CENNI STORICI
Nel territorio di Medesano, in provincia di Parma, esiste una rocca che sfida ancora oggi i cieli, raccolta su un colle che sovrasta il torrente Dordone. I suoi resti gloriosi testimoniano la storia travagliata e complessa che ha vissuto, ma offrono anche fortissime suggestioni, che alimentano leggende ancora oggi molto sentite tra gli abitanti del piccolo paese di Roccalanzona. Esistono diversi percorsi per arrivare al maniero: uno di questi parte dall’abitato di Ramiola ed è la “Strada di Maria Longa”, un’antica via di crinale che consentiva in modo decisamente più sicuro di raggiungere il mare dalla Pianura Padana, evitando le diverse insidie e i pericoli del percorso lungo il fiume. Dopo qualche chilometro tra la natura incontaminata è possibile osservare il Castello di Roccalanzona, o meglio, quello che ne rimane; infatti, dell’antica rocca, che fu dipinta da Benedetto Bembo nel 1463 all’interno del Castello di Torrechiara, oggi si conservano solo le rovine: alcune parti di mura, i resti del grande mastio e una porzione di stanza che termina con un soffitto a volta. Questo maniero ha una storia ormai millenaria alle spalle: già nel 1028 venne citato all’interno di una pergamena che è conservata attualmente presso l’Archivio di Stato di Piacenza. In tale documento si trova scritto che il 4 luglio 1028 Ildegarda, moglie del longobardo Oddone Gauselmo, vendette terre, corti e castelli, fra i quali vi era la “Roccha Petraluizoni cum portione Castro et Capella ibi habente”; ciò testimonia che esisteva anche un luogo di culto – “Capella” – presso il castello: era con ogni probabilità la Chiesa di San Michele Arcangelo, che fu demolita nel 1739 per costruirne una più a valle, tutt’oggi esistente. Nel 1295 la rocca venne smantellata in seguito ad un decreto che ordinava la distruzione di castelli e altri luoghi appartenenti alle famiglie rivoltose. Le notizie relative a questo periodo e giunte fino a noi sono scarse: sembrerebbe che il castello fosse appartenuto ai Pallavicino. Quel che è certo è che passò in mano ai Rossi, forse già agli inizi del Trecento; circa un secolo dopo fu di proprietà di Pier Maria Rossi, il quale eresse anche la Rocca dei Rossi di San Secondo e ribattezzò quella di Roccalanzona come “Rocha Leone”, con un chiaro riferimento allo stemma familiare: il leone rampante. I tentativi di conquista da parte di casate rivali furono numerosi; uno tra tutti fu quello che vide gli Sforza, sostenuti dai Pallavicino, schierarsi contro i Rossi nel 1482. Alla fine del Quattrocento il castello passò nelle mani di Bertrando, figlio di Pier Maria II (il cui nome è di solito correlato al Castello di Torrechiara e a quello di Roccabianca). Nel 1666 il marchese Scipione I de’ Rossi fu costretto a cedere la rocca ed altri feudi alla Camera Ducale di Parma. Già all’epoca l’edificio era caratterizzato da mura interne fatiscenti. Nel 1692 fu acquistato dal marchese Agostino Ercolani di Senigallia, il quale non si preoccupò mai di recuperare le strutture che nel frattempo stavano andando in rovina. Dopo più di un secolo, in seguito alla legge napoleonica che aboliva i feudi, il castello divenne una proprietà privata. Nei pressi di Pagano, a circa un chilometro dal Castello di Roccalanzona, Giacomo Dazzo e Pietro Torrigiani nel 1834 trovarono due pietre, utilizzate come coperchio di un pozzo, le quali arrecavano delle iscrizioni. L’importante documento ritrovato era la così detta Pietra Giubilare, un’opera incisa per ordine di un certo Giacomo Valenti con lo scopo di tramandare il primo Giubileo del 1300, indetto da Bonifacio VIII, e di divulgare il calendario giubilare che prevedeva, con ricorrenza centenaria, l’indulgenza plenaria. Forse l’oggetto inizialmente era costituito da una lastra unica e, in base alle parole incise sulla pietra, si è ipotizzato che fosse stata collocata, per volontà dello stesso Valenti, all’interno di un oratorio di Casara (una località vicino a Pagano). L’ipotesi sarebbe però confutata dal fatto che nei documenti medievali giunti sino a noi non vengono citate chiese né a Pagano né a Casara; per tale motivo è stato invece ipotizzato che l’opera fosse stata conservata nell’antica chiesa di San Michele Arcangelo di Roccalanzona, demolita nel Settecento. Le lastre sono ora conservate presso la Galleria Nazionale di Parma.
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