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Microstorie

Il Gargano del 1943

 

Lo “Sperone d’Italia”, documentario turistico di dieci minuti visibile in rete, si rivela una fonte preziosa di informazioni sul recente passato: paesaggio e cultura materiale


Luciano De Feo, fondatore dell’Istituto Luce, nel lontano 1924 capì che le immagini in movimento potevano assolvere, come mai era accaduto prima, a fini educativi. Ma le riprese filmate sarebbero state determinanti per la comunicazione di massa di quegli anni. L’Istituto Luce assolse anche il compito di promoter turistico: fece conoscere agli Italiani, nei brevi documentari proiettati in tutte le piazze italiane o nell’intervallo dei film in visione nei cinema, delle zone sconosciute, fuori dagli itinerari soliti delle vacanze. 

Abbiamo cercato nella banca dati del Luce postata sul web qualche documentario sui primordi del turismo sul Gargano. Una ricerca fruttuosa. On line è in visione Lo Sperone d’Italia, un bel promo realizzato nel 1943. Ci restituisce visivamente una dimensione inedita della Montagna del sole nella prima metà del Novecento, visualizzandoci i paesi, il paesaggio ancora “vergine”. Furono queste visioni “selvagge”, che attrassero artisti di livello internazionale come Alfredo Bortoluzzi e Manlio Guberti, quando vennero per la prima volta, negli anni Cinquanta, sul Gargano. Furono questi paesaggi naturalistici ed umani che li convinsero a ritornare, eleggendo Peschici a loro dimora. 

Lo Sperone d’Italia è un breve documentario di 10 minuti e 40 secondi. Fu realizzato nel 1943 dal regista Mario Chiari, in bianco e nero. Le sequenze iniziali visualizzano una cartina dell’Italia, con focalizzazione sulla Puglia e zoommata sul Promontorio del Gargano. Lo speaker “apre” con voce stentorea: «La carta geografica fa nascere spesso il desiderio di conoscere nuove regioni. Nel caso del Gargano il gusto della scoperta può tentare largamente gli esploratori del proprio paese». 

E il proverbiale Sperone d’Italia è sinonimo di… terra vergine, evocante suggestioni da paradiso terrestre. Un eden visualizzato in ampie vedute di secolari argentei uliveti e distese di esotici fichi d’india. Terra vergine che affonda le sue radici in un humus di fede medievale. «Appaiono le rovine di San Leonardo di Siponto risalenti al secolo XII, con le primitive antiche sculture. Era un’antica città, Siponto, oggi scomparsa». Le immagini scorrono sulle rovine della chiesa romanica di San Leonardo, sui particolari decorativi interni; sull’antico campanile a vela. 

Ma le pendici del Gargano sono anche gradoni rocciosi, dalle forme caratteristiche, che si stagliano improvvisi dal piatto Tavoliere. Le inquadrature dall’alto riprendono mandrie di bovini e un cavalli al pascolo o diretti all'”abbeverata”. Ecco una panoramica di Monte Sant’Angelo, con gli scorci più caratteristici dell’abitato, i particolari decorativi dell’architettura di antichi palazzi.

PERCHÉ QUESTA SCELTA?

Monte Sant’Angelo è il centro più popoloso del Gargano. Sorge, strano a concepirsi, proprio sulla Montagna… sacra. È tipologicamente il più rappresentativo. «Il nostro viaggio – commenta lo speaker – non ci porterà sistematicamente di luogo in luogo, dovunque toni e lineamenti comuni si ritrovano come antiche conoscenze. Guardate la grazia di questi balconcini settecenteschi…». 

Ma l’indizio sicuro della bellezza di una regione è la presenza dei monasteri «che chiamano da ogni parte a una sosta di riposo». Il tema Gargano sacro viene sviluppato con le vedute di tre storici conventi di San Matteo (San Marco in Lamis), San Francesco (Ischitella), il convento dei Cappuccini (Vico del Gargano). All’interno di un chiostro, la dimensione quotidiana del sacro: un frate legge mentre un giovane lo ascolta, un altro attinge l’acqua dal pozzo, un monaco anziano cammina, con un breviario fra le mani.

L’obiettivo ritorna sui vari paesaggi. Strano a dirsi: siamo ancora nella stessa regione, anzi no siamo in una minuscola subregione d’Italia. «Nei campi fra aria di mare ed aria di monte scaldati dal sole di Puglia, il rigoglio della vegetazione è stupendo – scandisce lo speaker – Dal fico d’India che vuole il sole più ardente a un vivaio di pini e di abeti… alla Foresta Umbra». Il Bosco Umbra è il più grande del Gargano. Le zone più folte giustificano il suo nome: l’ombra qui è davvero impenetrabile. «Una volta questo prepotente avventarsi di alberi si estendeva dall’altopiano alle rive del mare, perché quasi tutto il Gargano era ricoperto da una immensa foresta digradante». 

Un bosco produttivo. Le vedute di Umbra si alternano ad immagini del lavoro umano: alcune donne attendono alla cura di piantine di abeti e di pini in una zona di rimboschimento; due grandi alberi vengono tagliati da un gruppo di boscaioli, nelle radure nel bosco fumano le carbonaie; i tronchi degli alberi tagliati vengono trasportati via, forse sulla ferrovia Decauville nella segheria di Mandrione; la visione di un piccolo casolare si alterna a quella di due guardie forestali a cavallo che attraversano il fitto bosco. 

La macchina da presa segue una carovana di asinelli, che si avvia in campagna circondata da bambini vocianti. Una mandria di bovini è in marcia lungo la costa dell’Adriatico. È la volta di scorci panoramici sugli ampi agrumeti nelle fertili vallate nel Gargano. Le immagini inquadrano aranci, limoni, pere, olive, pesche, mele, fichi e fichi d’india, grappoli d’uva maturi. 

«Ci eravamo scordati che il Gargano è un paese essenzialmente costiero – continua lo speaker – il Lago di Varano, comunicante con il mare, conferisce un inatteso aspetto a questa regione…».

La visuale lacustre e marina si stempera nell’immagine dei pescatori intenti a preparare le reti, con una zoommata sui pesci sguazzanti sott’acqua. Una diversa luminosità del mare, acqua di un azzurro profondo permeata di sole, segnala la presenza del mare aperto.

Appaiono barche e pescatori che stendono le reti sulla spiaggia. Lungo la costa, le reti a bilancia, formano «tanti appostamenti per i favolosi cefali dell’Adriatico. I pescatori non hanno bisogno di muoversi troppo per fare buona preda». Spunta il Trabucco di Monte Pucci: un pescatore osserva il fondale da un albero sporgente sulle reti a bilancia poste sulle scogliere.

Appare Peschici, erta sulla rupe. A 90 metri emerge il suo castello, precipitante a picco sul mare.

Lo speaker evoca ulteriori suggestioni: «I paesi della costa sono piantati in alto sopra la roccia, visti dal mare, hanno un’apparenza inaccessibile e pittoresca, come antichi castelli. Accanto ad ogni paese, fra le rocce, si aprono lidi dolcissimi. Dietro sono le pinete… Odori di mare e di resina si confondono nell’aria».

1943 UN ANNO TERRIBILE

Prima e dopo l’armistizio, Foggia e la Capitanata subivano i bombardamenti più terribili della loro storia. 

Lo Sperone d’Italia fu girato nel 1943, mentre infuriava la II guerra mondiale. È singolare che l’Istituto Luce non rinunci a produrre dei “promo” in un periodo in cui era oltremodo occupato a documentare i danni bellici subiti da varie città italiane.

Nell’archivio sono presenti vari video a riguardo. Mancano quelli sulla Puglia. Eppure il 1943 fu l’anno terribilis in cui la Capitanata subì i bombardamenti più rovinosi della sua storia: i bombardieri alleati sferrarono una serie di furiosi attacchi contro gli aeroporti di Foggia, provocando la distruzione di numerosi velivoli tedeschi.

Ma ad essere colpita fu soprattutto la popolazione civile: a partire dal 28 maggio 1943, la città venne messa a ferro e fuoco dagli aerei angloamericani. Furono presi di mira non solo gli obiettivi militari, ma i luoghi di aggregazione della città, fra cui il centro storico e la villa comunale. Anche ad armistizio firmato. E fu un’ecatombe. Dalle stime ufficiali redatte nel 1957 dal sindaco Vittorio de Miro d’Ajeta, la popolazione di Foggia, dal maggio 1943 all’aprile 1945, passò infatti da 79.202 a 59.176 abitanti.

PS. Numeri notevolmente ridimensionati in un recente censimento della biblioteca “La Magna Capitana”, che è in ancora progress.

©2003 Teresa Maria Rauzino. 

Articolo pubblicato il 14 giugno 2003 sulla pagina «Cultura» del «Corriere del Mezzogiorno», edizione pugliese del «Corriere della sera».