Il 28 febbraio la risorta comunità ellenica di Capitanata ha festeggiato l’anno nuovo. Un’occasione per ricordarne gli illustri fondatori
I Greci siamo noi. Dal Salento al Gargano, alle isole Diomedee, la Puglia pullula di toponimi ellenici. Lo sbarco di queste popolazioni sulle nostre coste è attestato da numerosi reperti archeologici.
Le monete d’oro, argento e bronzo e le suggestive pitture vascolari rinvenute in Arpi, un sito archeologico a tre Km da Foggia, attestano la floridezza della città diomedea.
Diomede in Arpi è un bel quadro del pittore foggiano Nicola Parisi: acquista una rara potenza evocatrice del remoto passato di Foggia, quando gli Elleni, vittoriosi su Troia, e conquistatori erranti delle isole e delle coste garganiche, giunsero nella piana del Tavoliere, integrandosi con i Dauni e fondando la potente città arpana.
Luigi Pietro Marangelli, che ha analizzato i documenti dell’Archivio diocesano di Foggia, afferma che, in epoca moderna, la più antica famiglia greca stabilitasi in città fu quella dei Perifano (leggasi Perìfano).
Nel 1774 Il libro dei nati registrò la nascita di Antonio, primogenito del capostipite Giorgio Perifano e di Arcangela Bifulco. Seguiranno altri sei figli: Michele, Rosa, Spiridione (in omaggio al patrono di Corfù), Sofia, Giambattista e Demetrio.
La famiglia giunge da Corfù, probabilmente nel 1750; a Foggia si fa costruire una bella casa nelle adiacenze di via Arpi, in Vico 1° Zingani: Palazzo Perifano (completamente distrutto dai bombardamenti del 1943).
Nel 1848 l’avvocato Pietro de Plato (1804-1884) fa erigere una cappella gentilizia nel cimitero di Foggia, sul Viale del Dolore. Poeta e patriota, aveva sposato la diciassettenne Casimira, figlia di Michele Perifano. Il matrimonio era stato celebrato il 16 maggio 1836, con dispensa della Curia per l’età della sposa.
Al fastoso ricevimento nuziale a palazzo Perifano furono invitate le famiglie più in vista di Foggia: gli Altamura, Bruno, Postiglione, Scillitani, Celentano. Tutti romantici poeti e avvocati che cospiravano per la libertà e l’unità d’Italia, contro Ferdinando II e contro il papa-re Pio IX, all’unisono con la colonia ellenica dei Perifano. Questi si batterono per l’indipendenza e l’unità d’Italia e subirono persecuzioni e condanne.
L’Italia, che aveva affinità con il loro paese di origine, diventò la seconda patria per cui combattere. Sull’esempio di Santorre di Santarosa e George Byron che avevano lottato per l’indipendenza della sua patria d’origine, Spiridione Perifano jr., scrittore e patriota, combatté in Lombardia per l’indipendenza e l’unità d’Italia. Egli fu grande amico di Giuseppe Mazzini e Luigi Settembrini.
Antiborbonico, subì tre anni di carcere dal 1839 al 1842. Ferventi repubblicani mazziniani, dopo la spedizione dei Mille, i Perifano sostennero la monarchia sabauda. Il 14 febbraio 1862, alla testa di un corteo, gridarono per le strade di Foggia: «Viva il Papa-prete / abbasso il Papa-re / viva Garibaldi!».
Francesco Saverio Altamura (Foggia 1822- Napoli 1897), il più illustre pittore dell’Ottocento pugliese, fu membro della comunità ellenica foggiana: era figlio di Sofia Perifano.
Dopo aver studiato presso gli Scolopi di Foggia, Altamura si era trasferito in Campania. Come i suoi cugini Perifano, prese ripetutamente parte alle lotte risorgimentali italiane: nel 1848 a Napoli si distinse tra i dimostranti sulle barricate di Santa Brigida.
In quel sanguinoso scontro si contarono 145 morti e circa 300 feriti. Per Altamura le conseguenze furono drammatiche: fuga, esilio nel granducato di Toscana e condanna a morte in contumacia. Rientrò a Napoli nei giorni della riscossa del 1860: combattè a fianco di Garibaldi sul Volturno, a Capua e a Gaeta.
Altamura, personalità di spicco della cultura partenopea, fu eletto consigliere comunale e contribuì alla fondazione della Pinacoteca di Capodimonte. Negli anni successivi, partecipò alle Esposizioni artistiche di Parigi, Torino, Roma e Napoli, dove fu altamente apprezzato. Il pittore morirà a Napoli nel 1897.
Carlo Villani lo ricordò così, nell’ultimo saluto: «È il nome di lui, già passato nel dominio della storia, mentre va ad assidersi tra le più fulgide stelle dell’Olimpo dell’arte, resterà per Foggia monumento colossale pari alle piramidi, resterà come suo vanto, suo orgoglio sua religione». Nel 1901 la città natale, Foggia, gli dedicherà un monumento.
Intanto, ormai in strettezze economiche, quasi tutti i Perifano si erano trasferiti ad Avellino e Salerno. Qui furono aiutati dai parenti di Saverio Altamura. A Foggia restarono soltanto Casimira e il marito Pietro de Plato.
Sei anni fa, questo nucleo della comunità ellenica foggiana, forte dei nuovi arrivi, si è organizzato in un’associazione, oggi guidata da Ioanna Papanicolau (presidente) e da Emmanuel Stratakis (vicepresidente). Varie sono le iniziative comunitarie in campo religioso e culturale. Funzioni di rito ortodosso vengono celebrate ogni mese presso la chiesa di San Domenico. La memoria della lingua di origine è tenuta viva da insegnanti di madrelingua.
Un recente convegno a Bari ha fatto il punto sui rapporti storico-culturali fra Grecia e Puglia. Docenti provenienti dagli atenei di Bari, Lecce, Napoli, Cosenza, hanno approfondito aspetti di storia comune: tra gli altri, Luciano Canfora (Italia e Grecia in epoca fascista); Giorgio Otranto (La Puglia cerniera tra il Mediterraneo e l’Europa: La Grecìa salentina); Pasquale Corsi (Presenza bizantina in Puglia durante il medioevo); Maria Perlorentzu (Gli studi neoellenici nelle Università pugliesi); Isabella Bernardini (Grecìa salentina: un’isola linguistica nel Salento); Roberto Romano (Poeti italo-bizantini di terra d’Otranto nel XII e XIII secolo); Gianni Korinthios (La diaspora ellenica in Italia meridionale dopo la caduta di Costantinopoli).
Giorgio Otranto, Luciano Canfora e il giornalista Gustavo Delgado solleciteranno l’inserimento, nello Statuto della regione Puglia, di un richiamo alle comuni radici culturali greche.
Fra i progetti della comunità greca di Foggia un sito web, un giornale e una collana di pubblicazioni per riscoprire le radici degli insediamenti ellenici in Capitanata e divulgarne la cultura.
Il 28 febbraio 2004 questo programma è stato presentato durante l’annuale festa in onore di Hagios Vassilos (San Basilio). È una cena, allietata da musiche e balli folkloristici, culminante nel taglio di una torta augurale: la Vassilopita.
Nell’impasto del dolce si mette una monetina, possibilmente d’oro. È il padrone di casa, o il capo della comunità, a tagliare la torta, offrendone una fetta a tutti i presenti, insieme ad un rametto d’ulivo.
Una certa ritualità sovrintende al rito: la prima fetta non si mangia, è riservata a san Basilio o alla Madonna; la seconda è per la casa; la terza è per i poveri; le altre per i familiari, parenti e amici. Chi troverà la monetina d’oro sarà «il figlio della fortuna» per il 2004!
SOTTO IL SEGNO DELLA VASSILÒPITA, LA TORTA CON LA MONETA D’ORO
Oggi non c’è comunità greca nel mondo che non festeggi l’inizio dell’anno con la Vassilòpita. La “torta di San Basilio” trae origine da una leggenda. Si racconta che, quando la città di Cesarea fu assediata dai barbari, il suo vescovo Basilio (329-379) si prodigò per raccogliere oggetti preziosi.
Per scongiurare stupri, incendi e atti vandalici, li offrì al capo degli invasori il quale, colpito dalla figura ieratica di Basilio, tolse l’assedio alla città senza portare via nulla. Il problema era restituire le monete d’oro e i gioielli a coloro che li avevano offerti.
Ma come fare a individuarli? Basilio trovò un escamotage: fece preparare una torta in cui furono posti, in ordine sparso, tutti i preziosi. Ciascun cittadino ne ebbe una fetta. I più fortunati vi trovarono le monete e i gioielli.
La ricetta della Vassilòpita si basa su ingredienti semplici: 1 kg. e 300 grammi di farina, 320 grammi di zucchero 320 ml. di latte, 240 grammi di burro o margarina, 50 grammi di lievito di birra, 6 uova (5 per l’impasto ed 1 da spennellare sulla torta), mezzo cucchiaio di sale, mandorle pelate e semi di sesamo.
Dopo aver sciolto il lievito in un po’ di latte caldo, aggiungere una tazza e mezza di farina, impastare e far riposare il panetto in luogo caldo per mezz’ora.
In una grossa ciotola mettere il resto della farina, la margarina fusa, le uova sbattute, il restante latte tiepido, lo zucchero, il sale e l’impasto lievitato. Lavorare bene il tutto e far lievitare per 4 ore. Impastare di nuovo, inserire la monetina d’oro, e disporre il panetto in uno stampo imburrato.
Spennellare la superficie della vassilòpita con l’uovo, disporre le mandorle a forma di croce e cospargere di semi di sesamo. Far lievitare mezz’ora. Cuocere in forno a calore medio, finché il dolce sarà dorato. Servire con moscato e vini “passiti” ellenici.
©2004 Teresa Maria Rauzino.
Articolo pubblicato dal «Corriere del Mezzogiorno», inserto pugliese del «Corriere della sera» del 26 febbraio 2004. Foto 2 e 3: © Vassilopita 2004.