Trivio Codola (fraz. di Castel San Giorgio, eremo di Santa Maria a Castello o castello di Fossalupara)

CENNI STORICI

L’Eremo dedicato alla Madonna del Castello è situato ad un’altezza di 280 metri sul livello del mare, proprio sulla sommità della collina denominata Sant’Apollinare, primo baluardo montuoso all’estremità orientale della vasta pianura vesuviana che annuncia i primi rilievi dell’Appennino campano verso la Valle dell’Irno e l’Irpinia. La sua invidiabile posizione geografica offre alla vista del visitatore un panorama unico e suggestivo, infatti lassù, dal belvedere delle sue terrazze a picco sul costone roccioso, si gode lo spettacolo del golfo di Napoli con le isole di Ischia e Procida, del Vesuvio che incontrastato e superbo domina tutta la pianura campana solcata dallo storico fiume Sarno, più a nord, alle pendici del monte Saro, l’antica città di Sarno sovrastata dai resti del poderoso castello. Orientando lo sguardo ad oriente appare invece tutta l’alta valle dell’Agro Nocerino, denominata già in epoca longobarda Apud montem, che si spinge fino alla valle dell’Irno ed ai contrafforti montuosi irpini della catena dei monti Mai ed al massiccio del monte Terminio. A sud invece appare la valle metelliana con la “Città della Cava” che introduce lo sguardo al golfo salernitano fino al “sinus paestano”. La storia di questo stupendo Eremo e la urbanizzazione di questo sito affonda le radici in epoche molto remote nel ricordo dell’antica e misteriosa città di Fractanova. La mancanza purtroppo di fonti certe ha permesso la formulazione di numerose ipotesi sulle origini di quell’antica città, fondata, secondo alcuni studiosi, da un gruppo di pompeiani che, fuggiaschi dalla terribile eruzione del Vesuvio del 79 d.C., trovarono albergo sul colle di Sant’Apollinare e ne iniziarono la urbanizzazione; ma c’è anche chi, come il dottor Napoli, intendente dell’antichità di Salerno, alcuni anni or sono, durante un sopralluogo, osservando alcuni reperti trovati in loco, da espertissimo e competentissimo in materia di archeologia, segnalò che quella città distrutta, cinta ancora da antiche muraglie era sicuramente di epoca preromana. Tali affermazioni sono state rafforzate negli ultimi anni da ulteriori studi e ritrovamenti. Sono stati individuati infatti ruderi di opera incerta, abbondante materiale fittile tra cui molti frammenti di ceramica magno-greca a figure rosse ed infine due oboli bronzei della zecca di Irnum ritrovati dall’esperto ed appassionato sig. Gaetano Izzo. Anche Lorenzo Giustiniani, illustre storico del ‘700, nella sua magistrale opera Dizionario Geografico Ragionato del Regno di Napoli ne sottolinea l’esistenza: “...è fama costantissima che in questo territorio vi fosse stato un paese appellato Fractanova e precisamente su di quel monte chiamato Sant’Apollinare, verso Nocera, ritrovandosi molte fabbriche, sepolcri, vasi e monete, cose tutte che indicano di esservi stata popolazione”. La prima notizia manoscritta riguardante Fractanova è contenuta nell’antica Platea di Materdomini risalente al 1200. Secondo questa fonte si rileva che, sin da quell’epoca, sul pianoro, sulla sommità del colle c’era una casa di recente fabbricata, una cisterna già costruita con tutto l’Eremo che è poi l’antica fortezza di Fossalupara e che su questo altipiano vi erano due chiese, una in onore di Sant’Apollinare ed un’altra contenuta nella fortezza dedicata a San Gregorio. Nel territorio compreso tra le due chiese vi era una grande abbondanza di fondamenta di case e cisterne diroccate, e siccome lassù come altrove, i primi cristiani trovarono il popolo che conservava i costumi romani ed ancora pagani nel godere la vita, e nel continuare forse il culto degli idoli, delle passioni e delle luride superstizioni antiche, la città di Fractanova per i suoi peccati, o meglio per la sua corruzione “…propter peccatum ipsius...”, fu devastata, disabitata ed abbattuta completamente dalle fondamenta. ... La storia di detta città non può essere divisa da quella dell’attuale Eremo di Santa Maria a Castello che nacque nel periodo 758-786 come fortezza voluta da Arechi II principe longobardo di Benevento sulle rovine dell’antico accampamento romano “Castrum Augusti”, entrando a far parte di quella lunga catena di castelli che da Castellammare, Lettere, Gragnano, Angri, Sarno, Fossalupara (odierno Santa Maria a Castello), Castel San Giorgio, Mercato San Severino, Montoro, Solofra, fino al Sannio assicuravano un perfetto controllo di tutto il Principato Longobardo di Benevento. Tutti questi castelli, infatti, erano posti in modo tale che ognuno era visibile dall’altro e quindi, attraverso segnalazioni luminose di notte e fumogene di giorno, erano in grado di poter comunicare tra di loro come una sorta di satelliti per telecomunicazioni dei giorni nostri. Con la caduta dell’ultimo principe longobardo Gisulfo II, ad opera del normanno Roberto il Guiscardo, l’antico Castello di Fossalupara perse la sua funzione militare e fu donato con tutte le sue pertinenze alla Badia Benedettina di Cava de’ Tirreni come compenso dell’aiuto offerto durante la lunga lotta contro il principe longobardo Gisulfo II. Dopo circa un secolo di parziale abbandono, ridotto al solo romitaggio, il Castello fu affidato alla cura dei Padri Bianchi della vicina Badia di Materdomini e,verso la fine del 1200, fu l’Abate Giovanni a fondare l’Eremo di Santa Maria a Castello. In seguito l’Eremo fu fornito di un discreto patrimonio di terreni e case in quel di Lanzara dal possidente nocerino Guglielmo de Bene nell’anno 1383. L’Eremo che per circa tre secoli fu luogo di riposo, di ritiro spirituale e di preghiera per i Preti Bianchi Benedettini passò nell’anno 1575 alla cura dei Francescani Conventuali che risiedevano in quel tempo nel convento di Sant’Antonio di Padova in Nocera Inferiore. Nel 1808, con l’avvento del governo Napoleonico e le leggi eversive della soppressione istituite da Gioacchino Murat, i Padri Conventuali persero oltre al loro convento principale di Nocera Inferiore anche l’Eremo di Santa Maria a Castello che passò così di proprietà del demanio dello Stato. Dopo la parentesi napoleonica l’Eremo tornò di nuovo alle dipendenze della Badia di Cava dè Tirreni e per competenza alla Parrocchia di San Giovanni Battista di Roccapiemonte che dipendeva da tale Badia. Solo nel 1856, in seguito ad un vero e proprio concistoro tenuto in uno dei saloni di rappresentanza del signorile palazzo Lanzara in Lanzara, con la partecipazione dell’Arcivescovo di Salerno S.E. don Marino Paglia, dell’Abate Ordinario della Badia di Cava dè Tirreni don Onofrio Granata, dell’Arcivescovo di Sidenze don Innocenzo Terrieri e di numerose altre autorità ecclesiastiche, fu stabilito che la Parrocchia di Roccapiemonte cedeva alla Parrocchia di San Biagio di Lanzara l’Eremo di Santa Maria a Castello con la frazione Trivio. I frequenti restauri e rimaneggiamenti, non sempre felici, hanno trasformato e spesso distrutto nel corso dei secoli molti tratti delle tipiche strutture dell’antico castello prima e dell’originario Eremo poi. Degno di menzione è l’affresco trecentesco posto al di sopra dell’altare maggiore della cappella dell’Eremo raffigurante l’icona della Madonna del Castello seduta su una sedia recante il Celeste Bambino tra le braccia.

Bibliografia e Sitografia

https://sanbiagiolanzara.wordpress.com/category/storia-del-territorio-parrocchiale/leremo-di-santa-maria-a-castello/

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