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Microstorie

Sul Promontorio un omaggio alle “Funtanedde”

Cartoline da Ischitella

Ischitella

Dal centro abitato, la vista spazia dalle colline circostanti al lago di Varano, al mare Adriatico fino alle isole Tremiti. In alcune giornate particolarmente limpide si possono scorgere le coste del Molise, dell’Abruzzo e della Dalmazia. Siamo a Ischitella, un borgo di 4139 abitanti nel cuore del Parco Nazionale del Gargano.

Qui il territorio comunale è un inno all’acqua con numerose sorgenti cui è dedicata la nota canzone popolare “A vie de Funtanedde”.

Le Funtanedde

Alla Folicara (a Fulcare), la “faggeta depressa”, uno dei “popolamenti” considerati “relitti” di un’area più ampia occupata durante l’ultima glaciazione.  Particolari condizioni microclimatiche, come le “forre” (dove l’inversione termica mantiene temperature basse e alta umidità),  e la presenza  di venti umidi provenienti dal mare, creano un habitat favorevole a soli 200 metri, rispetto ai 1000 e 1700 metri sul livello del mare della faggete nell’Appennino.

Nelle dune dell’istmo di Varano prospera la macchia mediterranea. E poi sono gli estesi oliveti a dominare il paesaggio.

Le origini

La presenza umana risalirebbe al neolitico superiore (3000 a.C.), riscontrato da materiale litico finemente lavorato e ceramica rinvenuto presso le stazioni di Grotta Pippola, Monte Grande e il canale di Scarcafarina. Alla “Civita” o “Niuzi” troviamo (purtroppo nel più completo abbandono) i resti di necropoli risalenti al V-IV secolo a.C.

La tradizione, non suffragata da fonti certe, tramanda che a Ischitella  nel 970 si era accampato un gruppo di musulmani che  facevano scorrerie sui paesi limitrofi, poi cacciati da mercenari slavi al soldo dell’imperatore Ottone I. Successivamente troviamo il nome di Ischitella citato in una bolla di Papa Stefano IX del 1058, che, accordando la sua protezione  all’Abbazia di Càlena (Peschici), vi includeva come pertinenza la cella ischitellana di San Pietro in Cuppis. In un documento svevo, risalente al 1225, viene attribuito a Ischitella il nome di “Castrum”.

Il borgo si divide oggi in due parti: la medievale “Terra” e l’ottocentesca “Ponte”.

Le porte d’entrata per il centro storico hanno un’origine antica quanto il paese stesso. La Portella si trova nei pressi del Giro Esterno, mentre la Porta Grande è presente nella Via Sotto le Mura. Una terza porta fu demolita nell’ottocento per collegare il centro storico al nuovo abitato.

Nel 1646 Ischitella subì vari crolli durante il disastroso terremoto del Gargano, che qui causò 86 vittime.

Il Palazzo  e il Casino di caccia dei Principi Pinto 

Il palazzo Pinto (oggi Ventrella) sorto sui ruderi dell’antico castello del XII secolo, crollato per il sisma, fu ricostruito dal principe Francesco Emanuele Pinto nel 1714. Danneggiato da un incendio nel 1804,  presenta aggiunte che, in parte, alterano la linea settecentesca. L’interno, in gran parte ristrutturato dalla famiglia Ventrella, conserva grandiosi saloni con i soffitti finemente decorati e arredi d’epoca. Essendo di proprietà privata, purtroppo non è  visitabile. In località Niuzi, il Casino di Caccia vanvitelliano dei principi Pinto è stato trasformato dai Ventrella in una “dimora di charme”.

Palazzo Pinto (oggi Ventrella)
Casino di caccia dei Principi Pinto (oggi Ventrella) in località Niuzi (agro di Ischitella)

Le chiese

L’ex convento di San Francesco nasce come piccola cappella donata al santo (in pellegrinaggio sul Gargano), da Matteo Gentile, feudatario di Ischitella. Dalla visita di san Francesco trae origine la leggenda del “Cipresso” miracolosamente germogliato dal bastone che il santo piantò a terra quando si inginocchiò sul sagrato per pregare.

L’abbazia  di San Pietro in Cuppis, che  risale all’XI secolo, è purtroppo “sgarrupata”. Presenta particolarità architettoniche rare.

La chiesa di Sant’Eustachio,  eretta nel ‘700 dai Pinto come cappella privata,  conserva preziose tele del Settecento napoletano e un raro “Bambinello” donato dal principe Francesco Emanuele Pinto, noto per i grandiosi presepi che allestiva nel suo palazzo napoletano sulla riviera di Chiaia. 

Chiesa di sant’Eustachio, un tempo Chiesa di San Michele

La chiesa della SS.ma Annunziata (nota come  Crocefisso di Varano), costruita sulle rive del lago di Varano nel X secolo e ampliata nel XVI, sorge sul sito della  medioevale Bayranum, spopolata nel 1500 e oggi scomparsa. Cosa resta? Un rudere della cinta muraria, oltre alla Torre piccola  e alla Torre grande (Torre Sanzone),  in località Foce Varano, oggi purtroppo cadenti, che rappresentano le torri costiere più antiche del Gargano. Hanno la struttura architettonica arcaica a base cilindrica e merli a coda di rondine rari nelle Torri pugliesi a base quadrangolare. Costituivano il sistema difensivo durante il vicereame spagnolo nel Regno di Napoli. Furono probabilmente edificate tra il 1269 e il 1270 da Riccardo di Lauro per conto di Carlo I d’Angiò.  Un patrimonio architettonico che meriterebbe di essere restaurato e valorizzato.

A TAVOLA

Specialità gastronomiche e la “Cruedda”

Un aroma intenso aleggia nel  borgo antico di Ischitella durante il periodo pasquale, quando per tradizione si prepara il “Cavicione” (Calzone), secondo un’antica ricetta quaresimale contadina, farcito con cipollotti sponsali, uvetta e acciughe. Il risultato è un ricco sapore agrodolce … Attenzione però a non chiamarlo dolce o pizza, gli Ischitellani tengono a precisare che è il “loro cavicione”.

Le tipicità

Il croccante è un dolce di mandorle tritate e zucchero, mescolati e cotti a fuoco lento fino a ottenere un composto omogeneo, da compattare a forma di cestino, vassoio o piatto, e ornare con i  “fruttini” di pasta di mandorle.

Un simbolo dell’artigianato locale è la “Cruedda“, cesto o cestina di paglia lavorata a mano e decorata con fili colorati. La paglia di grano della varietà Bianchetta, legata insieme da filo di lino e da giunco, è decorata con  ritagli di stoffa colorata, una sorta di stemma dei poveri per identificare le cruedde.  

Il Tempo

Esse  scandivano i ritmi delle giornate come il ritrovo delle lavandaie al ruscello o il trasporto del pane al forno; ciò imponeva che fossero immediatamente riconoscibili dai proprietari. La Cruedda veniva utilizzata per contenere di tutto: pasta fresca fatta a mano, pane, frutta, panni da lavare,  corredo nuziale, paramenti sacri delle chiese. Oggi la Cruedda è stata riportata in auge dall’Associazione omonima ed è un souvenir molto apprezzato dai visitatori.

Cruedde

IL PERSONAGGIO

Pietro Giannone dall’eresia al premio letterario della città

In un ideale percorso del “Gargano segreto”, il luogo della memoria ritrovato è la piccola Ischitella del tempo in cui Pietro Giannone vi nacque, nel 1676, da “buoni e onesti parenti”. Ad Ischitella visse per ben diciotto anni, ma le dedicò soltanto poche righe nella “Vita, scritta da lui medesimo”. Da Napoli, dove si era laureato in Legge e svolgeva attività forense, Giannone segnò la storiografia europea: smascherò il potere religioso, mostrando la sua invasività in quindici lunghi secoli di potere. 

La vicenda

Per questo suo imperdonabile “peccato”, fu imprigionato e lasciato morire nelle fredde carceri sabaude, in un lontano giorno del 1748, dopo aver segnato il ristabilimento, nella Storia, delle “regole del gioco”. La sua “historia” tutta civile, senza strepiti di battaglie, tutta nuova, di documentazione che sostiene una visione laica,  fu espressione dei ceti più avanzati del suo tempo. Il clima culturale della Napoli del 1714-48 espresse una vivacità intellettuale fra le più forti a livello europeo.  Giannone ne fu il capofila. Dalla sua analisi emergerà la tesi giurisdizionalista che farà scoppiare la grande contraddizione della Chiesa/Istituzione, “potere umano non legittimato né da Dio né dagli uomini, e che gestiva i 4/5 del reddito dello Stato”.

Ischitella: Monumento dedicato a Pietro Giannone in piazza de Vera d’Aragona

A Giannone oggi è dedicato il Premio Letterario nazionale di poesia “Città di Ischitella-Pietro Giannone” per una raccolta inedita di liriche nei dialetti d’Italia e lingue minoritarie, giunto alla XXII edizione.  Il concorso, organizzato dal Comune di Ischitella e dall’associazione “Periferie”,  a fine estate attira cultori del dialetto da tutta Italia.

Teresa Maria Rauzino

su “L’Edicola per l’Italia” 9 marzo 2025

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Microstorie

Nel paese degli innamorati dove trionfa la paposcia

In viaggio alla scoperta dei borghi più caratteristici di Puglia e Basilicata. Prima tappa nel promontorio garganico a Vico per scoprire le tipicità di una città che ha radici antiche e un patrimonio, non solo storico e naturalistico, ma anche enogastronomico.

CARTOLINE DA VICO DEL GARGANO

Vico del Gargano è uno dei “borghi più belli d’Italia”. Sito su una collina dell’entroterra del Gargano nord, a pochi chilometri dalla frazione di San Menaio-Calenella, e alle porte della Foresta Umbra (sempre più meta di escursionisti e appassionati di orienteering), gode di una posizione invidiabile all’interno del Parco nazionale del Gargano, di cui è parte integrante. Un paesaggio di faggi e di abeti e, lungo la costa, di macchia mediterranea con la pineta d’Aleppo (Marzini), una delle ultime autoctone nel panorama forestale nazionale.


L’attrazione
Consolidato è il settore turistico, grazie alle bellezze naturali delle spiagge di San Menaio e Calenella, ma Vico resta un paese agricolo. Gli estesi uliveti secolari e gli agrumeti (con le arance “durette” e “bionde” Igp), sono integrati dall’allevamento di bovini, suini, ovini e caprini.
Prodotti che si ritrovano nei piatti tipici: la paposcia, le orecchiette con le noci, l’insalata di arance, il “ruoto” di capretto e patate gratinate, la zuppa di pesce, le minestre con l’olio forte, i pancotti, i rinomati “sospiri” e “il gateau della sposa”, oltre ai dolcetti di pasta di mandorle.


La storia

La presenza dell’uomo è documentata sin dalla più remota antichità sul territorio vichese. Stazioni e siti paleolitici, neolitici, eneolitici sono presenti un po’ dappertutto, ma di maggiore interesse sono la necropoli paleocristiana di Montepucci e la zona archeologica di monte Tabor.
Secondo la tradizione, non suffragata da fonti certe, le origini di Vico risalgono al 970 ad opera dei conquistatori slavi, provenienti dall’Adriatico. Sueripolo, duce degli Schiavoni, che, al servizio di Ottone I, aveva scacciato i pirati Saraceni, fondò il primo nucleo di Peschici e Vico. Ufficialmente si parla di un “Castrum Vici” solo nel 1113, quando i Normanni lo inglobarono nel Ducato di Puglia e Calabria.


Le caratteristiche
Nel corso dei secoli si è strutturato un patrimonio artistico e architettonico con monumenti di sicuro interesse. Passeggiando tra le vie del centro storico ci si imbatte nel Castello Normanno-Svevo-Angioino, edificato dai Normanni nel 1167 e ampliato da Federico II nel 1240. Questi, nel 1234, aveva dato in dote alla terza moglie, Isabella d’Inghilterra, Vico e i paesi garganici compresi nell’Honor Montis Sancti Angeli.
Il Castello subì influenze stilistiche che testimoniano le varie dominazioni. Il nucleo più antico è chiuso agli angoli da torri quadrate. Quella di sud est, con l’originaria merlatura, culmina con un’elegante bifora, descritta da A. Haseloff «un capitello a foglie piatte e grossi bulbi obliqui». Un bastione circolare, la cosiddetta torre maestra, ricorda il periodo aragonese. E gli adattamenti per bocche di fuoco, accanto alle balestriere, ricordano l’assedio e il cannoneggiamento di Vico nel 1529, da parte degli spagnoli.
Oggi il Castello è uno dei simboli del borgo.


Gli altri luoghi
Altre testimonianze della storia di Vico del Gargano sono la cinta muraria con le caratteristiche torri a base circolare del 1292 erette per difesa contro le invasioni. Durante il periodo feudale, Vico fu possesso delle più importanti famiglie napoletane: i Caracciolo e gli Spinelli.
Elegante nella sua semplicità è il Palazzo della Bella, costruito all’inizio del Novecento da Ignazio della Bella. La sagoma della costruzione signorile, articolata da un unico corpo e una magnifica torre ornata da bifore sui lati e da merlature guelfe, introduce a Vico una parentesi
“fiorentina”: il progetto richiama il modello trecentesco di palazzo Vecchio, in stile neo-gotico.


Le chiese
Degne di nota sono le numerose chiese, tra cui la Matrice sotto il titolo della Beatissima Vergine Assunta. A tre navate, la chiesa è provvista di undici altari. Nella descrizione che ne fa l’arcivescovo Orsini nel 1678, erano ricordati l’altare di San Valentino, patrono di Vico già
da sessant’anni, e l’altare del Ss. Crocifisso sotto il patronato di D. Troiano Spinelli, marchese di Vico. Oggi la chiesa custodisce le tele dell’originalissima via Crucis di Alfredo Bortoluzzi, artista della Bauhaus e allievo di Klee e Kandinsky.
Nel centro storico, tappa obbligata è il Vicolo del Bacio. Largo non più di 50 centimetri e lungo poco meno di 30 metri, è luogo di incontro degli innamorati che, soprattutto in occasione della festa di San Valentino, si danno qui appuntamento.

Vico del Gargano, Foggia, Puglia

Tra i luoghi di culto troviamo la chiesa del Purgatorio, un tempo Santa Maria del Suffragio, sede dell’Accademia degli Eccitati Viciensi. Espressione del nuovo pensiero illuminista, contribuì alla formazione di una nuova classe dirigente, più attenta alla qualità della vita. Fra i soci, Giacinto Mascis divenne sindaco di Vico e don Pietro de Finis nel 1792 fece costruire fuori le mura il cimitero di San Pietro, anticipando l’editto napoleonico di Saint Cloud (1804). De Finis già nel 1751 aveva aperto, a sue spese, una scuola per tutti. Suo discepolo fu padre Michelangelo Manicone (che lo ricorderà come il maestro suo di grammatica), naturalista, erudito, ricercatore, ecologista ante litteram e politico progressista.

L’incanto di Zavoli e l’albergo diffuso
La dedica poetica del noto giornalista e il progetto di recupero del centro storico di Gae Aulenti mai realizzato

Sergio Zavoli fu colpito dalla calorosa accoglienza e dall’ incantevole bellezza del borgo antico, tanto che nella sua raccolta di liriche “L’orlo delle cose” (Mondadori, 2004) dedicò dei versi a Vico del Gargano:
«Vico, nido chiaro d’altura,/ ora non hai più mura in cui sbiancare/ per l’arrivo del principe in amore,/ non splende più la calce/ sui fianchi del palazzo cui addossavi le case/ per scaldare gli amanti.// Ora i ragazzi in fila sui muretti di pietra/ l’uno all’altro si danno magre spalle/senza un brivido mai, un volto che si giri.// Vico, di guardia a valli disarmate,/un’aria incuriosita /mossa appena da ventagli di palme/arriva sui balconi dove un tempo/a gronde di geranio si tingeva/il tuo svevo pallore».

L’architetto e urbanista Tano Lisciandra, autore nel 2003 con Gae Aulenti di un progetto di “albergo diffuso” nel centro storico del paese, nel saggio “I muri e l’anima” dava, a riguardo, questi consigli ai Vichesi: «Per sopravvivere senza rinunciare a se stessi e per offrire ai turisti un’esperienza di soggiorno in un borgo antico ancora vivo, gli amministratori hanno pensato di dar vita ad un albergo diffuso: la hall, la reception e i servizi in un grande palazzo nobiliare, ora in disuso; le stanze, in un centinaio di abitazioni, sparse qua e là nel centro storico. Certo, le camere,
oltre che farle, bisogna anche riempirle. Di qui l’urgenza di restaurare gli edifici per le residenze alberghiere e, intorno a loro, tutto il centro storico. Di qui anche la necessità di riconvertire alla nuova mission l’intero paese e il suo territorio. Obiettivo non certo impossibile. Le risorse ambientali sono abbondanti. Le opportunità non mancano. Per valorizzare le une e cogliere le altre occorre però uno sforzo di rinnovamento culturale».
Il progetto non fu attuato.

Teresa Maria Rauzino

su “L’Edicola per l’Italia” 22 febbraio 2025