Gravago (fraz. di Bardi, ruderi del castello)

CENNI STORICI

Il nome di Gravago inizia ad apparire in atti ufficiali durante il sec. VIII, ed è legato alla fondazione del Monastero dedicato all’arcangelo San Michele. Risale al VII secolo, ai tempi dell'abate Attala, l'esistenza del monastero di San Michele Arcangelo di Gravago. Non lontano sorse in seguito anche il castello, edificato forse dagli stessi Longobardi a presidio del valico di Sant'Abdon (odierno passo di Santa Donna), posto lungo la via che collegava Piacenza al mare attraverso il passo del Brattello. Agli inizi del XIII secolo il maniero apparteneva ai Platoni, come testimoniato da un atto di successione ereditaria tra alcuni membri della famiglia, ma nel 1234 risultava dipendente dal Comune di Piacenza. In seguito il fortilizio passò sotto il controllo del conte Ubertino Landi, che lo affidò al suo parente Alberico Landi; quest'ultimo nel 1268 fu imprigionato dai piacentini, i quali, in cambio della sua liberazione, costrinsero Ubertino ad alienare il castello per 700 lire piacentine al Comune di Piacenza, che a sua volta lo rivendette a Rinaldo Scoto al prezzo di 3000 lire piacentine. I Lusardi, alleati di Ubertino, attaccarono il maniero e lo restituirono al Conte, che nel 1269 vi si rifugiò in seguito alla perdita del castello di Bardi,respingendo l'attacco da parte dei piacentini, aiutati dai milanesi e dai parmigiani; negli anni successivi Ubertino visse in una grande casaforte a Brè di Gravago, detta Caminata in quanto provvista di camino, non lontana dall'angusta fortezza, pianificandovi la riconquista della val di Taro. Alla sua morte il castello passò ai suoi eredi Landi, che ne mantennero il possesso fino al 1687; perse le originarie funzioni difensive, il maniero, ormai profondamente degradato e semi-abbandonato, fu allora acquistato dai conti Platoni di Borgo Val di Taro. Nel 1772 il duca di Parma Ferdinando di Borbone ingiunse al conte Carlo Platoni di lasciare Gravago, per ritirarsi a Borgo San Donnino; in seguito all'abolizione napoleonica dei diritti feudali del 1805, il castello e le sue adiacenze passarono alla giurisdizione del Comune di Bardi. Nel 1928 l'antica fortezza si presentava già in buona parte distrutta, ma vi si conservava ancora integra una stanza sotterranea coperta da soffitto a volta Nella zona piacentina vengono enumerati nel privilegio di Ildebrando, re dei Longobardi, del 21-3-744, ben 5 Monasteri, in città quelli di San Tommaso e quello di San Siro, in Diocesi quello di Fiorenzuola, di Val di Tolla, e di Gravago. Osservando la zona di Gravago da Bardi si può notare una netta separazione tra la parte alta e la parte bassa.  Il declivio abbastanza dolce che partendo dal torrente Noveglia giunge fino ad una linea approssimativamente identificabile con le frazioni di Brè, Pieve, Bergazzi, Osacca, si interrompe bruscamente contro una serie di contrafforti rocciosi a forte pendenza oltre i quali inizia la zona boschiva (la Tagliata, Cornaleto), ecc. che culmina con il Barigazzo. Su uno dei contrafforti più selvaggi si notano i resti di due costruzioni, non facili da scorgere, a causa del colore cupo che si confonde con le arenarie, esse sono i resti del Castello di Gravago e, spostata a monte rispetto al Castello stesso, la presunta torre di avvistamento denominata la Battagliola.  Importante per le comunicazioni fra la valle del Ceno e quella del Taro attraverso il valico del Santa Donna (precedentemente chiamato Sant'Abdon), il castello dominava questo punto di passaggio, obbligatorio anche per la via, di maggior rilievo, che univa Piacenza al mare per il passo del Bratello. Dopo la Rocca di Bardi, che ha continuato, dal 1000 ad eccellere dominatrice sulla valle del Ceno, il castello di Gravago è sempre stato il più forte di quel territorio tanto importante e contrastato in tutte le guerre intestine di quei tempi.

Bibliografia e Sitografia

https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Gravago

Articoli di approfondimento

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VIII sec.

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