Ripubblicati in volume i réportage d’inizio Novecento, quando ci volevano sedici ore per raggiungere Vieste da Foggia. L’intuizione turistica del sindaco Spina, il “padre”della riviera marina
Autorevoli studiosi come l’abate Saint-Non, Gregorovius, Bertaux, Beltramelli, Douglas, Ungaretti, Miller, Green, Brandi, con le loro interessanti impressioni da “grand tour”, hanno fatto scoprire al mondo degli intellettuali, ma anche al grande pubblico che amava conoscere il mondo attraverso i resoconti di viaggio, l’essenza più intima ed inedita del Gargano, un territorio suggestivo per i suoi splendidi paesaggi ed il suo innato misticismo.
Ma come si viaggiava agli inizi del Novecento sulle strade brecciate dell’impervio Promontorio del Gargano non ancora toccato dal turismo di massa?
Ce lo raccontano due famosi giornalisti del tempo, Francesco Dell’Erba (di origini viestane, redattore del «Giornale d’Italia» e corrispondente, da Napoli, del «Corriere della sera») ed Antonio Beltramelli.
I loro réportage sono stati ripubblicati da Mimmo Aliota, del Centro Studi Cimaglia, in Vieste nel primo Novecento, edito da Litostampa, con gli auspici della Società di Storia Patria per la Puglia.
Pagine che ci proiettano nel periodo in cui il tratto stradale Viesti-Foggia si copriva dopo ben sedici ore di disagiatissimo viaggio.
In particolare, Dell’Erba, ne Lo Sperone d’Italia del 1906, lamenta le condizioni della strada provinciale per Apricena, «bianca ed interminabile, piena di svolte difficilissime, di faticose salite e di discese precipitose».
Un viaggio veramente snervante, effettuato in diligenza, «grossa gabbia sgangherata», cigolante e stridente «come un’anima in pena». Il passeggero, soggetto ai rigori del freddo invernale o al caldo estivo, cui si aggiungeva il ronzare incessante e fastidioso di mosche pungenti, veniva sovente sbalzato violentemente all’interno della vettura. Finiva col «baciare il compagno di viaggio seduto di fronte».
Quando dirimpetto c’era una signora, il povero viaggiatore, per evitare questo “scabroso” contatto si sentiva obbligato a tenere le ginocchia strette al petto, e a soffrire -conclude dell’Erba – pene degne della Santa Inquisizione.
Ogni tanto i viaggiatori erano costretti a scendere e a fare larghi tratti a piedi, «o perché un uragano ha rotto un ponte o perché la strada è franata o perché è troppo ripida la salita».
L’arrivo a Vieste veniva salutato ogni volta come un grande evento, specie se a scendere dalla diligenza era un forestiero. Intorno a lui si intrecciavano le più ardite supposizioni, come se fosse un essere fantastico e favoloso, venuto misteriosamente chissà da quale paese lontano.
La testimonianza di Dell’Erba focalizza un problema oggi solo parzialmente risolto: il sottosviluppo dell’area, dovuto anche alle condizioni proibitive della viabilità: «È per la mancanza quasi assoluta di strade che il Gargano è rimasto da parecchi secoli indietro nei progressi della civiltà.
Esso è sconosciuto in gran parte agli abitanti della provincia stessa, quasi stranieri gli uni agli altri, conoscendosi male, ignorando i reciproci bisogni, non tendono mai ad un’azione comune e al raggiungimento di un fine unico».
Anche il Beltramelli, che nel 1907 al promontorio dedicò un frizzante réportage, espresse riflessioni analoghe: «Le diligenze del Gargano sono tutto ciò che di più antico, di più incomodo e di più indecente si possa immaginare.
Veicoli sconquassati, cigolanti, pericolanti, che sobbalzano quasi per acuta doglia ad ogni minimo ciottolino, che traballano su l’orlo di frequentissimi precipizi, compiacendosi, nella loro antica esperienza, dello spavento dei viaggiatori nuovi; che dondolano, ondeggiano, beccheggiano in guisa sconosciuta, procurando a qualche creatura di stomaco debole un perfetto mal di mare.
Queste sono le dolcezze a cui deve sottoporsi colui che abbia in animo di visitare una fra le più belle regioni d’Italia. Perché il Gargano è sì un luogo di incanti e di meraviglie, una delle più belle regioni d’Italia, ma è anche fra le regioni più dimenticate del nostro bel Regno».
Eppure qualcuno, nativo del luogo, già a quel tempo intuì che anche il paese meno raggiungibile del Promontorio (Viesti era denominata «La Speduta») avrebbe potuto avere un futuro economico diverso, se soltanto si fosse ovviato al problema.
A crederci e a far di tutto per concretizzare questo sogno fu un sindaco: Domenicantonio Spina. La viabilità fu il punto di forza della sua azione amministrativa: egli si batterà per il porto commerciale, per la ferrovia circumgarganica e per l’apertura della strada Viesti-Mattinata, molto più agevole di quella per Apricena.
Un personaggio davvero fuori dell’ordinario, questo retto ed intransigente amministratore della cosa pubblica, che smaschera anche “in alto loco” chi rema contro provvedimenti a suo dire “meritori”, opere pubbliche “inderogabili” per la modernizzazione di una cittadina di 9.000 abitanti come Vieste, ancora lontana dall’attivismo della belle époque giolittiana.
Questo sindaco non vuol assolutamente sentir parlare di interessi personali. Fa una cosa eccezionale, se consideriamo i molteplici incarichi degli amministratori comunali di oggi: per attendere degnamente ai suoi impegni pubblici, chiude la sua farmacia per ben dieci anni e mezzo, l’intero periodo del suo mandato amministrativo: dal 16 gennaio 1899 al 31 luglio 1910.
Le spese per le innovazioni della città le finanzierà con “coraggiose” imposte sul patrimonio e sul lusso: tasserà i cavalli da sella e da tiro, l’impiego dei domestici, i generi superflui.
Il sindaco darà un vero e proprio scossone all’apatia delle precedenti amministrazioni, sistemando le strade principali e dotando Vieste degli edifici e dei servizi pubblici essenziali: il municipio, la scuola, la pescheria, il mattatoio, il cimitero, le piazze e i viali.
E i sindaci che verranno dopo di lui saranno “costretti” loro malgrado ad adeguarsi, andando contro gli interessi dello stesso ceto sociale cui appartengono. A Domenicantonio Spina va il merito di aver aiutato Vieste a muovere i primi passi sui sentieri del turismo.
Seppe “volare alto”, guardando al futuro, oltre che al presente. Già dal 1899 egli trasformò una riva squallida, con un muro a protezione dell’abitato, in un bellissimo viale alberato, che in seguito farà illuminare con lampioni elettrici.
La Riviera Marina di Vieste diventerà la mitica “passeggiata” dei primi villeggianti d’élite, nelle calde serate della “dolce vita” del Gargano Nord.
Oggi, nei romantici sognatori di una Vieste diversa, è rimasto il ricordo delle belle signore in abito lungo che nelle sere d’estate sfilavano per il Corso Fazzini, come se fosse una passerella di moda. Era il tempo in cui il turismo non aveva ancora assunto l’aspetto omologante e caotico di oggi.
NEGLI ANNI SESSANTA ENRICO MATTEI SCOPRÌ DALL’ALTO LA MERAVIGLIA DI PUGNOCHIUSO
In un mattino di sole dell’anno 1959, Enrico Mattei, mitico presidente dell’ENI, sorvolando con il suo aereo personale la costa viestana, rimase tanto affascinato dalla sua bellezza che indusse il pilota ad effettuare più di un passaggio. Quando giunse nei pressi di Pugnochiuso, Mattei esclamò:«Ma questo è il Paradiso!». Il suo Centro turistico sorse proprio qui, nei primi anni Sessanta, dando l’avvio al turismo garganico. E fu un evento rivoluzionario.
©2003 Teresa Maria Rauzino.
Articolo pubblicato il 6 giugno 2003 sulla pagina «Cultura» del «Corriere del Mezzogiorno», edizione pugliese del «Corriere della sera».
Le immagini sono tratte da Mimmo Aliota, Vieste nel primo Novecento, Foggia 2000.