Melito Irpino (ruderi del castello Normanno)

CENNI STORICI

«La storia. Il Comune prese il nome "Melito" dalle radici MAL-MEL, che significano "costa di monte" (esistono anche altre ipotesi riguardo la derivazione del suo nome). Il primo nucleo del comune nasce dopo l'arrivo dei longobardi a Benevento, attorno al 570. Dagli studi effettuati, si suppone che la costruzione del primo nucleo abitativo sia avvenuto nel corso dell' VIII secolo, cioè al tempo in cui i duchi longobardi di Benevento si fecero promotori del ripopolamento del territorio di Valle Ufita.Costruirono una fortezza con mura di cinta ed una torre quadrata di avvistamento,quest'ultima visibile in tutta la sua imponenza ancora oggi, da quando sono stati abbattuti a seguito del terremoto del 1980 i fabbricati che la circondavano. È difficile datare con esattezza l'avvio della costruzione della torre, per la mancanza di notizie storiche sicure. Le prime notizie certe si hanno grazie al ritrovamento di una pergamena di Montevergine (AV) dell'anno 1153, relativa ad un atto notarile di riconoscimento di proprietà dell'Abbazia di Montevergine stilato in Mercogliano dal giudice Giovanni. In questo atto notarile sono citate le famiglie di Bertrano, di Guglielmo Fainella e la moglie Roca, di Alfiero figlio di Ciuffi, del milite Milo e di Giovanni del Pesco, che potrebbero essere considerate famiglie melitesi discendenti degli antichi longobardi che abitarono per primi il paese. Nel Catalogo dei baroni normanni, compilato a partire dal 1150 per la leva militare straordinaria in difesa del regno di Sicilia di re Ruggiero, Melito viene descritto come sottofeudo di Trigosio de Grutta. Il dominio federiciano sul territorio melitese è durato fino al 1266 quando l'esercito di Tommaso de Forgia (facente capo al figlio di Manfredi) fu annientato dall'esercito degli angioini francesi. Esso è appartenuto fin dalla seconda metà del XII secolo ai conti di Ariano e successivamente ne entrò in possesso la famiglia Gesualdo. Nel 1298 il feudo pervenne ad Egidia della Marra e da costei, per via matrimoniale, a Luca d'Aquino, signore di Grottaminarda dal 1271. La casata dei d'Aquino il piccolo feudo tenne attraverso Landolfo III, Alfonso (1342), Nicola (1352), Antonio (1395), Matteo (1414), Ladislao (1440), Gaspare (1470) e Ladisiao II d'Aquino (1526),il quale per aver combattuto contro re Carlo V lo perse nel 1528.Dal 1532 il paese passò al marchese di Corato Francesco, dal quale lo acquistò nel 1535 Giovanni Pisanelli. Alla famiglia di costui il feudo rimase grazie all'avvicendamento ereditario dei nobili Claudio (1559), Angelo (1604), Geronimo (1605), Giovanni II (1640), Geronimo II (1648), Giovanni Angelo (1700), Emanuele (1747) e Giovanni Angelo. Nel 1784 é nei possedimenti del marchese Andrea Pagano, ultimo signore dei paese fino all'eversione della feudalità (1806). L'endemica peste dei 1656 fece quasi completa strage degli abitanti. Melito venne poi ripopolandosi verso il 1662, anno in cui nell'abitato erano appena dieci famiglie. Ultima proprietaria del maniero fu la famiglia Pagano, che ne conservò il possesso dal 1770 al 1806, anno dell'abolizione dei diritti feudali. Scavi condotti fra il 1880 e il 1886, su iniziativa del marchese Salvatore Parisi, hanno messo alla luce un esteso insediamento di età repubblicana (II-I sec. a. C.), comprendente una necropoli con tombe a tegola; una villa rustica con decorazioni parietali in primo stile pompeiano e pavimentazioni musive, un complesso termale, un edificio di culto con cella a pianta quadrata e portico con quattro colonne nella facciata.

L'architettura. Costruito in età normanna e rifatto dagli aragonesi, costituiva il nucleo centrale attorno al quale si sviluppò il paese. Il Castello di Melito si presenta come uno grosso blocco edilizio quadrangolare in muratura di lastre di pietra bianca e ciottoli fluviali legati con malta e rafforzato agli angoli da conci; la sua base è ben salda sullo strato di roccia sottostante. Sono ancora ben visibili le due torri cilindriche agli angoli diagonalmente contrapposte ed un grosso bastione quadrangolare. Il manufatto è composto da circa trenta vani tutti comunicanti. A trenta metri dal corpo di fabbrica erano posizionate le porte: sono ancora visibili le grosse buche dove venivano fissate le barre di ferro o di legno. L'attuale via, in dialetto melitese "Varvacale", indica il luogo dove insisteva l'antico barbacane. Subì due incendi, uno a seguito della sconfitta del feudatario De Forgia ad opera dei d'Aquino, signori di Grottaminarda, l'altro nel 1799, per moti rivoluzionari, da parte delle bande del Cardinale Rufo. L'edificio si trova alla sommità di un breve rilevato, sulle cui pendici sono evidenti, in particolare verso il fronte normale ed ortogonale alla Chiesa dedicata alla Madonna dell'Addolorata e a Sant'Egidio, tracce di altri manufatti e di terrazzamenti. La attuale configurazione, così poco adatta alla difesa, è da tenersi istituita con la fase della trasformazione signorile della fortezza di cui il "Castello" ne era il "Maschio" e che nel recinto comprendeva l'abitato di Melito, fino ancora alle ricostruzioni post-sismiche sette e ottocentesche. Le varie fasi riedificatorie che la tessiture murarie denunciano sembrerebbero accreditare queste ipotesi».

Bibliografia e Sitografia

http://www.castcampania.it/melito-irpino.html (a c. dell'arch. Antonio di Guglielmo e di Angela D'Addesio)

Articoli di approfondimento

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