi furono distribuiti sia in 16 che in 35mm.
Fu in questo periodo che nacque la “scheda filmografica”, uno strumento indispensabile per la presentazione, soprattutto in sede di cineforum e di pubblico dibattito, dei film di una certa levatura artistica. La scheda, oltre a contenere tutti i dati tecnici della pellicola e il giudizio del Centro Cinematografico Cattolico, forniva chiavi di lettura a livello morale, estetico e di linguaggio cinematografico, necessari per una più profonda comprensione del film.
Presente oggi in tutti e cinque i cinque continenti, la Società San Paolo si serve di riviste, libri, cinema, radio, televisione, dischi, musicassette, compact disc, siti Internet e di ogni tecnologia comunicativa per cristianizzare le masse lontane dalla vita parrocchiale.
©2007 Teresa Maria Rauzino. L’articolo è stato pubblicato sul «Corriere del Mezzogiorno- Corriere della sera» del 5 aprile 2007 con il titolo Le immagini in bianconero del «Figlio dell’uomo», una memoria da riscoprire. Le foto tratte dall’album di Michelino Esposito e Rocco Tedeschi Peschici nella memoria. Immagini e ricordi dagli inizi del secolo agli anni ’70”, edizioni Stauros, 2004 e dal sito http://www.970ad.it