LUBRIANO (torre dei Monaldeschi)

CENNI STORICI

La Valle dei Calanchi che ,nell’ Alto Viterbese, rende tipica dal punto di vista morfologico ed esclusiva dal punto di vista paesaggistico questa zona della Tuscia è ancora oggi un luogo di quiete adatto al riposo ed alla meditazione; non ha caso due santi del Cristianesimo, San Bonaventura e San Procolo, proprio in questa regione, tra Bagnoregio e Lubriano dedicarono la loro esistenza a DIO nella preghiera e con la meditazione. Sull’ esempio di questi grandi personaggi sorse , già prima dell’anno mille ed ai margini della grande selva di querce che copriva l’intera regione, un convento di monaci che, isolato, torreggiava sulla sottostante Valle dominandola. Intorno a quel luogo di preghiera venne nel tempo ad insediarsi una piccola comunità di braccianti ed artigiani che , di fatto iniziò a formare il borgo medioevale di Lubriano. Già nell’ XI° secolo l’ antica cappella del Convento venne ingrandita e, collegata al cenobio , divenne Chiesa Madre della comunità. Oggi tale Chiesa , completamente ristrutturata e rivisitata, è il centro religioso del paese e, sebbene intitolata a San Giovanni Battista, ricorda la figura di San Procolo tanto nella vetrata della facciata quanto in uno dei due altari laterali della Chiesa. Al suo interno su alcune pareti sono ancora visibili i resti dell’antica Cappella conventuale. Una delle piu’ prestigiose e rappresentative famiglie Orvietane di quel tempo, i MONALDESCHI della Cervara, la cui arme, composta da greche oro su campo azzurro, è affrescata (nel rifacimento postumo risalente al secolo scorso) nella volta dell’ingresso di Palazzo Monaldeschi, acquisirono il Convento e la circostante area boschiva. Tutta la zona, selvaggia e disabitata, era un territorio ideale per praticare la caccia. Il romitorio venne così trasformato in un piccolo castello “di campagna” adibito appunto ad ospitare i proprietari e la loro corte per gli svaghi ed i divertimenti. Ancora oggi sul lato di nord-est del palazzo è visibile la base di una delle torri quadrangolari che delimitavano il piccolo maniero. L’edificio , che per oltre 500 anni resto’ proprietà della famiglia dei Monaldeschi, non subì nel corso dei secoli significative ristrutturazioni; salvo le ordinarie opere manutentive ed i ritocchi estetici indispensabili, conservò fino alla fine del 1600 il suo aspetto originario , tipico dell’Alto Medioevo. Paolo Antonio Monaldeschi ,ultimo erede maschio delle famiglia, decise di ristrutturare integralmente il Palazzo modificandone sostanzialmente anche l’estetica oltre che le dimensioni. Si affidò così al noto architetto del tempo Giovan Battista Gazale di Vignanello (emulo di Juvarra) che in uno stile Barocco di sapore appunto “juvarriano” ridisegnò completamente l’edificio spostandone peraltro l’ingresso principale da Ovest a Sud antistante la piazza che si affaccia sulla Valle dei Calanchi. Il Gazale diede all’edificio un’impostazione decisamente nuova trasformando il vecchio maniero in una residenza secondo i dettami e il gusto tipici delle ville patrizie del circondario romano e dell’alto Lazio, il giardino pensile al piano nobile, le geometrie di siepi del giardino all’italiana, i grandi saloni per i ricevimenti, la ricchezza delle decorazioni e i giochi prospettici delle architetture; il tutto nel rispetto di una dimensione sobria, finalizzata a colpire gli ospiti a cui era destinato. Alzò inoltre di un piano la facciata principale creando una serie di stanze accessorie , rendendo decisamente più funzionale e moderno l’intero edificio che, ancora oggi può, dirsi sorprendentemente funzionale rispetto anche alle attuali esigenze . Su una delle porte interne del Palazzo è inciso il nome di PAOLUS ANTONIUS MONALDENSIS in epigrafe a ricordo di tale rifacimento. Di tale personaggio è certo affermare che fosse stato l’amante della regina Cristina di Svezia già sua ospite nel Palazzo. Non altrettanto accertato è invece il contenuto della leggenda che vuole proprio in Cristina la causa della sua morte. Le due uniche figlie di Paolo Antonio Monaldeschi si congiunsero entrambe in matrimonio con i Bourbon Del Monte Santa Maria,di Firenze famiglia legata originariamente ai Bourbon di Francia.(L’arme assemblato della nuova casata,che vede uniti i gigli orifiamma dei Bourbon alle greche oro e azzurro dei Monaldeschi campeggia sul fronte della vasca nella fontana della Venere (in fondo alla corte d’accesso). Il nuovo accasamento consentì l’ampliamento delle proprietà di Lubriano che si estendeva dal Tevere (Est) fino al lago di Bolsena (Ovest) e da Porano di Orvieto (Nord) fino ad oltre Bagnoregio (Sud). Nulla piu’ restava intestato ai Monaldeschi della Cervara; con Paolo Antonio si era estinto, non solo questo ramo della famiglia che certamente, dal 1110 al 1400, era stato il piu’ importante della casata ma anche gli altri rami dei Monaldeschi della Vipera, Monaldeschi del Cane e Monaldeschi dell’Aquila . Finiva così la famiglia a cui più di tutte è legata la parte più gloriosa delle nobile storia ampiamente descritta nel libro “LIBERO COMUNE di ORVIETO”. Un’ abiatica Bourbon del Monte Santa Maria di Paolo Antonio Monaldeschi sposò ,siamo alla fine del XIX° secolo, un erede del Principe Boncompagni Ludovisi di Roma portando in dote anche Palazzo Monaldeschi . La dimora conobbe così nuovamente giorni di festa e svago; per la prima parte del secolo scorso era infatti ancora adibita a “chalet” di caccia nonché centro di amministrazione dell’immensa proprietà che si estendeva da Baschi alla valle del Tevere, da Porano e Bolsena. Anche il Re d’Italia Vittorio Emanuele III , ospite dei Boncompagni, venne a cacciare nelle terre della Tuscia estasiato dai boschi, dalla selvaggina e dal vino. Dai primi anni ottanta il palazzo è proprietà della famiglia cosentina dei MISASI che lo acquisirono dalla marchesa Boncompagni. La famiglia MISASI ha avuto dimora fin dalla prima metà del 1400 in Paterno, borgo facente parte della “Universitas Cosentinorum” (attualmente provincia di Cosenza) ma deve il suo nome all’antica MISA da cui il nome MISASIUS (poi MISASI). Da Misa,una volta Macedonia poi Albania,un cavaliere dei MISA compagno d’armi di Giorgio Castriota “Scanderberg”,venuto sulla costa di Otranto a creare un avamposto difensivo, una volta scampato il pericolo turco dopo la vittoria nella famosa battaglia di Croia, rimase in Italia a sostenere l’alleato re d’Aragona Ferrante al quale salvò la vita in battaglia e dal quale per questo fu nominato Principe di Squillace; purtroppo morendo il giorno dopo per le ferite riportate nel compiere il nobile gesto. La famiglia da quell’evento in poi fino al 1850 risiedette in Paterno e poi per un secolo nella città di Cosenza. Essendosi spostati gli interessi della famiglia nel centro Italia da oltre mezzo secolo , la famiglia risiede in queste terre amate. In esse , nel pieno rispetto dei costumi e degli usi del luogo , ha portato e rinvigorito le proprie tradizioni più antiche armonizzandole nel nuovo contesto. Una curiosità tra queste è la “Camera di San Francesco” , ubicata al primo piano nel Palazzo, che da più di sei secoli rappresenta il fulcro e il cuore pulsante di ogni dimora della famiglia , a memoria e devozione di un singolare evento miracoloso, testimoniato da Adriano Misasi nel processo di canonizzazione di San Francesco di Paola, compiuto nella casa Misasi dal Santo, che da allora è patrono della famiglia. Oggi il Palazzo, opportunamente consolidato e ristrutturato nel rispetto dell’estetica barocca originaria, è la dimora della famiglia MISASI.

Bibliografia e Sitografia

La Storia (monaldeschi.it)

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