Ritratto di Giuseppe Luigi Crucinio, artefice della «fabbrica del consenso» del fascismo in Capitanata
Marcello Ariano, dopo aver posto la sua attenzione su un leader del fascismo nazionale come Gaetano Postiglione, ci documenta la vicenda culturale e politica di un personaggio sconosciuto: Giuseppe Luigi Crucinio. Chi era e cosa fece di tanto particolare Crucinio, per meritarsi una biografia così articolata?
Nato nel 1891 a San Nicandro Garganico, in una famiglia piccolo-borghese, dopo aver superato nel 1910 l’esame di ammissione al Regio Ginnasio “Vincenzo Lanza” di Foggia, frequenta la Scuola Normale, conseguendo nel 1913 l’abilitazione all’insegnamento elementare. Vincitore di concorso, presta servizio nel capoluogo daunio. Diventa Capo dell’Ufficio Stampa e Propaganda del PNF e corrispondente di vari quotidiani locali, regionali e nazionali: «Fiammata», «Il Popolo nuovo, «la Gazzetta del Mezzogiorno», «Il Popolo d’Italia», «Il Corriere italiano», «Regime fascista», «L’Avvenire».
Crucinio aveva aderito al fascismo nel 1924. Aveva lasciato il Partito Popolare per dissenso verso la linea di don Sturzo, da lui ritenuta inadeguata a rappresentare politicamente i cattolici e ad integrarli pienamente nella vita nazionale.
Spirito eclettico (è pubblicista, poeta, scrittore, pittore), versatile e dinamico, promuove varie attività sociali: nel 1914 istituisce a San Nicandro un ricreatorio per 150 bambini, con attività musicali; nel 1918 a Foggia dà vita all’Università Popolare; si occupa dell’alfabetizzazione e del recupero dei detenuti. Ma è su «Il Popolo nuovo» che Crucinio estrinseca la sua “mission” di divulgazione del credo cattolico/fascista.
Il settimanale è “utilizzato” dal suo fondatore e direttore Gaetano Postiglione per coagulare e gestire il consenso, con il sostegno della migliore intellighenzia di Capitanata. Gli intellettuali, ma anche i numerosi tecnici che vi scrivono, collaborano in veste di protagonisti al processo di “modernizzazione” della provincia, aderendo in pieno al ruolo strategico che Mussolini aveva assegnato alla stampa: diventare la forza viva al servizio del regime.
Quando Postiglione morirà, nel dicembre 1935, a Crucinio e agli altri intellettuali verrà a mancare un importante referente politico; la immediata chiusura del giornale li priverà di uno strumento di intervento attivo nella vita locale. Crucinio sparirà gradualmente di scena, a causa di una grave malattia: nel 1939 viene colpito da tubercolosi; la morte lo coglie il 1° dicembre 1942 all’ospedale Forlanini di Roma «nell’esilio tormentoso, senza speranza di guarire mai».
LA FUNZIONE “SACERDOTALE” DI CRUCINIO
Parecchi storiografi stanno analizzando le modalità, i meccanismi, con cui il fascismo utilizzò, consapevolmente, tutti i mezzi massmediali atti a convertire, conquistare e plasmare la coscienza morale e i costumi degli Italiani. Per la catechizzazione collettiva si avvalse di un composito drappello di veri e propri attivisti culturali, presenti nelle diverse realtà del paese.
Crucinio fu uno di costoro: svolse la funzione di mediatore culturale tra società e regime, con una differenza rispetto agli altri intellettuali foggiani: egli rese manifesto, disvelò i caratteri “religiosi” del Littorio. In Capitanata egli svolse, con perfetta valenza, una funzione quasi sacerdotale in quella che Cannistraro definì la «fabbrica del consenso» fascista.
Nella produzione pittorica di Crucinio figurano opere che traggono ispirazione dall’universo simbolico/religioso fascista. Nel suo emblematico «Leve fasciste», egli rielaborò un rito di passaggio simile alla Cresima: «Le giovani leve fasciste vengono consacrate e fascisticamente diventano membri del partito». Questa cerimonia pubblica si svolgeva contemporaneamente in tutte le città del Regno d’Italia, e nella forma più solenne a Roma, alla presenza del duce Benito Mussolini.
Ne «La Casa del fascio del villaggio rurale La Serpe», Crucinio esprime una simbologia quasi religiosa: nella cultura littoria, le Case del fascio rappresentano le chiese della fede fascista. L’artista prende spunto dai fatti concreti del regime: le realizzazioni urbanistico-sociali che erano sotto gli occhi di tutti. Ne «Le Case povere» rappresenta l’ultimo residuo della Foggia destinata a sparire, i quartieri malsani del capoluogo daunio al centro degli interventi di risanamento dell’amministrazione podestarile.
Il fascismo è evocato come «movimento costruttore guidato dal Duce che sta conducendo l’Italia alla suprema grandezza»: gli interventi “modernizzatori” trovano riferimento nella «Fontana del Mercato», la politica sociale del fascismo è rappresentata dalle case popolari di Foggia, la Bonifica del Tavoliere è visualizzata, e non a caso, in un borgo rurale.
Per rendere più efficace quest’ultimo messaggio, Crucinio contestualizza Mussolini nell’ambiente pugliese: egli diventa il “Duce agricoltore”, reggente un fascio di spighe della terra di Capitanata.
Secondo il giudizio di Marcello Ariano, Crucinio fu l’interprete ideale della cultualità fascista, nel segno di Dio, Patria e Famiglia. Un leit motiv estremamente caro alla retorica di regime dopo la firma dei Patti Lateranensi che sanciranno l’allineamento definitivo dell’intellighenzia cattolica a quelli che erano i miti e gli ideali littori.
Crucinio, fin dai primi anni dell’avvento del fascismo, aveva fatto una precisa scelta di campo: non volle appartenere alla schiera degli ignavi che «vissero senza infamia e senza lode». Come altri intellettuali di Capitanata, da Alfredo e Silvio Petrucci a Giovanni Tancredi (per citare solo i garganici) egli parteciperà alla scommessa generazionale del fascismo di creare la ‘”nuova Italia” fatta di idee, di credenze, e forse anche di accattivanti suggestioni.
Ma le sue furono soprattutto motivazioni politiche ed ideali, impregnate di un forte sentimento religioso: profondamente cattolico, è attratto dal fascismo perché vede in esso la categoria culturale capace di affermare la dimensione spirituale della politica. Questa scelta fu confermata con consapevolezza e con coerenza nella prassi della sua vita. La militanza laica nel Terz’ordine Francescano gli ispirò spesso temi religiosi a sfondo sociale.
La valorizzazione del ruolo dei Padri Giuseppini del Murialdo a Foggia; gli articoli dedicati ad altri ordini religiosi come le Suore Marcelline, attestano la funzione di raccordo svolta da Crucinio fra i settori del mondo cattolico foggiano e il fascismo locale.
La dirigenza fascista che faceva capo a Postiglione mostrò una forte disponibilità all’ascolto della voce e del punto di vista degli ambienti cattolici moderati: questo interesse si manifestò proprio nel grande spazio riservato agli articoli di Crucinio sulle colonne de «Il Popolo Nuovo».
LA SCUOLA FASCISTA
Crucinio incarnò in modo perfetto il ruolo assegnato dal regime fascista agli insegnanti, una categoria sociale e professionale cardine per produrre consenso e per allargare lo spazio del controllo politico: in primis i maestri elementari furono investiti di una “missione”, di un ruolo delicato e oneroso nel processo di formazione: toccò loro alfabetizzare e inculcare il credo fascista alle nuove generazioni.
Il mondo della scuola è uno degli interlocutori privilegiati di Mussolini: gli insegnanti di ogni ordine e grado assursero al ruolo di protagonisti all’interno della società fascista. Il Duce, forse perché anche lui era stato maestro elementare, affermò e sostenne l’autorevolezza dei docenti, la loro insostituibile funzione guida nell’Italia che il Littorio voleva trasformare.
Secondo il suo pensiero, la scuola doveva uscire fuori dal limbo della apoliticità: non doveva solo limitarsi a strappare all’analfabetismo le masse popolari italiane (anche se su questo fronte i risultati furono tangibili, rispetto ai precedenti governi liberali); doveva assumersi l’arduo e delicato compito di “forgiare” la personalità dei giovani, inculcando in loro il nuovo spirito sociale.
Gli insegnanti saranno tutti mobilitati in questo capillare lavoro di indottrinamento: compito della Scuola di ogni ordine e grado sarà di creare il “nuovo Italiano”: ecco perché essa mobilitano i suoi insegnanti più validi nel supporto culturale alle organizzazioni giovanili, in primis l’Opera Nazionale Balilla (ONB).
Con continui appelli e circolari ministeriali, il fascismo si rivolge ai dirigenti scolastici e agli insegnanti, sollecitandone l’impegno a favore delle iniziative e attività del regime, per la battaglia del grano, perché la marcia su Roma sia commemorata nelle scuole, perché si adoperino a convincere gli alunni a iscriversi all’ONB e a contribuire alle sottoscrizioni indette dal PNF.
Ai docenti più preparati vengono affidati i compiti celebrativi in occasione di cerimonie legate all’epopea fascista e ai fasti imperiali. La scuola diventa il canale di trasmissione della cultura nazional-religiosa del Regime: il culto dello Stato, la glorificazione della grande guerra, l’esaltazione della patria, identificata col fascismo, e tutto il patrimonio simbolico dell’ideologia con i suoi riti e le sue cerimonie, rientrano nel corpus pedagogico, unificante i vari gradi dell’istruzione.
LA PAROLA CHE SUSCITA EMOZIONI
Mussolini aveva confidato a Ludwing: «La potenza della parola ha un valore inestimabile per chi governa. Occorre solo variarla continuamente». È indubbio che lo seppe fare. Fin troppo bene. Il fascismo usò le parole come strumenti atti a suscitare emozioni (la definizione è di Roberto Vivarelli). Nel suo piccolo, questa arte della parola Crucinio la conobbe bene e la utilizzò consapevolmente. La sua pubblicistica si avvale di tecniche diverse e viene calibrata secondo la situazione. I suoi poliedrici contatti gli avevano dato “il polso” di quella che era la reale società foggiana e dei vari target che la componevano.
Illuminante è il suo distinguo tra conferenza e propaganda: «La conferenza è adatta alle menti colte; ma accanto ai ceti benestanti e professionali vivono gli operai, i contadini: gente di diversa cultura, verso cui la comunicazione va assolutamente mediata. Qui occorre la propaganda spicciola, metodica, continua, scevra di fronzoli, di fregi, occorre la parola buona, chiara, comprensibile, incitatrice. Non la cattedra, ma la lezione alla buona, che metta in condizione i lavoratori di poter comprendere e seguire il fascismo, in tutte le sue molteplici e dinamiche manifestazioni».
Le masse vanno quindi integrate al regime ponendosi al loro livello, ma le parole vanno sapientemente dosate in un climax che porti il destinatario del messaggio ad abbracciare fideisticamente il credo fascista.
Interessante, a questo proposito, l’analisi lessicale che Ariano fa della cronaca del 28 ottobre 1934, anniversario della Marcia su Roma, pubblicata da Crucinio su «Il Popolo Nuovo»del giorno successivo. Il periodare del cronista è dosato in un crescendo di aggettivi che da “sacro, epico, eroico, glorioso, indomito, fatidico, vibrante” culminano in “supremo”. Per tornare, aggiungiamo noi, al punto di partenza con l’aggettivo “religioso”.
Ritroviamo i leit motiv cari al repertorio civile e valoriale littorio: l’identificazione della patria con il fascismo, il tema della giovinezza, la glorificazione della vittoria, l’immancabile appello ai Caduti, il mito del Duce, esaltato dall’utilizzo di un potente e moderno strumento di penetrazione mediatica qual è la radio, che trasmette il discorso di Mussolini.
È un esempio di quel nuovo linguaggio fascista che Marcello Ariano analizza come nota a margine, a conclusione della biografia su Crucinio: «Verso questo linguaggio – sottolinea – non ci si può porre con la mentalità ed i parametri lessicali odierni, né archiviarlo come d’epoca. Il linguaggio fascista ha tutti i crismi di un vero e proprio linguaggio: ha i suoi codici semantici, i suoi moduli espressivi, la riconoscibilità, la tradizione, il riferimento a comportamenti condivisi. Andrebbe studiato senza pregiudizi, nella sua globalità e inquadrandolo in una prospettiva storica» .
Marcello Ariano lo ha fatto nel suo libro, confermandosi valido storiografo di un periodo, il Ventennio fascista, ancora tutto da indagare, specie in Capitanata.
MARCELLO ARIANO, Giuseppe Luigi Crucinio. Nel segno di Dio, Patria e famiglia, Edizioni del Rosone, Foggia 2002.
©2006 Teresa Maria Rauzino.