Carovigno, castello dentice di frasso

CENNI STORICI

Il documento più antico che cita un «Castellum Carovinei» è del 1163: si tratta di una pergamena dell'Archivio Capitolare di Ostuni, pubblicata da Ludovico Pepe in Memorie storico-diplomatiche della Chiesa Vescovile di Ostuni.

Il documento cita un certo Filippo di Ursone, il quale, nell'acquistare una casa sita in detto «Castellum», si obbligava a dare annualmente una libbra di cera al Vescovo di Ostuni.

Dovrebbe, dunque, essere di origine normanna la prima torre, che coinciderebbe con quella situata tra il cancello di ingresso e la porta delle mura rivolta verso Ostuni.

All'inizio era un castello feudale sotto la dominazione normanna di Goffredo III di Montescaglioso (1163), poi sotto la dominazione sveva di Robert de Biccari (1194), quindi con la dominazione angioina di Adamo de Tremblay (1306).

Un primo nucleo del castello esisteva già quando, nel 1306, scoppia la contesa fra Manfredo de Carovineo, feudatario dal 1273, ed il cavaliere angioino Adamo de Tremblay, un terribile despota, il quale divenuto feudatario nel 1306, si attira l'ostilità dei carovignesi costretti a ricorrere al re Carlo Il per un suo intervento, il quale intervenne obbligandolo a restituire ai cittadini le proprietà che aveva tolto loro indebitamente.

Da Adamo de Tremblay il feudo ed il castello passano alla famiglia Sembiase e nel 1327 a Carlo de Carvigna. Nel 1330 il feudo passò sotto la signoria di quel vasto e potente principato che faceva capo ai principi di Taranto e nel 1382 diviene proprietario Raimondo del Balzo Orsini, Principe di Taranto. A quest'ultima famiglia, ed in particolare a Raimondo del Balzo Orsini, viene attribuita la costruzione della torre circolare, il consolidamento della muraglia del lato di levante.

Ciò è desumibile, poiché tale nome risulta da una iscrizione lapidea mezza cancellata, che si trova sul pezzo di antica muraglia dalla parte del cosiddetto "Forno Del Prete", e c'è anche da pensare che il Principe avesse restaurato pure la muraglia per mettere la «Terra di Carovigno» in perfetto stato di difesa, così come i tempi richiedevano.

Siccome i nemici più terribili allora erano i corsari, il palazzo con la sua gran torre vennero costruiti dalla parte che prospetta il mare Adriatico, per far testa al sistema di fortificazione, che comprendeva pure altre torri addossate alle muraglie, così come si vede da quell'unica rimasta, la quale difendeva la cosiddetta, allora, "Porta di Brindisi".

Il principe Raimondo del Balzo Orsini, morendo nel 1407, lascia tutti i beni ed il castello di Carovigno alla moglie, la Regina Maria d'Enghien, Contessa di Lecce.

La prima descrizione del castello è documentata nell'inventarioo del 1444, attribuito a Maria d'Enghien: «Item have dicta "Item have dicta corte uno palazzo con sala cammare stalle et cellaro, molino, acquaro et conservarie, ed altri assai membri con una torre al costato de dicto palazzo verso Hostuni».

Siccome il principe di Taranto Raimondo del Balzo Orsini e la sua consorte, la Regina Maria d'Enghien, non ebbero figli, il re Ferdinando I d'Aragona nel 1464 decise di donare il castello ed il feudo a Bartolomeo de Ursinis, in relazione ai preziosi servizi resi.

Nel 1492, il feudo di Carovigno viene concesso da re Ferdinando I d'Aragona a Giovan Gaspare De Loffreda, proveniente dall'illustre famiglia napoletana che vanta uomini famosi nelle armi e nel governo (il più potente, Ferrante Loffredo, fu governatore di Terra d'Otranto e Viceré dal 1570 al 1572). Dopodiché il destino del feudo e del castello è il seguente: dal barone Pirro Loffredo (1500) al barone Gaspare Loffredo (1507), dal barone Giuseppe Loffredo (1520) al barone Leonardo Loffredo (1529), dal barone Scipione Loffredo (1562) al barone Pirro Loffredo (1589) (una stirpe che comincia con un Pirro e si chiude con un Pirro). Questo mutamento di famiglie, verificatosi tanto spesso, derivava non solo dalla facile mancanza di eredi, ma anche dalle inadempienze agli obblighi del feudatario verso la Corona, per cui seguivano devoluzioni e concessioni nuove.

In questo periodo, sotto la famiglia Loffredo, il castello assume la fisionomia, anche oggi in gran parte visibile, di fortificazione tardo medievale di impianto triangolare, con torri ai vertici collegate da massicce cortine. La torre a sud, quadrata, con muro d'attico perimetrale in aggetto, potrebbe essere una preesistenza del periodo normanno. Una cordonatura perimetrale, ora interrotta in più tratti, fasciava unificando l'intera fortificazione.

La torre ad ogiva, a nord-ovest, sulla quale esiste ancora l'arma vajata dei Loffreda, costruzione tipologicamente cara fra le fortificazioni italiane, è attribuita a Francesco di Giorgio Martini. Non può certo essere questa la sede per riaprire il dibattito su tale attribuzione; resta comunque attendibile l'ipotesi della presenza, presso la corte illuminata del principe di Taranto Giovanni del Balzo Orsini, (fra il 1491 e il 1492), dell'architetto Di Giorgio Martini al quale, fra l'altro, si deve la configurazione dei castelli di Gallipoli, Taranto ed Otranto.

La presenza dell'architetto senese ha sicuramente influenzato l'architettura militare pugliese del primo '500, in un momento in cui le nuove tecniche di guerra e di combattimento rivoluzionano i sistemi di difesa; infatti, in caso di attacchi con palle di cannone, la sagoma triangolare della costruzione avrebbe permesso di deviare i colpi e di resistere meglio di un normale muro piatto.

La famiglia Loffreda del resto, non può non essere inserita nella cultura architettonica dell'epoca, dal momento che alcuni suoi membri ricoprono le più alte cariche presso il governo centrale.

Ai Loffreda succede il Marchese Padula, nel 1595 ed il castello viene (secondo il Tabulario Pitella) cosi descritto: «… et cum uno Castello con bonissima et comodissima habitatione per qualsivoglia titulo, poiché vi è ogni commodità et cum molte fosse, lustre che sono coié magazeni per tenere vittuaglie et anco per reponere ogli ...».

Nel 1597 il castello passa ad Agostino Caputo, poi nel 1619 il feudo ed il castello passano alla nobile famiglia genovese Serra, quindi ad Ottavio Serra nel 1629.

L'inventario del 1622, redatto dal notaio Giovanni Scatigna di Carovigno, conservato presso l'Archivio di Stato di Brindisi, quando il feudo e il castello passano alla famiglia Serra, testimonia l'uso esclusivo di residenza ricca e fastosa dell'edificio, per la quantità di mobili, suppellettili, oggetti d'uso e capi di abbigliamento. L'inventario dunque avvalora l'ipotesi della trasformazione a quella data del castello, da fortezza militare a residenza signorile.

Il De LeIlis, in Famiglie nobili del Regno di Napoli del 1671, ricorda l'ospitalità offerta, nel castello di Carovigno, ad una compagnia di nobili veneziani.

Fino agli ultimi anni del '700, il castello, prende sempre più la caratteristica di abitazione signorile.

In quel periodo il castello è soggetto a diversi passaggi di proprietà: da Ottavio Serra (che ricordiamo ha edificato il castello di Serranova, ottenendo il titolo di marchese di Serranova) al vescovo Scipione Costaguti nel 1653, da questi nel 1661 a Giuseppe Castaldi, quindi a Giulio di Sangro nel 1684, ed infine al barone Nicola Granafei nel 1702.

A proposito del barone Granafei, si narra che questi, volendo ad ogni costo amoreggiare con mire disoneste con la figlia di una nobile famiglia paesana, ne provocò talmente i fratelli che un giorno questi decisero di fargli una solenne lezione manesca indimenticabile. Fattogli sapere che la giovane sorella l'attendeva di notte tempo nel proprio palazzo, oggi detto di Donna Fiora, essi vi si nascosero; onde il barone, come vi entrò, fu preso e legato, e dopo averlo percosso ai fianchi con mortali colpi dati con sacchetti di sabbia, lo chiusero in un sacco che andarono a deporre davanti al portone del Castello. Qui rinvenuto la mattina seguente nel più ridicolo e commiserevole stato dai suoi cagnotti, vulgo e giannizzeri, che formavano il presidio baronale di quei tempi, fu trasportato al castello. Dopodiché la famiglia della giovane, per sfuggire alle implacabili persecuzioni del barone, fu costretta ad emigrare a Brindisi. Il barone, non sapendo come altrimenti far vendetta dell'atroce offesa notturna ricevuta, fece vigliaccamente tagliare gli alberi della piantata allora appartenente alla sopradetta famiglia.

Quindi il feudo ed il castello pervennero nel 1742 al principe di Francavilla Fontana Michele Imperiali, con il quale il castello completò definitivamente la trasformazione da fortezza militare a residenza signorile. A sostegno di tale ipotesi, può intendersi il Catasto Onciario redatto dall'Università di Carovigno nel 1742 che, nel descrivere i beni del Principe di Francavilla Fontana, Michele Imperiali, fra l'altro riporta: «Possiede nel ristretto di questa terra un Palazzo consistente in sala, camere soprane, e sottane, rimessa, e stalla e sotto detto Palazzo vi è un magazzeno per rimettere ogli, e cantina, con la chiesa ancora attaccata a detto palazzo, e tutto detto comodo serve per uso proprio».

Inoltre, Cosimo De Giorgi, nel suo La provincia di Lecce, stampato nel 1888, rivela che, «Entrando nell'atrio del castello si nota che ha perduto l'antico suo aspetto: le nuove costruzioni, eseguite al tempo degli Imperiali, gli hanno fatto perdere il carattere primitivo».

Con la morte di Michele Imperiali - anch'egli non ebbe nessuno che gli succedesse - avvenne l'ultima devoluzione al Regio Fisco nel 1782. Non volendo più il re saperne di concessioni feudali, ebbe termine il regime feudale, con tutte le angherie che da esso derivavano, anche se i mali maggiori non derivavano tanto dal feudatario, che per lo più dimorava a Napoli, quanto dalle persone che in sua vece amministravano.

A causa dell'aria malsana la colonia di Serranova decrebbe e si estinse.

Nel 1792 il castello di Carovigno con il relativo feudo vengono venduti in assoluto e senza obblighi di feudalità al principe Gerardo Dentice di Frasso, ma la fortezza cade nell'abbandono, fino ai "restauri" del 1906-1916.

L'equivoco atto di vendita rende complessa e litigiosa l'applicazione delle leggi murattiane sulla soppressione della feudalità e causa una lunga controversia tra il Comune e la Casa Dentice. 

Disabitato da quasi un secolo, il Castello ritorna, nel 1904, alla destinazione residenziale, quando, divenuto proprietario il Conte Alfredo Dentice di Frasso, avendo ricevuto il castello come dono di nozze, questi vi si stabilisce con la moglie, la contessa austriaca Elisabetta Schlieppenbach.

I lavori di ristrutturazione vengono affidati all'ingegnere Marskizeck, originario di Napoli, il quale, secondo le considerazioni di Armando Comez (amico dei Dentice ed autore di un opuscolo sull'arte della tessitura a Carovigno), «dovette lavorare su scarse tracce, ma la fantasia lo aiutò, permettendogli di fondere con molta saggezza gli stili predominanti in Puglia, che vanno dai rigidi motivi dell'alto medioevo alla grazia toscana del '300; dalla geometricità orientale alla esuberanza spagnolesca».

Un'altra testimonianza dell'epoca, quella di Alessandro Carlucci, autore di Il Castello Feudale del Conte Alfredo Dentice in Carovigno, descrive lo stato dell'edificio immediatamente prima dell'intervento del 1906: «Il Castello del quale ci occupiamo, oltre che avariato per vetustà minacciava rovina per profonde lesioni ed era ricettacolo di barbagianni e di altri uccelli notturni; tra le fenditure, nei trabocchetti, sui finestroni, ed all'interno delle camere, che vi rimanevano chiuse e disabitate, si rinvenivano nidiate di uccelli, oltre alle tane di topi sprofondate nel grande spessore dei muri nei quali prendeva parte un infinito numero di pipistrelli».

Il restauro eseguito negli anni 1906-1916 ha due motivazioni: da una parte il consolidamento delle strutture esistenti, compromesse dal tempo e dall'abbandono, dall'altra l'adeguamento degli ambienti ai nuovi bisogni abitativi e la messa in opera di un apparato a fini scenografici necessari all'esaltazione del prestigio nobiliare e sociale della coppia aristocratica proprietaria. L'ingegnere progettista compie un restauro con l'idea romantica della ricostruzione storica e della integrazione stilistica, secondo un indirizzo già superato dalla cultura del restauro più avanzata, ma che in Puglia e nell'impero Asburgico era ancora imperante.

Se il gusto o la moda dell'epoca, dunque, impongono un certo stile, l'ambizione del conte Dentice, uomo colto e "di mondo", ammiraglio della reale marina, trasforma radicalmente l'antica fisionomia del castello. Immediatamente prima che inizino i lavori, vengono acquistate una serie di civili abitazioni, addossate alla torre circolare del lato nord-est che determineranno una nuova corte che in seguito diventerà il «delizioso e decentissimo jardin». Fiori e piante dappertutto: «dalla palma alla rosa, ai rampicanti alle mimose, ai muschi, ai licheni...».

Non trascurabile è la presenza della contessa Elisabetta Dentice, personaggio femminile di notevole rilievo culturale, formatasi nel clima europeo dell'ultimo Ottocento, la quale probabilmente si fa portatrice di quelle "atmosfere" goticheggianti e romantiche, e ripropone, sulle vecchie mura del castello, negli interni, nelle decorazioni e negli arredi, quello stile di vita dell'ultima aristocrazia asburgica. Donna di raffinata cultura, la contessa pubblica a Trieste due raccolte di versi nel 1930 e nel 1935, mantiene rapporti, durante gli anni trascorsi a Carovigno 1906-1938, con il mondo della cultura internazionale, della finanza, della politica; ospita nel castello, trasformato definitivamente in «lussuosa e raffinata residenza», la migliore aristocrazia italiana ed europea (Registro degli ospiti illustri della famiglia Dentice fra il 1904-1944).

Quindi il castello assunse fra il 1906 ed il 1916 quell'aspetto nordeuropeo, neogotico e romantico che possiede ancora.

Le modifiche più importanti all'esterno risultano: la costituzione del cortile esterno con l'acquisizione delle "casupole" limitrofe e la loro ristrutturazione e/o costruzione con l'uso del linguaggio neogotico; la soprelevazione del coronamento perimetrale della fortificazione triangolare di parecchi metri con la costruzione ex novo di merlature e caditoie; la costruzione della torre in aderenza a quella del primo medioevo e del portico altana di 6 archi; la costruzione del porticato addossato alla torre sud ed il passaggio alla cappella di Sant’Anna; il ballatoio coperto addossato alla torre rotonda.

Nel 1961 il castello divenuto di proprietà pubblica per mezzo dell'atto di vendita stipulato fra il Conte Luigi Dentice di Frasso (nipote ed unico erede testamentario in quanto il conte Alfredo non aveva avuto figli) e l'O.N.M.I. (di cui era Presidente l'on. Giuseppe Caromia). Fu dapprima adibito a sede deIl'O.N.M.I., poi a sede della scuola media, subendo trasformazioni e ristrutturazioni che all'interno hanno determinato la distruzione in molte parti della spazialità romantica, ed all'esterno hanno provocato l'apertura, nella zona basamentale delle cortine murarie e nelle torri, di porte e finestre. Inoltre, nel cortile esterno, viene addossato all'edificio romantico un porticato in forme neogotiche.

Attualmente è di proprietà comunale.

Per qualche anno l'insigne monumento è rimasto nuovamente in stato di lento abbandono poiché l'Amministrazione comunale ha stabilito con delibera n° 120 del 30 gennaio 1985 di trasferire la scuola media in nuovi locali costruiti appositamente; però nel contempo ha deliberato l'utilizzazione del complesso monumentale a fini socio-cuIturali quali: biblioteca comunale, archivio comunale, museo archeologico, sala convegni e centro culturale.

Il progetto di restauro ha pertanto dovuto tener conto di tali indicazioni fornite dall'Amministrazione comunale.

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XII sec.

STATO DI CONSERVAZIONE

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