Falcinello (fraz. di Sarzana, ruderi del castello della Brina)

CENNI STORICI

«Sul monte Brina, proprio sul cocuzzolo, si possono scorgere i ruderi dell’omonimo castello, più precisamente una torre circolare abbattuta da cui anche la denominazione di “torraccio”. Questo castello è stato eretto, verso la metà del XI secolo, per il volere e l’opera del vescovo di Luni. Sorto come un fortilizio di difesa e di controllo sulla strada (la Francigena) che, proveniente da Sarzana, proseguiva verso Ponzano Alto e da lì verso la Pianura Padana. Era la più breve e sicura “Via del sale” e di tutte le altre mercanzie, in alternativa a quella principale, che passava da Santo Stefano Magra ed Aulla. Le poche notizie sulla Brina si rilevano principalmente dal codice “Pelavicino”, nel quale sono riportati gli atti e le rendite relative ai beni della chiesa. La prima volta che appare il nome Brina è in un contratto datato 25 maggio 1055, dove un certo Guglielmo di Borcione cede a Bonaccorso di Bolano due staia di frumento e figurano come testimoni Lazzarello Calderoni di Bolano e Giacomo Corradi di Brina. Ventitre anni dopo (14 giugno 1078) un certo Pellegrino di Burcione vende al Vescovo Guidone tutte le case ed i beni che sono fuori dal muro di cinta del castello “La Brina” elencandone le località, alcune delle quali sono ancora oggi denominate come allora: Canale, Saletto, Castiglione, Palanceta, ecc. “La Brina”, come tutti gli altri castelli, non era solo un fortilizio, ma l’agglomerato centrale dove si svolgeva la vita normale di un paese e dove, dalle case disseminate nella campagna circostante, ci si rifugiava in occasione di guerre. È probabile che il castello avesse pure un avamposto alle falde del monte. Oggi la collina della brina ha ben poca importanza, ma nel 1279 il vescovo Enrico si trovò in forte contrasto con i Malaspina che ne pretendevano la proprietà. Forse i Malaspina negli anni precedenti avevano approfittato anche della situazione di grande incertezza a motivo della prigionia del Vescovo Guglielmo per espandere i loro domini e per avanzare nuove pretese e diritti. In Lunigiana spadroneggiava anche Oberto Pelavicino. Nel tempo però le cose si complicarono e i Malaspina cominciarono ad avanzare pretese. Alcuni proprietari, forse spinti dal timore di diventare loro vittime, donarono le loro terre al vescovo, mantenendole a titolo di feudo per averne protezione. Il vescovo Enrico, successore di Guglielmo, tentò di recuperare i diritti perduti, spendendo anche somme ingenti, ma la Nuda e la Brina erano rimaste un ostacolo insormontabile alla tranquillità della zona. Tra il vescovo ed i Malaspina si accende una battaglia relativa al possesso di terre e castelli (fra cui quelli della Brina) che porterà ad atti di violenza e devastazioni. Negli atti del codice Pelavicino, posteriori al 1160, il vescovo è tutto proteso a conservare e ripristinare il suo potere temporale, ostacolato però da altri signori ed in particolare dai Malaspina. In un documento del febbraio 1279 è registrato pure il giuramento di fedeltà di tutta la popolazione al vescovo. Da allora il “Castello della Brina” è diventato e restato un cumulo di macerie. Attualmente il castello è oggetto di studio da parte di un gruppo di archeologi che, effettuando degli scavi nella zona, sperano di trovare resti che ci “raccontino” il passato della zona per meglio comprendere le “radici” delle nostre origini».

Bibliografia e Sitografia

https://castellodellabrina.it/area-archeologica/

Articoli di approfondimento

CITTÀ

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XI sec.

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Rudere

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