CENNI STORICI
Il primo nucleo di Bajardo (o “Baiardo”), risalente al primo millennio a. C., fu luogo di culto per i Druidi, sacerdoti celti che vi eressero numerosi obelischi in pietra, alcuni dei quali tuttora visibili. Ai Celti si affiancarono i Liguri intorno al VII secolo a. C., quindi gli Iberici ed i Greci che qui iniziarono a coltivare viti ed ulivi. La comparsa dei Romani si ha solo nel III secolo a. C. Furono loro a trasformare il sistema difensivo druido in fortezza, di cui oggi ancora se ne intuiscono le originarie fattezze. Sull'origine del nome del paese circola una leggenda secondo cui Bajardo sarebbe stato il nome del cavallo del paladino Rinaldo. Per quanto riguarda il periodo medievale, intorno al 1250 Bajardo divenne possesso dei marchesi di Clavesana. Pochi anni dopo però, le sempre più aggressive pressioni genovesi indussero Pietro Di Ceva e la marchesa Veirana a cedere questo possedimento al governo della repubblica marinara. L'atto di acquisto di Bajardo, con annessi diritti e prebende, fu stilato a Genova il 24 novembre 1259 al prezzo di 2.300 lire genovesi per mano del capitano del popolo Guglielmo Boccanegra. Da quel giorno Bajardo passò sotto la giurisdizione della Podesteria di Triora. Solo nell'Ottocento il territorio divenne proprietà del Regno di Sardegna. Il borgo fu quasi interamente distrutto dal terremoto del 27 febbraio 1887. Crollò anche la copertura dell'antica chiesa di San Nicolò, costruita sui resti di un tempio pagano sacro al dio Abelio. 226 persone persero la vita. Si trovavano dentro la chiesa in quel giorno di mercoledì delle Ceneri. Bajardo, data la sua posizione di assoluto dominio sui versanti italiano e francese delle valli sottostanti, fu postazione primaria della resistenza dei partigiani. Nel giorno di Pentecoste, a memoria delle proprie origini celtiche, nel borgo di Bajardo si tiene ogni anno la “Festa della Ra Barca”, unica cerimonia non religiosa della provincia di Imperia. I giovani del paese, con la sola forza delle braccia, erigono un pino, abbattuto la notte precedente e portato in nel centro del borgo. Il fusto del sempreverde simboleggia l'albero maestro d'una nave. Terminato l'innalzamento viene intonato un antico, malinconico canto, che rievoca una tragica storia d'amore. Una settimana dopo la domenica di Pentecoste, il pino viene battuto all'asta come simbolo di fortuna e felicità. Questa rievocazione ha origini in un episodio risalente al periodo delle repubbliche marinare. La storia vuole che il Conte Rubino, signore del paese, avesse fiorenti scambi di legname del Toraggio e del Bignone con la Repubblica di Pisa. Tre dignitari pisani, arrivati a Bajardo per verificare le qualità del legname, si innamorarono delle altrettante figlie del Conte. Iniziarono le frequentazioni fra i sei che culminarono con l'allontanamento furtivo di Angelina, la più giovane, dalla casa paterna per incontrare nottetempo, in quello che ancor oggi è noto come il “Viale degli Innamorati”, il giovane amato che sarebbe salpato la mattina successiva per Pisa. I due decisero allora di fuggire ed appostarsi nella rada sanremese, dove le navi pisane stavano per salpare. Appresa la notizia, il conte Rubino li inseguì e dopo averli raggiunti al Pian Chissora sul passo Ghimbegna, decapitò la figlia con la sua spada. Gli abitanti di Bajardo allora raccolsero il corpo della giovane, lo avvolsero in un manto bianco e lo trasportarono fin sul piazzale del castello.Bibliografia e Sitografia
a cura di Stefano FaveroArticoli di approfondimento
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