In viaggio alla scoperta dei borghi più caratteristici di Puglia e Basilicata. Prima tappa nel promontorio garganico a Vico per scoprire le tipicità di una città che ha radici antiche e un patrimonio, non solo storico e naturalistico, ma anche enogastronomico.

CARTOLINE DA VICO DEL GARGANO
Vico del Gargano è uno dei “borghi più belli d’Italia”. Sito su una collina dell’entroterra del Gargano nord, a pochi chilometri dalla frazione di San Menaio-Calenella, e alle porte della Foresta Umbra (sempre più meta di escursionisti e appassionati di orienteering), gode di una posizione invidiabile all’interno del Parco nazionale del Gargano, di cui è parte integrante. Un paesaggio di faggi e di abeti e, lungo la costa, di macchia mediterranea con la pineta d’Aleppo (Marzini), una delle ultime autoctone nel panorama forestale nazionale.
L’attrazione
Consolidato è il settore turistico, grazie alle bellezze naturali delle spiagge di San Menaio e Calenella, ma Vico resta un paese agricolo. Gli estesi uliveti secolari e gli agrumeti (con le arance “durette” e “bionde” Igp), sono integrati dall’allevamento di bovini, suini, ovini e caprini.
Prodotti che si ritrovano nei piatti tipici: la paposcia, le orecchiette con le noci, l’insalata di arance, il “ruoto” di capretto e patate gratinate, la zuppa di pesce, le minestre con l’olio forte, i pancotti, i rinomati “sospiri” e “il gateau della sposa”, oltre ai dolcetti di pasta di mandorle.
La storia
La presenza dell’uomo è documentata sin dalla più remota antichità sul territorio vichese. Stazioni e siti paleolitici, neolitici, eneolitici sono presenti un po’ dappertutto, ma di maggiore interesse sono la necropoli paleocristiana di Montepucci e la zona archeologica di monte Tabor.
Secondo la tradizione, non suffragata da fonti certe, le origini di Vico risalgono al 970 ad opera dei conquistatori slavi, provenienti dall’Adriatico. Sueripolo, duce degli Schiavoni, che, al servizio di Ottone I, aveva scacciato i pirati Saraceni, fondò il primo nucleo di Peschici e Vico. Ufficialmente si parla di un “Castrum Vici” solo nel 1113, quando i Normanni lo inglobarono nel Ducato di Puglia e Calabria.
Le caratteristiche
Nel corso dei secoli si è strutturato un patrimonio artistico e architettonico con monumenti di sicuro interesse. Passeggiando tra le vie del centro storico ci si imbatte nel Castello Normanno-Svevo-Angioino, edificato dai Normanni nel 1167 e ampliato da Federico II nel 1240. Questi, nel 1234, aveva dato in dote alla terza moglie, Isabella d’Inghilterra, Vico e i paesi garganici compresi nell’Honor Montis Sancti Angeli.
Il Castello subì influenze stilistiche che testimoniano le varie dominazioni. Il nucleo più antico è chiuso agli angoli da torri quadrate. Quella di sud est, con l’originaria merlatura, culmina con un’elegante bifora, descritta da A. Haseloff «un capitello a foglie piatte e grossi bulbi obliqui». Un bastione circolare, la cosiddetta torre maestra, ricorda il periodo aragonese. E gli adattamenti per bocche di fuoco, accanto alle balestriere, ricordano l’assedio e il cannoneggiamento di Vico nel 1529, da parte degli spagnoli.
Oggi il Castello è uno dei simboli del borgo.
Gli altri luoghi
Altre testimonianze della storia di Vico del Gargano sono la cinta muraria con le caratteristiche torri a base circolare del 1292 erette per difesa contro le invasioni. Durante il periodo feudale, Vico fu possesso delle più importanti famiglie napoletane: i Caracciolo e gli Spinelli.
Elegante nella sua semplicità è il Palazzo della Bella, costruito all’inizio del Novecento da Ignazio della Bella. La sagoma della costruzione signorile, articolata da un unico corpo e una magnifica torre ornata da bifore sui lati e da merlature guelfe, introduce a Vico una parentesi
“fiorentina”: il progetto richiama il modello trecentesco di palazzo Vecchio, in stile neo-gotico.

Le chiese
Degne di nota sono le numerose chiese, tra cui la Matrice sotto il titolo della Beatissima Vergine Assunta. A tre navate, la chiesa è provvista di undici altari. Nella descrizione che ne fa l’arcivescovo Orsini nel 1678, erano ricordati l’altare di San Valentino, patrono di Vico già
da sessant’anni, e l’altare del Ss. Crocifisso sotto il patronato di D. Troiano Spinelli, marchese di Vico. Oggi la chiesa custodisce le tele dell’originalissima via Crucis di Alfredo Bortoluzzi, artista della Bauhaus e allievo di Klee e Kandinsky.
Nel centro storico, tappa obbligata è il Vicolo del Bacio. Largo non più di 50 centimetri e lungo poco meno di 30 metri, è luogo di incontro degli innamorati che, soprattutto in occasione della festa di San Valentino, si danno qui appuntamento.

Tra i luoghi di culto troviamo la chiesa del Purgatorio, un tempo Santa Maria del Suffragio, sede dell’Accademia degli Eccitati Viciensi. Espressione del nuovo pensiero illuminista, contribuì alla formazione di una nuova classe dirigente, più attenta alla qualità della vita. Fra i soci, Giacinto Mascis divenne sindaco di Vico e don Pietro de Finis nel 1792 fece costruire fuori le mura il cimitero di San Pietro, anticipando l’editto napoleonico di Saint Cloud (1804). De Finis già nel 1751 aveva aperto, a sue spese, una scuola per tutti. Suo discepolo fu padre Michelangelo Manicone (che lo ricorderà come il maestro suo di grammatica), naturalista, erudito, ricercatore, ecologista ante litteram e politico progressista.
L’incanto di Zavoli e l’albergo diffuso
La dedica poetica del noto giornalista e il progetto di recupero del centro storico di Gae Aulenti mai realizzato
Sergio Zavoli fu colpito dalla calorosa accoglienza e dall’ incantevole bellezza del borgo antico, tanto che nella sua raccolta di liriche “L’orlo delle cose” (Mondadori, 2004) dedicò dei versi a Vico del Gargano:
«Vico, nido chiaro d’altura,/ ora non hai più mura in cui sbiancare/ per l’arrivo del principe in amore,/ non splende più la calce/ sui fianchi del palazzo cui addossavi le case/ per scaldare gli amanti.// Ora i ragazzi in fila sui muretti di pietra/ l’uno all’altro si danno magre spalle/senza un brivido mai, un volto che si giri.// Vico, di guardia a valli disarmate,/un’aria incuriosita /mossa appena da ventagli di palme/arriva sui balconi dove un tempo/a gronde di geranio si tingeva/il tuo svevo pallore».
L’architetto e urbanista Tano Lisciandra, autore nel 2003 con Gae Aulenti di un progetto di “albergo diffuso” nel centro storico del paese, nel saggio “I muri e l’anima” dava, a riguardo, questi consigli ai Vichesi: «Per sopravvivere senza rinunciare a se stessi e per offrire ai turisti un’esperienza di soggiorno in un borgo antico ancora vivo, gli amministratori hanno pensato di dar vita ad un albergo diffuso: la hall, la reception e i servizi in un grande palazzo nobiliare, ora in disuso; le stanze, in un centinaio di abitazioni, sparse qua e là nel centro storico. Certo, le camere,
oltre che farle, bisogna anche riempirle. Di qui l’urgenza di restaurare gli edifici per le residenze alberghiere e, intorno a loro, tutto il centro storico. Di qui anche la necessità di riconvertire alla nuova mission l’intero paese e il suo territorio. Obiettivo non certo impossibile. Le risorse ambientali sono abbondanti. Le opportunità non mancano. Per valorizzare le une e cogliere le altre occorre però uno sforzo di rinnovamento culturale».
Il progetto non fu attuato.
Teresa Maria Rauzino
su “L’Edicola per l’Italia” 22 febbraio 2025
