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L’altra faccia della storia: La religiosità popolare di Foggia

Fresco di stampa il volume di Rita Borgia, attenta cultrice della storia delle tradizioni popolari, dal titolo: La religiosità popolare di Foggia, le edicole devozionali (pp. 120, ill. b/n e colori, Foggia 2004).

Il volume inaugura la collana Tradizioni e Culti in Capitanata curata della nuova casa editrice foggiana Parnaso. 

Unico nel suo genere, il libro racconta spaccati di vita e di tradizioni che vanno dalla storia delle origini del capoluogo daunio alla fondazione degli ordini religiosi presenti nella città, alla presenza del culto religioso come espressione devozionale attraverso le edicole votive. Una guida utile e di facile consultazione, accessibile a persone di ogni età con la quale conoscere la storia e le proprie radici.

Per troppo tempo, i simboli devozionali sono stati ignorati, trascurati, depredati e distrutti. Le edicole, infatti, fino a qualche tempo fa, apparivano agli occhi del visitatore solo come delle semplici nicchie nelle quali erano contenuti i Santi protettori della strada, o del palazzo, o della casa presso cui erano ubicate.

È abbastanza semplice, a volte, rilevare come le vicende storiche dell’agglomerato urbano di Foggia coprano un arco cronologico relativamente lungo. Le origini della città tradizionalmente si fanno risalire all’anno Mille circa con il rinvenimento del Sacro Tavolo della Madonna Iconavetere affiorata dalla acque di un pantano.

Secondo il prof. Giovanni De Vita, docente di Storia delle Tradizioni Popolari presso l’Università degli Studi di Cassino, è opportuno sostenere che gli aspetti costitutivi e fondanti delle vicende storiche, senza puntare su rigide indicazioni temporali, siano da ricercarsi nelle questioni della transumanza appulo-abruzzese, tradotta in istituto giuridico dagli aragonesi [1].

Ma perché sorgono le edicole devozionali? Quando si hanno le prime tracce della loro esistenza? Non c’è, in effetti, una risposta a questi quesiti, esse sono presenti nella città in numero sempre maggiore, e solo di alcune si hanno notizie certe.

Secondo gli storici delle tradizioni esse sono sorte quasi spontaneamente probabilmente per illuminare le strade durante le ore notturne e per evitare assalti da parte delle frange di briganti verso i passanti. Altri cultori sostengono, invece, che non essendoci una datazione precisa della loro origine, esse sono sorte nel tempo per ragioni personali o legate a momenti particolarmente significativi per la famiglia che le commissiona. Certamente c’è un nesso fra sviluppo urbanistico e realizzazione delle edicole.

Il prof. Giovanni De Vita, a proposito delle edicole votive, sostiene che i segni di fede schedati e ubicati all’interno delle aree urbane delle città, spesso in alcuni casi non sono riconducibili alla tipologia dell’edicola o perché monumenti di devozione pubblica e municipale o perché cartelli indicatori [2].

Nel suo volume Rita Borgia, affiancata nel lavoro dalla restauratrice foggiana Maria Cirillo, non si limita solo a schedare le edicole per tipologie architettoniche con relativa datazione, ma le colloca in un contesto storico preciso e ne fa un’analisi storiografica puntuale, attraverso la descrizione anche della vita religiosa della città. Non sono tralasciate, infatti, la storia, la provenienza dei Santi venerati, le origini del culto con relative date di fondazione delle chiese, che l’Autrice pone in evidenza attraverso il dovizioso apparato iconografico nel quale non manca la documentazione d’archivio. Sono contemplate le riproduzioni degli atlanti antichi come quello del Michele o del Capecelatro, nonché le planimetrie dei palazzi, rinvenuti presso l’Archivio di Stato di Foggia, che impreziosiscono il testo.

Non mancano immagini di edicole ubicate in altre parti d’Italia o nei siti archeologici.

La panoramica che l’Autrice traccia della storia cittadina vista da altre angolazioni diventa nella parte centrale del volume, un insieme di immagini e colori che fanno riaffiorare alla memoria dei più anziani antichi ricordi.

Per il passante era consuetudine pregare davanti all’edicola devozionale, com’era consuetudine provvedere al riempimento delle lampade, che dovevano rimanere perennemente accese, con l’olio.

Dallo scorrere delle pagine del testo si evincono la fatica ed il duro lavoro costate all’Autrice per reperire le antiche e preziose immagini di Foggia, qualcuna gentilmente concessa da altri studiosi e cultori della storia cittadina tra cui emergono i nomi di Gennaro Arbore, Gaetano Spirito, Maria Teresa Masullo Fuiano, autrice di una delle presentazioni.

Sono riportate, inoltre, molte curiosità tra le quali: la trascrizione della canzone in vernacolo dedicata alla Madonna Iconavetere, scritta da Silvia Marangelli e Roberto Carreca, e della poesia di R. Lepore dedicata all’arco di San Michele.

A conclusione del bellissimo lavoro, segue una carrellata di edicole scomparse o riutilizzate per altri scopi, o dimenticate, o atipiche. Ogni edicola con peculiarità diverse l’una dall’altra.

Grazie all’impegno di Rita Borgia, questo contributo offre alla città uno strumento cognitivo attraverso il quale esaminare la parte inedita della nostra storia.


NOTE

1 R. AVELLO (a cura di), Segni di fede a Orta Nova, CRSEC, Cerignola, Foggia 2000,  pp. 9 e ss.

2 Ibidem.

©2005 Lucia Lopriore

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Microstorie

Il magistrato che fece tremare il Duce

Le Memorie e la Cronistoria del processo Matteotti  di Mauro Del Giudice in un volume curato da Teresa Maria Rauzino

Fresco di stampa il nuovo libro curato da Teresa Maria Rauzino dal titolo: “Il magistrato che fece tremare il Duce. Mauro Del Giudice – Memoria e Cronistoria del processo Matteotti”, con prefazione  e coordinamento editoriale di Silverio Silvestri e postfazione di Michele Eugenio Di Carlo (Ediz. Amazon Italia Logistica S.r.l., Torrazza Piemonte (TO), pp. 286, prezzo € 18,72).

In questo ultimo lavoro che ha richiesto anni di impegno, peraltro basato su fonti inedite, per la prima volta L’Autrice, attraverso il rinvenimento delle Memorie inedite del magistrato, ripercorre le fasi salienti della Sua vita professionale e personale.

Di grande rilievo è poi il periodo, molto sofferto e turbolento, trascorso durante l’istruttoria del processo per l’assassinio dell’onorevole Matteotti nel quale il principale responsabile fu il Regime Fascista.

Del Giudice consapevole di questo, da uomo integerrimo, cercò di far emergere una verità scomoda, una verità che doveva essere celata a tutti i costi. L’Autrice nell’ introduzione scrive:

«Questo manoscritto inedito, donato da Del Giudice al Comune di Rodi Garganico, lo abbiamo fortunosamente ritrovato nella locale biblioteca, dove sono collocati, in ordine sparso, i libri del magistrato, alcune sue opere pubblicate a stampa e le sue “carte inedite”. Un’ulteriore ricerca in varie biblioteche italiane ci ha permesso di recuperare in fotocopia i volumi mancanti. Soltanto così, già in un precedente nostro saggio, pubblicato da Giuseppe Cassieri nella collana “Gli ori del Gargano”, abbiamo potuto avviare una prima analisi del pensiero giuridico-letterario del magistrato rodiano».

Nel Proemio delle Memorie inedite, datato Trani 26-XII-1928, Del Giudice sottolinea le motivazioni che lo hanno spinto a raccontarsi, ad affermare le sue verità. Giunto alla fine di una lunga, travagliata e spesso dolorosa carriera, reputando di aver assolto il compito da Dio assegnatogli in questo mondo, vuole mettere a profitto i pochi giorni che gli restano da vivere, “per buttare, così alla buona, sulla carta, le memorie della vita trascorsa. Scrivo per dire il vero sul mio conto e non già per odio di altrui o per disprezzo”, tende a precisare. Il magistrato rodiano è amaramente persuaso che il mondo volti le spalle agli uomini virtuosi, facendo loro scontare questo pregio, mentre celebra il successo raggiunto “per la via più rea” dagli uomini mediocri. Spetta ai posteri l’ardua sentenza: “La posterità è un giudice severo, ma giusto, imparziale e illuminato. La verità è insopprimibile, viene sempre alla luce”».

«Il mezzo migliore perché la verità risplenda – sottolinea Del Giudice – è raccontare i fatti salienti della propria vita, offrendo al pubblico un’ampia copia di dati e documenti, atti a frustrare le nefaste azioni dei detrattori e di chi ha interesse a nascondere la verità». Ma questo lavoro anche se riuscirà a terminarlo, difficilmente vedrà la luce negli anni della dittatura fascista, e comunque prima della sua morte: forse rimarrà per sempre inedito se, chi lo amò e gli sopravvivrà, non avrà cura di pubblicarlo, per rivendicare la sua memoria che, forse, il dente della calunnia cercherà di lacerare (ovvero offuscare del tutto)».

«Un compito – scrive la Rauzino – che ci accingiamo ad assolvere noi, dopo novantaquattro anni dall’inizio della stesura delle “Memorie” – perché la figura di Mauro Del Giudice merita di essere portata a conoscenza di tutti come fulgido esempio di onestà intellettuale. Le “Memorie”, attraverso la filigrana della sua vita, testimoniano esemplarmente la sua irruente forza morale. Del Giudice spera che la sua esperienza sia di aiuto agli uomini probi, onesti ed amanti del vero. Sarà un documento utile per far loro capire quanto sia dura la strada da percorrere …  specie per chi, come lui, ha avuto la disgrazia “di nascere sotto gravoso e pesante cielo, in terreno servo e soggetto e ferace di pungenti spine e d’inestricabili pruni e triboli”. Il magistrato cita letture, frasi di poeti e scrittori classici, passi danteschi, non per sfoggiare la sua erudizione, ma per validare le sue azioni. Il corpus di testi e autori spazia in diverse aree: filosofia, teologia, storia dei popoli, diritto civile, letteratura, mitologia, cronaca dell’età contemporanea, raccolte di studi storico-giuridici sul pensiero illuminista. Le recensioni ai suoi libri sono la prova della circolazione delle sue idee e del suo nome».

Dopo travagliate vicende di vita vissuta in diverse regioni d’Italia, verso il calare della tarda età, Mauro Del Giudice si ritirò a Vieste dove completò i Suoi scritti narrando gli avvenimenti della propria vita, specie quelli che lo avevano coinvolto nell’istruttoria dell’assassinio di Giacomo Matteotti.

A tale riguardo la narrazione si fa esplicita ed interessante. La Rauzino analizza con rigore scientifico le cronache dell’epoca ad iniziare da quelle locali. Ella, tra le tante, riporta alcuni brani del giornale “Il Foglietto” di Lucera e scrive:

Il «Foglietto», giornale della Daunia, il 22 giugno 1924, nell’articolo “La commossa indignazione della Capitanata per l’orrendo assassinio dell’on. Matteotti“, commenta così il delitto politico più eclatante del Ventennio, che farà vacillare seriamente il governo fascista:

«Un crimine truce e fosco senza precedenti nella storia politica del nostro paese – la barbara uccisione dell’onorevole Matteotti – ha intensamente commosso la nazione tutta. Anche perché dall’istruttoria vengono giorno per giorno fuori gravi e tremende responsabilità, dirette e indirette, di personaggi del partito dominante che occupavano posti eminenti nelle gerarchie del Partito e nella Politica. All’indignazione dell’Italia e del mondo civile si è associata la nostra Capitanata che con virile compostezza segue ora ansiosa le vicende delle indagini e gli eventi politici, nella fiduciosa speranza che l’opera della giustizia voglia rintracciare e colpire gli assassini e che – ristabilito sovrano l’imperio della legge per tutti – il sangue dell’onorevole Matteotti voglia fecondare l’auspicata normalizzazione che sola potrà assicurare alla nazione un periodo di tregua, di pace e di lavoro. La Nazione sovratutto».

L’editorialista del foglio lucerino informa i lettori che la grave e delicata istruttoria del processo è stata avocata dalla Sezione di accusa di Roma, presieduta da un magistrato di «altissimo valore morale e giuridico»: Mauro Del Giudice. L’insigne magistrato, autore di numerose, apprezzate pubblicazioni, è un comprovinciale, nativo della «forte» terra garganica, pubblicista del settimanale: «È titolo d’orgoglio di questo giornale essere stato onorato della collaborazione e della simpatia del commendator Del Giudice. Alla sua opera illuminata e alla sua coscienza adamantina son rivolti, in vigile e fiduciosa attesa, l’interesse e la dignità della Nazione. L’illustre figlio della Capitanata renderà ancora un gran servizio alla giustizia e alla civiltà».

Il 10 giugno 1924, quando per Roma si sparse la voce che una banda di criminali fascisti aveva rapito il deputato socialista Giacomo Matteotti, Mauro Del Giudice ebbe l’immediata premonizione che «una tegola stesse per cadere sulla sua povera testa». L’indagine, avviata dalla Procura generale, aveva dato scarsi risultati. Come era accaduto in precedenza per i delitti politici di eccezionale gravità, il procuratore Crisafulli presentò l’istanza per l’avocazione dell’istruttoria alla Sezione di accusa, della quale Del Giudice era presidente. Quella mattina, questi trovò il documento sul suo tavolo. Il suo amico Donato Faggella, primo presidente della Sezione di accusa, con aria apparentemente indifferente, gli domandò: «Che intendi fare?». Del Giudice non era abituato a tirarsi indietro. Non lo fece neppure quella volta. Sebbene avesse sessantotto anni, non delegò ad altri la responsabilità di un’istruttoria scottante che coinvolgeva il Direttivo del Partito nazionale fascista e il Capo del Governo. Faggella aveva ricevuto fortissime pressioni per esercitare tutta la sua influenza su Del Giudice, per indurlo a rinunciare all’incarico. Stimava troppo il magistrato rodiano per insistere, ma lo mise in guardia sull’alta posta in gioco, la credibilità della Giustizia: «Del processo che tu istruisci non rimarranno che le sole carte, però da esso deve uscire intatto l’onore della Magistratura di Roma». Del Giudice era ancora più pessimista: di quell’istruttoria, molto probabilmente, non sarebbero rimaste neppure le carte, il Regime le avrebbe fatte sparire dopo aver operato il salvataggio degli assassini, dei loro complici e mandanti. Rassicurò Faggella: avrebbe reso onore alla Corte d’appello di Roma. Il suo nome sarebbe uscito illibato. Si augurava che anche i suoi colleghi facessero altrettanto.

Mauro del Giudice alla Quartarella alla ricerca del cadavere di Matteotti

Il 19 giugno 1924 iniziò l’istruttoria. Il procuratore Crisafulli, che riceveva direttive dal ministro Oviglio, gli affiancò il sostituto Umberto Guglielmo Tancredi. Del Giudice temeva interferenze, ma i suoi dubbi sparirono quando vide che quest’ultimo era disponibile ad accertare le responsabilità degli esecutori materiali del delitto e anche degli alti mandanti, compreso Mussolini.

La sera stessa, Del Giudice e Tancredi si recarono al carcere di Regina Coeli. Interrogarono Amerigo Dumini, il quale, appena li vide, con spavalderia disse: «Ma loro cosa sono venuti a fare? Il Presidente (Mussolini) è informato di quanto loro stanno facendo?». Del Giudice lo fissò severamente. L’inquisito capì che, se avesse mancato di rispetto ai magistrati, per lui era pronta la cella di rigore; mise da parte i suoi modi arroganti, ma negò ogni responsabilità. Quando, due mesi dopo, la giacca di Matteotti fu trovata sotto un ponte della Flaminia, Del Giudice tornò a interrogarlo ponendogli sotto gli occhi l’indumento macchiato di sangue, ma anche questa volta Dumini non mostrò alcun cedimento.

Mauro del Giudice alla Quartarella alla ricerca della giacca di Matteotti

La vicenda Matteotti suscitò un forte interesse pubblico e mediatico. Quando l’Agenzia Stefani annunciò che Del Giudice aveva emesso i mandati di cattura contro Cesare Rossi (direttore dell’ufficio stampa, eminenza grigia del Duce) e contro Giovanni Marinelli (segretario amministrativo del Partito fascista), si registrò immenso stupore e vivissima soddisfazione non solo a Roma, ma in tutta Italia. Si capì che l’autorità giudiziaria sarebbe andata fino in fondo.”

Furono tante le testimonianze raccolte sul caso, ma alla fine:

“Mussolini, tramite il segretario del Partito fascista Roberto Farinacci, avvocato di Amerigo Dumini, ottenne che il processo fosse trasferito a Chieti «per ragioni di ordine pubblico». Con sentenza del 24 marzo 1926, la Corte d’Assise teatina, addomesticata dal Regime fascista, mise fine alla vicenda processuale dell’assassinio Matteotti: assolse Malacria e Viola, e condannò a poco più di 5 anni di reclusione Dumini, Volpi e Poveromo. Non potendo smontare il corposo impianto accusatorio raccolto nei quarantaquattro fascicoli dell’istruttoria, si operò la separazione tra responsabilità del rapimento e responsabilità dell’omicidio, orientando così la sentenza verso il meno grave reato preterintenzionale.

Pene di fatto scontate per pochi mesi dai condannati, grazie al provvido decreto emanato il 31 luglio 1925 – quindi dopo il deposito dell’istruttoria e prima dell’inizio del processo – che dichiarava non punibile l’omicidio preterintenzionale e i reati ad esso connessi. La tragedia del delitto Matteotti finì in una farsa”.

Come poteva il processo avere un finale diverso? Il Regime doveva “Imperare” e i colpevoli, nonostante le prove schiaccianti, non potevano essere condannati con pene gravi. Così tutto fu messo a tacere e la questione si risolse senza che la giustizia trionfasse. 

A questo punto viene da chiedersi, rapportandoci ai giorni nostri, cosa sia cambiato da allora. La Rauzino nel testo pone in evidenza gli aspetti più reconditi di una vicenda che se fosse stata trattata in un periodo diverso forse avrebbe avuto altri risvolti. Ma forse anche no.

Questi ed altri sono gli avvenimenti che emergono dalle Memorie del personaggio oggetto dello studio. A tale riguardo a noi piace evidenziare che c’è differenza fra un libro di Storia ed un romanzo storico. Il romanzo storico utilizza personaggi realmente vissuti ma le storie sono frutto della pura fantasia dell’autore, così menzioniamo il famoso romanzo de: “I promessi Sposi”, dove suor Virginia de Leyva (nata Marianna) (Gertrude), Bernardino Visconti (l’Innominato), Gian Paolo Osio (Egidio), solo per citare alcuni personaggi, restano un punto fermo nel romanzo, ma le vicende sono frutto dell’immaginazione di Alessandro Manzoni che, su suggerimento dell’amico Walter Scott, ritiratosi nella villa di Brusuglio dopo i moti del marzo 1821,  decise di utilizzare i personaggi descritti dall’abate Giuseppe Ripamonti nella sua Historiae Patriaae, (Libri X,Milano 1641), creando quello che poi sarebbe diventato un capolavoro della letteratura italiana, studiato ancora oggi.

Diversamente, il libro di storia ripercorre fasi di ricerca documentale basate su fatti accaduti ma senza aggiunte.  Facendo parlare i documenti. Quello dell’Autrice riteniamo che appartenga di certo alla tipologia del libro di Storia. Un libro avvincente e coinvolgente, una preziosa testimonianza che si aggiunge alla doviziosa produzione dell’Autrice sulla Storia del Gargano e non solo. Una ricca Appendice con documenti ed immagini inedite, infine, completa ed impreziosisce il volume. A Teresa Maria Rauzino va il nostro augurio di un meritato successo.

@Lucia Lopriore

su bonculture.it 17 0ttobre 2022

Il volume è disponibile su Amazon:

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Microstorie

Storia del Regio Liceo Lanza di Foggia

Teresa Maria Rauzino ricostruisce in un innovativo lavoro storiografico la vita del prestigioso Istituto classico di Foggia

Copertina del volume Il Regio Liceo Lanza. Dalle Scuole Pie agli anni del Regime

Il Regio Liceo Lanza. Dalle Scuole Pie agli anni del Regime. Questo il titolo del libro di Teresa Maria Rauzino, nota ricercatrice e presidente del Centro Studi “Giuseppe Martella” di Peschici, edito per i tipi delle Edizioni Parnaso di Foggia (ill., pp. 400, prezzo € 20,00).

Questo lavoro inaugura la prestigiosa collana editoriale intitolata “Anni di Scuola” della neonata casa editrice di Luigi Pietro Marangelli che tiene a “battesimo”, con questa pubblicazione, l’Autrice. È questo infatti, il primo lavoro monografico di Teresa Maria Rauzino, che finora è stata impegnata a lungo nel recupero della storia e delle tradizioni della sua cittadina d’origine e del Gargano. Non nuova alle iniziative editoriali (ha curato alcuni volumi de “I luoghi della memoria” del Centro Studi Martella) è stata, recentemente, protagonista di una “battaglia” che l’ha vista e la vede impegnata, con la sua associazione e la professoressa Liana Bertoldi Lenoci, nel recupero dell’antica abbazia benedettina di Kàlena.

Il volume appena editato, frutto di una difficile ricerca durata tre anni e mezzo, racconta la storia del mitico Liceo “Vincenzo Lanza” di Foggia dalle origini fino agli anni immediatamente successivi al regime fascista. Un lavoro unico nel suo genere, che rappresenta una pietra miliare non solo per lo storico Istituto e per la città, ma anche per la storia dell’ordine classico.       

La Rauzino, ex allieva dell’Istituto, ha voluto rendere omaggio alla sua scuola, ricostruendo uno spaccato di vita, di storia, di costumi, di usi e di consuetudini della città di Foggia. Lo studio, meticoloso e capillare per la metodologia storiografica seguita, traccia, attraverso un lungo excursus storico, derivante dalla consultazione delle carte degli archivi pubblici e privati, una nuova strada per acquisire conoscenze sulla storia della scuola.

Varie le tematiche proposte dall’autrice in questo lavoro: in primis affronta il tema della importanza degli archivi scolastici come fonte di ricerca, dove paragona l’esperienza della ricerca storica ad una «entusiasmante avventura che può portare alla scoperta di piccoli tesori o, come più spesso è probabile, al deludente nulla». Nel capitolo relativo, parla degli archivi scolastici e dell’importanza di preservarli dalla distruzione e dall’incuria.

Per il “Liceo Lanza” è successo proprio questo: il trasferimento delle sedi, gli eventi bellici, l’incuria da parte di chi, insensibile al problema del recupero cartaceo, non si è preoccupato nel tempo della conservazione dei documenti, preziosa fonte per tutti gli storici, utile alla ricostruzione degli eventi del passato. Per l’Istituto di Foggia, l’avventura della dispersione documentaria cominciò con lo storico incendio della sede del Palazzo di Città, nel 1898, quando il popolo foggiano insorse contro gli amministratori a causa delle tasse troppo alte. Allora il Liceo “Lanza”, che nel 1868 aveva rimpiazzato le Scuole Pie nell’attiguo Palazzo San Gaetano, antica sede dei Padri Scolopi, si era appena spostato a Palazzo Lanza, attuale sede dell’Università. Nell’incendio del municipio furono bruciate tutte le carte dell’archivio comunale. Il danno fu di una tale entità che, ancora oggi, i ricercatori trovano difficoltà a colmare il vuoto storico lasciato dalla distruzione di quell’archivio.

I PRESIDIDUCE

La parte centrale del volume interessa tematiche varie che vanno dalle politiche scolastiche postunitarie, alla didattica nell’Ordine classico, al sorgere della scuola come Liceo, ai primi docenti, alla fondazione del convitto, fino a tracciare una curva ascendente che arriva agli anni del Ventennio fascista, in cui la scuola era funzionale alla cosiddetta “fabbrica del consenso”. Ed è proprio dalla lettura di queste pagine che emerge la personalità dei “presididuce” come vengono definiti, in quel periodo, i capi d’Istituto.

«I Presidi dell’epoca – si legge nel libro – ci forniscono notizie sugli studenti e le loro famiglie, e soprattutto sulla classe docente, sottoposta ad un controllo che oggi ci sembra davvero poco rispettoso della libertà di insegnamento e della privacy […]. La documentazione di prima mano, ci ha permesso la ricostruzione di una tranche de vie, che illustra il “fare scuola” negli anni del Regime. La storia del Regio Liceo “Lanza” diventa storia emblematica di una scuola, più o meno allineata alle direttive di un governo dittatoriale. Diventa storia di un gruppo significativo della classe dirigente italiana, i Presidi, in un periodo cruciale della storia nazionale, in cui la scuola è un binario privilegiato per veicolare una “missione forte”: forgiare il “nuovo italiano di Mussolini”».

In questo contesto, si evince il tratto umano dei personaggi protagonisti della vita scolastica.

Uno fra tutti, può senz’altro essere rappresentato dal prof. Oronzo Marangelli, docente dissidente degli anni del Regime. Il professore, grazie alla segnalazione negativa e di un ispezione ministeriale sollecitata dai “presideduce” del Lanza e del Poerio, viene volutamente allontanato da Foggia e confinato a Benevento perché personaggio ritenuto “pericoloso” per la scuola. Chi la pensava in modo diverso dall’ideologia in quel tempo dominante non poteva quindi insegnare nel “Palazzo degli Studi”, allineato su strette posizioni governative. Esperto paleografo, autore di opere elogiate dal Kehr, Marangelli era stato già allontanato dalla Biblioteca Minuziano di San Severo a causa delle sue idee politiche: nei suoi articoli sul «Popolo nuovo» si era permesso di “ignorare” i meriti del fascismo e di Postiglione quando aveva parlato dell’importanza dell’Acquedotto Pugliese per “l’arsa Puglia”.

Certo il “caso” Marangelli doveva costituire “l’esempio” della sorte toccata ai dissidenti, affinché nessuno di essi potesse agire autonomamente manifestando le proprie idee, soprattutto a scuola, ma fu davvero soltanto questo il motivo dell’allontanamento di Marangelli dal Palazzo degli Studi foggiano? A nostro avviso, il motivo dell’emarginazione del professore poteva derivare dalla celata paura di essere “scavalcati” da una persona molto più colta, più intelligente, più sensibile e più lungimirante di coloro che, accecati dall’ottusità derivante dal ruolo del momento, applicavano alla lettera le paradossali ed inaccettabili idee imposte dal regime.

Confinato a Benevento, non riuscendo a sopportare tale situazione, Marangelli pur di ritornare a Foggia dalla sua famiglia, si era imposto di “rientrare nei ranghi”… ma tutto fu inutile. Dovette rifare il concorso nazionale (risultò primo) per tornare ad insegnare in Puglia. Dalla lettura di queste dense pagine di storia, il professor Marangelli emerge come la vittima sacrificale di un regime limitativo della libertà di pensiero.

Un altro aspetto che evidenzia le peculiarità del clima politico di quegli anni, è dato dai frequentatori della “Libreria Pilone” di Foggia, che riuniva gli intellettuali dissidenti della città. Costoro andavano contro il regime fascista, ed erano persone costrette a mascherare il loro pensiero politico in nome degli “ideali imposti dal Regime”. Si riunivano segretamente mettendo a rischio la libertà personale, come accadde per i professori Francesco Perna ed Antonio Vivoli che vennero tradotti a Bari dall’Ovra quando fu scoperta la loro appartenenza al Partito Liberal Socialista di Tommaso Fiore.

Dal libro della Rauzino emerge uno spaccato di vita e di consuetudini che oggi ci sembra lontano anni luce. Inconcepibile risulterebbe oggi, ai nostri occhi, il ruolo della donna nella società durante gli anni del regime: era relegata al ruolo di madre e moglie, di angelo del focolare, di massaia votata all’arduo compito di educare i figli per la “Patria”. Queste idee, durante gli anni del regime, vengono proiettate anche nella scuola. I presididuce, in quegli anni convinti sostenitori delle idee del regime, fecero di tutto per mettere in difficoltà le colleghe: nelle loro relazioni al Ministero dell’Istruzione pubblica e dell’Educazione Nazionale non mancano di sottolineare quale fosse il ruolo della donna: non nella scuola o negli uffici, ma a casa! A curare i figli. Tutto questo però si rivela un fallimento, la donna non abbandona il proprio ruolo di educatrice e di madre ma non lascia nemmeno che le idee misogine dei presidi prendano il sopravvento.

Non mancano nel volume della Rauzino momenti densi di pathos, che emergono dal ricordo dei protagonisti delle interviste, personaggi che oggi costituiscono le classi dirigenti e non solo, nomi come Renzo Arbore, Antonio Pellegrino, Gustavo de Meo, Gaetano Matrella, Mario Pellegrini, Emilio Benvenuto, Mario Sarcinelli, solo per citarne alcuni. Ciascuno, secondo la propria esperienza, si è raccontato ed ha raccontato il modo di vivere della scuola dagli anni Trenta agli anni Cinquanta. Oggi sono tutti valenti professionisti noti a livello nazionale ed internazionale… se solo si pensa ad Arbore e a Sarcinelli. Gli alunni del Liceo sono diventati gli uomini pensanti di oggi, questo dalla fondazione ad oggi è l’intento precipuo della “Scuola”: quello di “forgiare” le classi dirigenti del “domani”.

Questa idea di “ammaestrare” è stata sempre presente nelle classi dirigenti scolastiche fin dal periodo postunitario, nella seconda metà dell’Ottocento. Anche quando fu fondato il Regio Istituto Tecnico “Pietro Giannone” di Foggia, nel 1885, in una relazione relativa agli anni 1887-88, il Preside Narciso Mencarelli affermava che il compito dei docenti dell’Istituto era quello di «Ammaestrare la gioventù ai principi del vero». (n. d. r.)

La frequenza al “Liceo Lanza” non fu solo appannaggio di chi poteva permettersi di “studiare”. Con le imposizioni dei Presidi che si sono succeduti, non si è voluto distinguere, ma si è sempre cercato di “uniformare” tutti gli studenti. Basti consultare, nel volume, la lista del corredo di cui gli “Ospiti” del Convitto Lanza dovevano “dotarsi”. Negli anni a venire, tutti ebbero l’obbligo di vestire in modo uniforme, furono aboliti i pantaloni corti per i ragazzi, mentre le ragazze dovevano portare i grembiuli. Anche le insegnanti dovevano, secondo alcuni presidi, vestirsi in modo “decoroso” senza stimolare gli “appetiti” maschili.

Il volume è impreziosito dalla trascrizione di documenti rinvenuti nei vari archivi, da quello di Stato di Foggia, a quello del Museo Civico per la parte antica, a quello del Comune. Il periodo ottocentesco della scuola emerge attraverso l’analisi documentaria della carte rinvenute tra i manoscritti custoditi al Museo Civico della città. L’autrice trascrive alcune parti delle relazioni di padre Marcangelo; non mancano inoltre: gli Statuti del Convitto, la scuola che precede il “Liceo”, i relativi Bilanci con i Rendiconti degli introiti del Convitto, il quadro orario delle lezioni, i voti d’esame degli allievi del 1868, ecc. Notizie inedite che tratteggiano i primi anni della vita della scuola. Anche queste sono pagine importanti, pagine che descrivono per la prima volta la situazione storica del momento: i contrasti, le scelte derivanti da una politica che contrapponeva le Scuole Pie degli Scolopi a quelle pubbliche, la Destra storica alla Sinistra. E, se riflettiamo, tutto ciò non si discosta molto dalla situazione politica di oggi. 

Un profilo di Vincenzo Lanza, scienziato e patriota tratteggiato da Nazario Barone, studioso di storia militare risorgimentale, chiude questo bellissimo lavoro con una serie di cartoline d’epoca a lui dedicate, che testimoniano il radicale cambiamento dell’assetto urbano, avvenuto nel corso del Novecento anche a Foggia. Le planimetrie e le incisioni antiche delle varie sedi del Liceo ritraggono la Scuola nei vari passaggi epocali.

Il libro può essere richiesto direttamente all’autrice teresa.rauzino@gmail.com

©2004 Lucia Lopriore

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Ricordando Stefano Capone

In memoria di un intellettuale di grande profilo, scomparso improvvisamente il 27 maggio 2007.

Non si può parlare di Cultura senza pensare a Stefano Capone, venuto a mancare prematuramente il 27 maggio. Studioso di grande poliedricità professionale, si è distinto nel campo dello scibile del sapere, spaziando da argomenti inerenti la storia moderna, il teatro, lo sport.

Capone ha diretto numerosi spettacoli teatrali e collaborato con più case editrici, ricoprendo al loro interno incarichi importanti. È stato direttore della prestigiosa collana editoriale “Documenti, Studi e Ricerche sul Regno di Napoli”, delle Edizioni del Rosone “Franco Marasca” di Foggia. Si laureò nel 1983 in Lettere moderne presso l’Università degli Studi di Napoli, riportando la votazione finale di 110/110, con una tesi in Sociologia della Letteratura: Documenti dell’impresa teatrale del primo periodo dell’opera buffa (relatore prof. Michele Rak).

Negli anni compresi tra il 1987-96 Capone fu docente ordinario di materie letterarie presso istituti superiori di secondo grado, ma la sua passione era insegnare all’Università.

Tra le attività didattiche, svolte presso il Dipartimento di Filologia Moderna dell’Università degli Studi di Napoli nel corso di Sociologia della Letteratura, figurano nell’anno accademico 1985-86 la conduzione di un seminario su “I teatri della melocommedia” e nel 1986-87 su “La melocommedia e l’opera buffa nella Napoli del ‘ 700” .

Nel 1993 animò un ciclo di lezioni su “L’impresa teatrale della commedia per musica” presso il corso di Storia della Critica Letteraria del Magistero di Arezzo (Dipartimento di Letterature Moderne e Scienze dei Linguaggi).

Già nella sua tesi di dottorato aveva disquisito sull’opera comica napoletana, di cui fu un profondo conoscitore. Secondo Capone, questa forma poco conosciuta di spettacolo musicale e teatrale fu di fondamentale importanza nella storia della letteratura, della musica settecentesca e del melodramma ottocentesco. Le sue influenze hanno determinato varianti del gusto, del costume e del vivere, alimentando una maniera teatrale europea (l’opera buffa), il dramma giocoso goldoniano, il dramma per musica mozartiano e il mito della “scuola napoletana”. La ricerca, basata sull’indagine diretta delle fonti primarie verbali e musicali (libretti e partiture) e su documenti d’archivio, ricostruisce la storia di un genere unico e realizzabile solo a Napoli in un preciso momento storico (l’avvento del viceregno austriaco). Il lavoro è diviso in 5 capitoli: I. Teorici e critici dell’opera comica. II. Teatro e musica a Napoli. III. I libretti. IV. I due poli: l’opera comica napoletana e il dramma giocoso veneziano. V. L’impresa d’opera: impresari, librettisti, cantanti e addetti ai lavori. L’analisi dei reperti archivistici e della storiografia tradizionale consente a Capone di ricostruire anche il percorso imprenditoriale dell’opera comica, di tracciare i profili dei suoi autori, impresari, musicisti, addetti ai lavori, di delineare il suo spirito di opera moderna e collettiva, di identificare il suo pubblico e di stabilirne i costi di gestione.

La ricerca: in questo mio intervento, mi sembra giusto ricordare Stefano Capone, personaggio “chiave” delle cultura non solo foggiana ma cosmopolita, con una breve recensione di tre delle sue opere più significative, dedicate al teatro e alla storia del Regno delle due Sicilie e della Rivoluzione partenopea del 1799.

1) – Bello, interessante e avvincente per tutti coloro i quali desiderino cimentarsi nella conoscenza del teatro settecentesco il volume dal titolo Piccinni e l’opera buffa, modelli e varianti di un genere alla moda (pp. 229, ill., Edizioni del Rosone Franco Marasca, Foggia 2002). Il testo, annoverato nella collana editoriale “Euterpe” diretta da Pasquale Rinaldi, tratta con estrema puntualità un tema che per lungo tempo ha rappresentato l’alternativa al solito argomento proposto nelle rappresentazioni teatrali settecentesche.

«La Cecchina – esordiscel’Autore – è un’opera che riflette il razionalismo del secolo, la trasparenza di un gusto, la dimensione di una nuova e precisa sonorità. Nel 1760 il Settecento nobiliare feudale cominciava a denunciare il suo declino, a favore di altri gruppi sociali: la borghesia mercantile o intellettuale, il ceto medio dei togati».

La Cecchina del Piccinni esordiva al Teatro delle Dame di Roma nel lontano 1760, in una veste nuova e diversa da quella proposta fino ad allora: l’opera buffa. Dopo due secoli è ancora considerata di grande attualità e, con La Nina pazza per amore di Paisiello e Il matrimonio segreto di Cimarosa, è una delle opere universali del Settecento, definita il trait d’union tra Napoli e Venezia, rappresenta il passaggio dall’opera comica napoletana all’opera buffa veneziana, ovvero il modello-guida al quale aderirono molti operisti coevi. Completano il volume un dovizioso apparato iconografico ed un’Appendice ricca di notizie inedite ed interessanti.

2) – Interessanti pagine di storia racchiude il volume dal titolo Le nozze del principe, pubblicato da Capone nel 2002 per le Edizioni del Rosone “Franco Marasca”.

L’Autore, come afferma nella sua premessa, «ricostruisce le circostanze in cui furono realizzati una Cantata, alcuni diari, suppliche e feste a Foggia, in occasione del matrimonio tra Francesco di Borbone e Maria Clementina d’Austria celebrato il 25 giugno 1797. Letterati e cortigiani, cuochi e musicisti organizzarono nella città della Dogana della mena delle pecore, […] una serie di festeggiamenti per celebrare queste nozze in un momento di gravi difficoltà per la dinastia dei Borboni[…]”».

Per un solo giorno Foggia fu capitale e per tutto il periodo di permanenza dei sovrani nel capoluogo daunio, furono celebrate feste, banchetti, intrattenimenti e quanto altro di consueto si era soliti svolgere a Napoli. I piaceri dell’aristocrazia napoletana furono adattati ad un ambiente che da secoli era ricettivo solo di regole ed usi propri della cultura agreste e bucolica.

Il lavoro è impreziosito nell’Appendice del volume dalla trascrizione di preziosi carteggi rinvenuti presso l’Archivio di Stato di Foggia e nella sezione di Lucera, riguardanti concessione di mutui, o dispacci e disposizioni Reali, bandi, ed infine anche dalla trascrizione della Cantata bucolica dal titolo “ La Daunia Felice ”, scritta in occasione delle regie nozze dal foggino Francesco Saverio Massari e musicata da Giovanni Paesiello.

3) – Prezioso e denso di interessanti notizie il volume dal titolo I racconti della rivoluzione, Documenti per una storia del 1799 in Capitanata.

In questo volume, Capone ricostruisce con puntuale precisione i moti rivoluzionari proiettati nelle dinamiche dell’Università di provincia tratteggiando gli eventi accaduti durante sei mesi di insorgenze, riportandone i conflitti tra comunità e parti del popolo, commentati da vari testi e generi del racconto. L’Autore chiarisce le dinamiche sociali e politiche del regno di Napoli offrendo così ai lettori numerosi spunti di riflessione.

Storicamente il 1799 fu un anno che determinò grandi mutamenti nel Regno di Napoli. Il giacobinismo già da tempo dilagava nella capitale partenopea riscuotendo entusiastici consensi soprattutto tra gli aristocratici napoletani che, facendo propri gli ideali di libertà e fratellanza dettati dalla rivoluzione francese, cospirarono contro il sovrano borbonico, costringendolo per ben due volte all’esilio ed, in seguito, a prendere importanti decisioni che ebbero ripercussioni significative negli eventi storici successivi a tale periodo. Ne sono un esempio: l’abolizione degli antichi Sedili e l’istituzione del Supremo Tribunale Conservatore che raccoglieva l’elenco dei nobili conservandone la memoria. Anche la Capitanata non fu risparmiata e, di riflesso, subì l’onda di tali mutamenti storici.

La parte conclusiva del testo contiene la trascrizione di documenti archivistici rinvenuti presso l’Archivio di Stato di Foggia e presso la sezione di Lucera.

LA PRODUZIONE

Tra le più importanti opere pubblicate da Capone ricordiamo: Li stravestimiente affortunate: storia di un’opera proibita, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli», Napoli, n.s. XIV (1983-84); I teatri della melo commedia, Napoli 1986; La struttura dell’impresa teatrale e la produzione buffa del Teatro dei Fiorentini: da Nicola Serino a Berardino Bottone, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli», n.s. XVII (1986-87); Pirandello dopo D’Annunzio, in Dittico pirandelliano, Foggia 1989; I Conservatori nella Napoli barocca, in AA. VV., Centri e periferie del Barocco, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1990; Esotismo, Oriente e India nei libretti di opere in musica napoletane della seconda metà del ‘ 700, Napoli 1990; Autori, imprese, teatri dell’opera comica napoletana. Documenti per una storia del teatro napoletano del ‘700 (1709-1737), Foggia 1992; Caratteri e passioni nell’opera comica, in Il mondo delle passioni nell’immaginario utopico, a cura di Bruna Consarelli e Nicola di Penta, Giuffré, Milano 1997; Le nozze del principe. Diari, cantate, suppliche, bandi e altri generi letterari per le nozze di Francesco di Borbone a Foggia” (1797), Foggia 1997; Francesco D’Andrea e il rinnovamento culturale del Seicento a Napoli (in occasione del rinvenimento di un manoscritto sconosciuto degli Avvertimenti ai nipoti), in «La Capitanata. Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia», XXXIV (1997), n. s., n. 5; I racconti della rivoluzione. Documenti per una storia del 1799 , in «Capitanata», Foggia 1999; Una raccolta di libri napoletani del ‘700 nella biblioteca provinciale di Foggia, in Editoria e cultura a Napoli nel XVIII secolo, a cura di Anna Maria Rao, Napoli 1999.

I CONVEGNI

Impegnato nelle attività di ricerca, Stefano Capone partecipò a vari convegni nazionali e internazionali: nell’ottobre 1987 relazionò su I Conservatori nella Napoli barocca al Convegno “Centri e periferie del Barocco”; nel giugno 1988 disquisisce su Esotismo, Oriente ed India nei libretti di opere in musica napoletane della seconda metà del ‘ 700, al Convegno Internazionale “Napoli e l’India”. Nel settembre 1988 illustrò I libretti d’opera per matrimonio al Convegno Internazionale di Studi “Parma, i Borbone, l’Europa. Riformismo politico e modelli culturali”; nel maggio 1995 su Caratteri e passioni nell’opera comica, al V Convegno Internazionale sulle “Utopie Passioni Caratteri Gestualità in Utopia”; nell’ottobre 1995 su Il sistema delle parti nel teatro comico, al VII Corso Internazionale d’Alta Cultura “Il gran teatro del Barocco: la scena e la festa”; nel dicembre 1996 analizzò Una raccolta di libri napoletani del ‘700 nella Biblioteca provinciale di Foggia, durante il Convegno di studi “Editoria e cultura a Napoli nel XVIII secolo”.

  

©2007 Lucia Lopriore

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Microstorie

Storia del Regio Istituto Giannone di Foggia    

La prima sede dell’ITC Pietro Giannone di Foggia.


  

Il Regio Istituto Tecnico “P. Giannone” fu istituito nell’anno 1885 per opera del cav. Antonio Cicella, membro del Consiglio Provinciale di Capitanata.

Egli presentò una proposta al Consiglio stesso affinché a Foggia fosse istituito un Istituto Tecnico che rendesse importante la città, tanto da poter essere paragonata a quelle più grandi d’Italia.

Prese parte alle trattative tra Comune, Provincia e Governo e, riunito il Consiglio Provinciale nella seduta del 2 dicembre 1884, riferì su quanto già operato fino allora favorendo lo stanziamento di somme occorrenti per il primo impianto della scuola da parte della Provincia; in quella tornata, il Consiglio Provinciale, dopo una lunga e travagliata discussione approvò l’ordine del giorno in cui si riaffermava il voto unanime emesso con delibera precedente il 31 maggio 1882 raccogliendo voti presso il Ministero della Pubblica Istruzione per l’istituzione del Regio Istituto.

Non fu semplice tuttavia impiantare l’Istituto stesso, poiché subito dopo la prima approvazione da parte del Consiglio Provinciale, sorsero i primi contrasti tra questo Ente ed il Comune di Foggia.

Già nella lettera del 31 luglio 1884, il Sindaco scrisse al Prefetto inviandogli la Delibera Consiliare del 24 maggio 1884, approvata dal Consiglio Provinciale Scolastico e dalla Deputazione Provinciale, con la preghiera di sottoporre la pratica al Consiglio Provinciale per il concorso delle spese previste dalla legge. Nella lettera anche il Sindaco evidenziava l’importanza dell’apertura di un altro istituto tecnico maggiormente specializzato e, pregava il Prefetto di sollecitare il Consiglio Provinciale Scolastico di porre al vaglio la questione per accelerare i tempi.

Inizialmente e con Delibera Comunale del 24 maggio 1884 era stato stabilito che l’Istituto fosse amministrativamente Governativo e che comprendesse tre sezioni: la prima ad indirizzo fisico-matematico, la seconda di agrimensura, la terza di ragioneria e commercio.

Era inoltre stato stabilito che per il pagamento del personale insegnante e direttivo, sarebbe stata stanziata la somma annua di L. 40.000 versata per metà a carico dello Stato e per metà a carico della Provincia; seguendo lo stesso criterio per il pagamento degli stipendi al personale non insegnante, al Segretario della Presidenza, agli ausiliari compresi gli assistenti ed i macchinisti, sarebbe stata stanziata la somma annua di L. 6.000.

Inoltre sarebbe stata a carico della Provincia la fornitura del materiale scientifico per i laboratori di fisica e chimica, per le macchine e gli strumenti topografici, per la collezione di materie prime e di prodotti industriali, per la biblioteca scolastica e quanto altro necessario al funzionamento della scuola, per un ammontare complessivo di L. 4.000 per le spese di primo impianto.

Sarebbe stata a carico del Municipio la disponibilità dei locali e degli arredi occorrenti alla scuola, e la Provincia per l’affitto dei locali avrebbe pagato una pigione annua da stabilirsi in seguito.

A tale riguardo si pensò prima ai locali del Monastero di S. Chiara, poi a quelli del Monastero dell’Annunziata che si presentavano ampi ed idonei allo scopo. Nel verbale si legge:

«[…] Il Consiglio Comunale esprime un caldo voto all’Amministrazione Provinciale perché voglia prendere in considerazione l’immenso beneficio che l’Istituzione non mancherebbe arrecare alla Provincia e voglia contribuire per la sua parte nelle previsioni di legge a far che l ‘Istituto Tecnico per la Provincia di Foggia possa al più presto essere fatto concreto».

A tal fine, si incaricava il Sindaco, Francesco Valentini Alvarez, di espletare tutte le ulteriori pratiche con il Governo e con l’Amministrazione Provinciale.

In seguito il Prefetto vista la Legge sull’Istruzione Pubblica n. 3295 del 13 novembre 1859, inviò agli enti il Decreto del 24 gennaio 1885 che gli era giunto dal Ministero della Pubblica Istruzione, con cui si approvava definitivamente a Foggia l’apertura di un Istituto Tecnico con i tre indirizzi scelti in precedenza.

Le motivazioni erano le seguenti: la sezione fisico-matematica avrebbe avuto carattere di scuola di cultura generale e, con l’indirizzo scientifico la scuola avrebbe eguagliato gli istituti umanistici per l’importanza delle materie insegnate. La sezione di agrimensura, avrebbe avuto tra gli insegnamenti gli elementi di geografia descrittiva, le costruzioni e la geometria pratica, infine la sezione di ragioneria e commercio avrebbe reso i giovani:

«[… ] provetti nel meccanismo degli scambi, nella conoscenza delle lingue straniere ed in tutti gli argomenti di economia politica applicata, di statistica, di geografia e di diritto, specie ora che il commercio ha tanta parte nella vita dei popoli e sono scomparse le dighe innalzate dai Governi assoluti per tener divise le nazioni[…]».

Fino allora la scuola tecnica già esistente, con sede presso l’Orfanotrofio M. Cristina, aveva dato solo un modesto completamento della scuola primaria sia per le materie di cultura generale sia per quelle tecniche; pertanto il nuovo Istituto per raggiungere i risultati sperati avrebbe dovuto assumere personale specializzato, ciò avrebbe reso migliore la qualità della scuola stessa ed avrebbe dato ai giovani l’occasione di istruirsi meglio raggiungendo così, gli obiettivi perseguiti.

I bisogni della Provincia erano tali da rendere indispensabile l’apertura del nuovo Istituto, che avrebbe formato gli allievi alla conoscenza delle tecniche più avanzate, garantendo nuovi posti di lavoro. A tale riguardo, il cav. Vincenzo Lacci, Segretario Capo dell’Amministrazione Provinciale nella sua relazione sull’impianto dell’Istituto scriveva:

«[…] La immensa utilità della Sezione di Commercio è vivamente dimostrata dai bisogni speciali della nostra Provincia, che forma un centro di progredite e molteplici transazioni commerciali;[..,] le sezioni di Agrimensura e Ragioneria torneranno praticamente assai utili ai nostri giovani; specialmente perché, promulgata la Legge sulla perequazione fondiaria, la misurazione scientifica del territorio italiano, […] daranno loro larghissimo lavoro pel non breve periodo di anni 20.[…] La Sezione di Agronomia, fornisce la teoria dell’arte agraria, cioè le nozioni tecniche generali dell’Agricoltura.[,..] La Capitanata racchiude una estensione di 350 mila ettari dì terre coltivate, e capaci dì coltura.[…] Ma una delle principali cagioni della decadenza dell ‘Agricoltura di Puglia -scriveva il nostro grande tecnologo foggiano Giuseppe Rosati – consiste nella ignoranza del mestiere, diffusa non solo nei contadini,[…] ma benanco nei proprietarii e generalmente in tutti gli altri che non si brigano di queste industrie… col mezzo più valevole, onde vincere questo difetto e far risorgere l’agricoltura nel suo pieno vigore è il sapere.[…] Per creare un ambiente favorevole alla propagazione dello stesso, non può procacciarsi, se non col magistero dell’Istituto Tecnico. […] L’Agricoltura italiana ha infiniti problemi, dei quali attende la soluzione. E noi […]per la vasta estensione del territorio di questa Provincia, abbiamo ben troppo bisogno di migliorarne, anzi di trasformarne la coltura. A conseguire tanto scopo, è d’uopo che i nostri giovani imparino anzi tempo a sciogliere tutt ‘i problemi che si riferiscono alla produzione del suolo, a conoscere il valore relativo dei concimi e le diverse proprietà dei terreni coltivabili, la composizione delle piante, […] ebbene lo studio tecnico fa molto di più per l’operaio ignorante, e per la varia e numerosa famiglia degli esercenti industrie. Esso non solo da indirizzo al braccio dell ‘uomo, ma ne ravviva la forza visiva, e più che una guida da all’operaio luce d’intelletto, ponendolo in grado dì meditare e cogliere in atto la vis naturae, per farne pratica ed utile applicazione ai bisogni della vita; nel che sta proprio il substratum  delle discipline tecniche».

II cav. Lacci concludeva le sue considerazioni sostenendo che se uomini illustri come Giuseppe Rosati ed altri avevano reso grande la città con il loro intelletto, con l’apertura del nuovo Istituto Tecnico altri giovani si sarebbero distinti grazie all’insegnamento tratto dalle nuove materie.

Intanto, il Ministero detta Pubblica Istruzione in una nota inviata al Prefetto comunicava che avrebbe concorso economicamente ed amministrativamente all’apertura dell’Istituto in questione previa ispezione dei locali messi a disposizione Fatte tutte le considerazione del caso il Consiglio Provinciale nella tornata di ottobre 1885 stabilì che L’Istituto Tecnico avrebbe avuto vita a partire dall’anno scolastico 1885/86, che sarebbe stato sotto l’aspetto amministrativo di tipo Governativo a patto che il Comune e la Provincia con propri stanziamenti avessero contribuito alle spese di primo impianto per il periodo suddetto.

Intanto, il Ministero della Pubblica Istruzione in una nota inviata al Prefetto comunicava che avrebbe concorso economicamente ed amministrativamente all’apertura dell’Istituto in questione previa ispezione dei locali messi a disposizione dal Municipio per accertare che gli stessi fossero idonei alle esigenze della scuola.

Ispezionati i locali dell’Annunziata, essi si prestavano solo momentaneamente alle esigenze della scuola stessa che li avrebbe occupati per una durata massima di due anni, fino a quando il Municipio a proprie spese non avesse provveduto a costruire un altro stabile. Così, iI Ministro detta Pubblica Istruzione, on. Coppino, chiese al Parlamento di stanziare la somma necessaria per l’apertura dell’Istituto Tecnico e con Dispaccio del 20 marzo 1885 interrogò gli enti preposti sulle loro intenzioni.

A tale riguardo il Cav. Antonio Cicella, rispose che la Deputazione Provinciale aveva già deliberato favorevolmente affinché entro l’anno scolastico 1885/86 l’Istituto avesse vita e per l’intitolazione della scuola aggiunse:

«[…] si delibera che nella nostra Provincia il più grande cittadino che siasi rivelato fin dal secolo XVII è lo storico Pietro Giannone nato in Ischitella, Comune del Gargano[…]».

Pertanto aveva proposto che l’Istituto fosse intitolato a P. Giannone; la proposta stessa fu approvata con voto unanime. In quella tornata fu stabilito che fosse fornito un elenco di aspiranti insegnanti da proporre su istanza degli stessi al Ministro della Pubblica Istruzione che con Dispaccio del 18 maggio 1885 deliberò favorevolmente circa l’apertura della scuola.

Intanto il 23 maggio 1885, l’ingegnere Capo dell’Ufficio Tecnico Provinciale A. Pinto e l’ingegnere Municipale Achille Petti redassero una relazione tecnica sullo stato dei locali dell’Annunziata e, dopo essersi recati ad ispezionare l’Istituto Tecnico di Bari ed aver dialogato con il Preside della scuola, dedussero che varie ragioni impedivano che la scuola foggiana fosse allogata presso l’Annunziata, adducendo la motivazione che occorreva che la scuola avesse un’estensione complessiva di 2600 mq., con ampi locali per i laboratori di chimica e di fisica nonché per la biblioteca scolastica, la sala dei docenti, l’Aula Magna ecc. L’edificio dell’Annunziata si estendeva su una superficie complessiva di mq. 1650 e, pertanto, era inidoneo allo scopo poiché mancava il primo dei requisiti: l’ampiezza.

La seconda motivazione fu riscontrata nella disposizione del fabbricato, anche se fossero stati eseguiti lavori di ripristino dei locali, fra demolizione dei tramezzi e consolidamento della struttura non si sarebbe raggiunto lo scopo, oltre alla spesa eccessiva che il Comune avrebbe dovuto sostenere; il parere dei tecnici dunque, non lasciava speranze al riguardo.

Il 18 settembre 1885, il Ministro Coppino inviò una lettera al Prefetto ed al Presidente della Deputazione Provinciale con cui riproponeva la disponibilità del Ministero a farsi carico dello stanziamento delle somme occorrenti per l’apertura della scuola, pur essendo venuto a conoscenza che i locali scelti e messi a disposizione dal Municipio in realtà non si prestavano allo scopo; tuttavia, se solo ci fosse stata la garanzia che per i primi due anni la scuola, in ogni caso, fosse stata aperta e, soprattutto, se il Comune avesse dato la piena disponibilità alla costruzione di un nuovo edificio il Ministro avrebbe appoggiato la richiesta.

Cosi il 5 ottobre 1885 il Prefetto convocò il Sindaco affinché sentito il Consiglio Comunale si deliberasse favorevolmente in merito alla richiesta ma, il 15 ottobre questi rispose dichiarando che i locali dell’Annunziata erano già pronti per accogliere la scuola facendo anche rilevare che il Comune già aveva dovuto far fronte ad ingenti spese per i lavori di ripristino; assicurò, comunque, che entro il biennio successivo si sarebbe impegnato per garantire la costruzione di un altro edificio.

Stabilita definitivamente l’apertura, l’incarico di Preside del Regio Istituto “P. Giannone”, fu affidato al prof. Vincenzo Nigri, con uno stipendio annuo di L. 300, a lui fu assegnata anche la cattedra di Agronomia e Fisica. Nel 1888/89 fu istituita la biblioteca scolastica e la direzione fu affidata al prof. Giovanni Martinelli, insegnante di Storia Naturale, con uno stipendio di L. 150 annue.

Dopo l’apertura dell’Istituto, ogni anno il Presidente della Giunta di Vigilanza della scuola inviava al Prefetto e al Presidente della Deputazione Provinciale una relazione redatta dal Preside dell’Istituto sull’andamento dell’anno scolastico; quella del 1887-88 redatta dal Preside Prof. Narciso Mencarelli riportava:

«[…] è un esame che mi riempie di soddisfazioni perché nulla può tornare tanto gradito a me vecchio insegnante quanto il dovere lodare l’opera di coloro che mi sono compagni nell’alta missione di ammaestrare la gioventù nei principi del vero, […] la massima parte degli insegnanti di questo Istituto attesero amorosamente dal principio alla fine dell’anno al compimento dei loro doveri scolastici. Ed è con animo riconoscente che io rivolgo loro una parola di lode e d’incoraggiamento per non avermi mai costretto al compimento di uffici che mi sarebbero tornati sempre duri e spiacevoli.[…]».

La relazione si concludeva con l’auspicio che nell’Istituto potesse essere installato un nuovo impianto di azienda rurale che sarebbe sorto accanto alla sezione di agraria.

Negli anni successivi la situazione rimase pressoché invariata anche se più volte i Presidi succeduti avevano inoltrato agli organi preposti le richieste per avere un nuovo edificio. A tale riguardo il Preside Prof. Michele Coppola nella relazione del 1890 sollecitava il Ministero della Pubblica Istruzione affinché l’Istituto potesse avere un’altra sede scrivendo:

«[…] L’Amministrazione Comunale avrebbe dovuto già mantenere i suoi impegni assunti col Governo, quando l’Istituto fu dichiarato Regio col provvedere in modo conveniente a quanto più volte si è richiesto. Ma credo fuor di proposito di ricordare che l’Istituto Tecnico per il lustro e decoro, onde riesce alla città dovrebbe essere tenuto in maggior considerazione.[…]».

Nel 1886 all’Istituto furono donati dieci ettari di terreno adiacente all’orto botanico affinché il prof. Antonio Lo Re potesse proseguire le sue sperimentazioni cerealicole per perseguire gli obiettivi volti al miglioramento delle colture della Capitanata; in quello stesso anno fu deciso di donare altro terreno per la sezione di Agronomia con la facoltà di decidere sull’istituzione della cattedra di Patologia Vegetale, il cui insegnante sarebbe stato retribuito dalla Provincia.

Oltre all’illustre prof. Vincenzo Nigri, parteciparono alla vita attiva dell’Istituto valentissimi docenti tra cui spiccano i nomi di: Antonio Lo Re, titolare della cattedra di Agraria ed Estimo, ricoprì l’incarico di Preside facente funzioni per quattro volte, fu autore di numerosi volumi sull’agricoltura della Capitanata e, più volte, fu insignito di onorificenze, tra queste: il 26 febbraio 1914 gli fu conferita la medaglia d’argento da S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione per l’impegno profuso in occasione della Festa degli Alberi. A ricordo della sua infaticabile opera di educatore gli fu dedicata un’epigrafe che riporta la seguente iscrizione:

ANTONIO LO RE
DAL PRIMO SORGERE DELL ‘ISTITUTO TECNICO DI FOGGIA
IN XXXII ANNI D’ININTERROTTO MAGISTERO
LA CATTEDRA DI AGRARIA E D ‘ESTIMO
ONORO ‘  CON LA PAROLA E CON GLI SCRITTI
PRECIPUAMENTE ILLUSTRANDO TESORI E BISOGNI
DELLA CAPITANATA DILETTA
LE AMMINISTRAZIONI DELLA PROVINCI A E DEL COMUNE
MCMXX

Domenico Santoro, valente Preside, ricoprì tale incarico dal 1° ottobre 1912 al 30 settembre 1922, commissionò il busto di bronzo di P. Giannone e il 22 giugno 1913, in occasione della cerimonia inaugurale del monumento, pronunciò il suo discorso precedendo il Prof. Umberto Tria.

Carlo Palmeri, Preside, pittore e uomo di grandissima cultura. Nel 1965 ricoprì la carica di Presidente dell’Ente Nazionale Protezione Animali. Fu precursore dei suoi tempi richiamando l’attenzione degli studenti su argomenti fino allora mai affrontati, tra questi: introdusse l’ascolto della musica classica sia nell’ora di entrata nelle classi, sia durante la ricreazione;fece in modo che una parte dell’edificio della sezione staccata dell’Istituto fosse adibita ad asilo nido per i figli dei docenti; aderì a qualsiasi iniziativa che rivestisse carattere culturale facendo partecipi sia gli studenti sia gli insegnanti.

Nel 1956, nell’Istituto fuistituita una sezione sperimentale per l’allevamento dei bachi da seta; l’iniziativa era stata lanciata dall’Ente Nazionale Serico di Milano, d’intesa con l’Istituto Agrario di Capitanata, eccellenti furono i risultati, tanto che il 18 giugno 1956 la scuola fu premiata con il Diploma di Merito.

In quello stesso anno alcuni studenti si iscrissero al Corpo Nazionale Giovani Esploratori Italiani prendendo parte alle spedizioni organizzate dal gruppo scout foggiano.

Successivamente, gli studenti presero parte al corso di Cultura Aeronautica organizzato dal Ministero della Difesa, il corso si svolgeva durante le vacanze natalizie, pasquali ed estive ed aveva una durata massima di 6 giorni con due tipi di attività: la prima rivolta agli studenti delle ultime classi, il programma comprendeva anche le prove di volo ecc.; l’altra era rivolta ai ragazzi delle città prive di strutture aeroportuali; i partecipanti migliori furono premiati con pubblicazioni sull’aeronautica.

Nel 1961, con un gruppo di studenti universitari ex alunni, professori e studenti frequentanti l’Istituto, il Preside Palmeri fondò 1′ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE DI CULTURA con sede a Foggia che aveva come voce ufficiale ai sensi dell’ Art. 1 bis del proprio Statuto Sociale la Rassegna trimestrale «HESTIA», edita dalla tipografia S. Cuore di S. Agata di Puglia, di cui fu direttore responsabile.

La Rassegna aveva un formato di cm. 21×31 e, sulla copertina di ogni numero il titolo era preceduto dalla citazione evangelica: «Amiamoci gli uni gli altri», mentre in basso al centro un’altra citazione recitava: «Noi siamo guidati dalle luci che illuminano e non dalle torce che incendiano; vogliamo costruire, non distruggere…».

Nel primo comitato di redazione furono annoverati i seguenti illustri docenti: Giorgio Banfo, Pompeo Bucci, Saverio Buffa, Ivo Beni, Salvatore Maria Briguccia, Rosa Caracciolo, Vincenzo Coresi, Giulia Di Leo Catalano, Angelo de’ Baroni di Gosta, Giuseppe Fabiano, Reno Fedi, Carlo Gentile, Pietro Giuseppe Lovato, Michelangelo Meola, Grazio Mandelli, Savino Melillo, Michele Notarangelo, Orazio Notarangelo, Enrico Pappacena, Guido Pepe, Donato Piantanida, Carmen Prencipe Di Donna, Vittorio Salvatori.

Nel terzo anno di vita della rivista i docenti Antonio Mandelli e Savino Melillo furono sostituiti da Fausta Nigri e Luigi Treggiari. L’impronta a carattere altamente scientifico e culturale proponeva vari argomenti che spaziavano dalla letteratura alla storia, dall’arte alle scienze, dall’esoterismo alla filosofia, dallo sport all’attualità; tutti gli articoli pubblicati erano d’interesse nazionale, l’editoriale a firma del direttore responsabile, solitamente trattava argomenti informativi inerenti alle ultime leggi scolastiche ed, a volte, erano pubblicati i testi delle circolari ministeriali con i programmi degli Istituti Tecnici. Spesso, quando gli argomenti assumevano importanza internazionale, erano pubblicati in quattro lingue: Francese, Inglese, Tedesco e Spagnolo.

Sul primo numero del 2° anno di vita della rivista, il Preside Carlo Palmeri pubblicò due tavole fuori testo rappresentanti due delle sue opere dal titolo: Luci ed Ombre tav. XXXVI, ed Aurora a S. Lucia tav. XXXVIII.

Sul secondo numero dello stesso anno, egli pubblicò altre due tavole fuori testo raffiguranti altre sue opere dal titolo: Autunno tav. IV e Primavera tav. V, inoltre in questa occasione eccezionalmente fu pubblicato un dipinto della figlia Annalaura dal titolo Bambina tav. VI.

Sempre su questo numero, apparve la prestigiosa firma del noto endocrinologo romano Nicola Pende che disquisiva sull’argomento dal titolo: La Psicologia differenziale dei popoli e le fasi psicologiche ritmiche della storia umana.

Sul quarto numero della rivista relativa allo stesso anno, egli pubblicava altre tavole rappresentanti le sue opere dal titolo: Muta serenità tav. XI e Solstizio d’inverno tav. X.

Probabilmente anche su altri numeri successivi egli continuò ad inserire ed a divulgare le sue opere.

Nell’editoriale del primo numero del 1964, quarto anno della rivista, il Preside Palmeri dopo aver dissertato sull’argomento dal titolo: Gli Istituti Statali di Istruzione Tecnica, salviamo la scuola dalla peste politica, parlando del poco impegno profuso dall’Amministrazione Provinciale di Foggia, accennava alle continue richieste che da tempo immemorabile aveva inoltrato all’Ente affinché provvedesse a far pavimentare il cortile della sezione staccata della scuola che aveva sede in P.zza Cavour, affinché potessero svolgersi gli allenamenti della squadra di “Pallacanestro”, ma fino allora l’Ente non aveva provveduto ad evadere la richiesta; tuttavia il fiore all’occhiello dell’Istituto era la squadra di Atletica Leggera; l’articolo proseguiva:

«[…] La proposta è stata fatta il 26 novembre 1961 l’assessore alla P.I. è andato un paio di volte a visitare il locale seguito dal segretario che prendeva appunti, da ingegneri e da geometri che prendevano le misure e facevano calcoli ma,.., ancora oggi non è stato fatto nulla. […] Anche la richiesta di istituire un gabinetto igienico per gli insegnanti e uno per le insegnanti e un altro per le alunne nella suddetta sezione staccata, le cui aule sono distribuite in tre piani è rimasta inascoltata. E ‘ venuto il solito assessore, il solito segretario che prendeva note nel suo taccuino, i soliti ingegneri e geometri, che hanno preso le misure e fatto disegni… ma, ancora oggi, se un professore… ha bisogno… deve correre al “diurno”… che sì trova in “villa” di fronte al Tribunale […]».

Rilevava inoltre, che per i laboratori di chimica e di merceologia occorreva una bidella, che per le cinque cattedre complete relative alle materie tecnico-pratiche esisteva un solo insegnante specializzato e che il tutto era rimasto fermo all’epoca dell’esistenza di un solo corso.

Fin dal 1962 egli aveva inoltrato la richiesta con la quale proponeva come soluzione alternativa, l’inserimento di alcuni giovani di «[…] eccezionale valore, diplomarsi nello stesso Istituto con votazioni meritevoli di ogni elogio[…]» enon avendo ancora ricevuto una risposta, aggiungeva: «[…] Nella odierna ingarbugliata vita politica della nostra Patria, non è il merito che si cerca, ma… le ragioni politiche! […]». L’articolo si concludeva con l’invito da parte dei Professori e dello stesso Preside che, riunitisi il 18 febbraio 1964, dopo aver constatato l’inadempienza della Giunta Provinciale, chiedevano alle autorità superiori di intervenire in tal senso affinché con i loro provvedimenti rendessero più funzionali gli Istituti Tecnici senza che “estranei” potessero interferire con le loro decisioni. L’articolo, datato marzo 1964, era firmato dal Preside dell’Istituto.

Queste notizie offrono al lettore una breve nota su quanto accaduto in passato, sottolineando l’attualità delle problematiche.

Tra i docenti inoltre, è ricordato il prof. Orazio Notrarangelo; egli, come si è visto, faceva parte del comitato di redazione della Rassegna «Hestia», già da giovanissimo si era conquistato gli onori divenendo borsista del “Borromeo” di Pavia presso cui si era laureato; ma, legato com’era alle proprie radici preferì rinunciare alla brillante carriera che aveva cominciato proprio in quella città, per rientrare nella sua adorata “Foggia”.

Nel 1955 entrò a far parte del personale docente dell’Istituto “Giannone” insegnando presso la sezione staccata di Manfredonia; nell’anno successivo rientrò a Foggia dove rimase fino al 1976, quando lasciò l’incarico di docente dell’Istituto stesso, per affrontare un compito ancora più difficile: quello di Preside. Aveva già acquisito una lunga esperienza nel settore perché era stato Vicario per alcuni anni presso l’Istituto, pertanto, non gli fu difficile affrontare il nuovo incarico con l’amore per il suo lavoro, che da sempre lo accompagnava.

Lavorò alacremente per la scuola, prima come docente e poi come Preside dell’Istituto che oggi porta il suo nome, fino a quando un male incurabile lo rapì alla vita.

L’Istituto, inoltre, commemora attraverso alcune lapidi murarie, le gesta di chi con ardore dopo il cav. Cicella ha contribuito con il proprio impegno, alla crescita della scuola: è il caso del Gr. Uff. Emilio Ferrane, Presidente del Consiglio Provinciale e della Giunta di Vigilanza nel 1913, al quale è dedicata la seguente epigrafe:

EMILIO PERRONE
DAL MDCCCXCVAL MCMXVI ANNUALMENTE ACCLAMATO
PRESIDENTE DELLA GIUNTA DI VIGILANZA
COL FERVIDO ZELO ESERCITATO NEI PUBBLICI OFFICE
OND ‘EBBE PREMIO DELLA DIGNITÀ SENATORIA
TUTTA L’ANIMA DI CITTADINO
DIE ‘ AL LUSTRO ALL ‘INCREMENTO DELL ‘ISTITUTO
***
LE AMMINISTRAZIONI DELLA PROVINCIA E DEL COMUNE
MCMXX

Al cav. Antonio Cicella, è dedicata l’epigrafe attualmente collocata nell’Aula Magna dell’Istituto a sinistra dell’ingresso, essa riporta la seguente iscrizione:

IL COMUNE
CELEBRANDOSI LA GLORIA DI PIETRO GIANNONE 
VOLLE RICORDATO IL NOME
DI
ANTONIO CICELLA
PER L’INFATICATO PATRIOTTICO ARDORE DI LUI
COL CONCORSO DELL ‘AMM.NE PROVINCIALE
***
SORSE QUESTO ISTITUTO
***
XXII GIUGNO MCMXII

Un’altra. collocata sempre nell’Aula Magna a destra dell’ingresso, è dedicata alla memoria del geom. Giuseppe Albanese Ruffo ed è sormontata dal busto in bronzo dell’eroe.

Ogni anno la biblioteca scolastica era arricchita da volumi, ma furono anche tante le donazioni giunte da collezionisti e cultori; a tale riguardo il 1° agosto 1900, il prof. Michelangiolo Fasolo donò all’Istituto una raccolta di minerali provenienti dalla Sardegna, contribuendo così all’arricchimento del materiale scientifico.

L’Istituto rimase nel locali dell’Annunziata fino al 1935, in questi anni furono numerose le celebrazioni: nel 1913 fu inaugurato il busto di Pietro Giannone, opera del prof. Luigi De Luca, docente di scultura presso il Regio Istituto di Belle Arti di Napoli, in quell’occasione il prof. Umberto Tria durante la cerimonia pronunciò l’orazione dal titolo: Il Pensiero del Giannone.

Nel luglio del 1935, il Regio Istituto fu trasferito nei locali del nuovo Palazzo degli Studi, ed allogato in parte del 1° piano e del 2° piano, su una superficie complessiva di 4.100 mq.; i locali erano forniti di luce elettrica, acqua, gas ecc. molto spaziosi erano anche i laboratori di chimica, fisica e scienze naturali; la Provincia avrebbe pagato al Comune una pigione di L. 68.000 annue, con l’intervento del Prefetto; i vecchi locali sarebbero stati destinati ai PP. Giuseppini per la nuova sistemazione dell’Orfanotrofio M. Cristina, poiché la vecchia sede doveva essere demolita per lasciar spazio alla nuova costruzione del Palazzo degli Uffici Statali.

L’Amministrazione Provinciale provvide alle spese di trasferimento della scuola sostenendo una spesa complessiva di L. 25.000, stipulando un contratto a trattativa privata per l’esecuzione dei lavori di riparazione dei mobili esistenti nei locali dell’Istituto e per il trasporto degli stessi, dai locali dell’Annunziata a quelli di C.so Roma.

L’Istituto ebbe sede nel Palazzo degli Studi fino al secondo conflitto mondiale: dal ’43 al ’45 il Palazzo degli Studi fu occupato dalle truppe anglo-americane e l’Istituto ebbe come sede provvisoria alcuni locali nel Palazzo Dogana. Ritornò presso il Palazzo degli Studi quando gli americani lasciarono la città.

A Foggia vi era un secondo Istituto Tecnico intitolato a “F. Crispi” ad indirizzo mercantile, sorto nel 1928, reso Regio il 16 ottobre 1937 che con R.D. n. 711 dell’ 11 gennaio 1943 ebbe il riconoscimento giuridico e l’autonomia con l’approvazione dello statuto; mentre il “Giannone” aveva l’indirizzo amministrativo.

Nel 1945, il “Giannone” fu soppresso e fuso con il “Crispi”, in quell’occasione il Provveditore agli studi prof. Ioanna, comunicò ai Presidi dei due Istituti che il Ministero della P. I. con nota n. 6709 del 10/10/1945 aveva stabilito la soppressione del “Giannone” in quanto l’esistenza di due scuole simili nella città era superflua. Pertanto, a decorrere dal 1° ottobre di quell’anno era stata istituita una sezione per geometri presso l’Istituto “Crispi” che assumeva la seguente denominazione: “Regio Istituto Tecnico Commerciale ad indirizzo Mercantile e per Geometri Crispi”. La cosa però non piacque né alla cittadinanza, né alle amministrazioni locali, né ai docenti del “Giannone”, i quali il 20 ottobre di quell’anno, si riunirono in seduta straordinaria per inviare una petizione al Ministero della P. I., affinché fosse rivista la decisione di sopprimere l’Istituto adducendo la seguente motivazione:

«[…] l’Istituto è fra i più antichi dell’Italia meridionale, culla di valenti professionisti di cui non pochi hanno onorato la Provincia conseguendo altissimi gradi specie nell’Amministrazione Statale e nelle Forze Armate […]».

In quell’occasione furono ricordati i nomi dei “Grandi” che avevano caldeggiato per l’apertura della scuola, e che se fossero stati ancora in vita avrebbero fatto in modo che la scuola non fosse stata chiusa.

Nel successivo verbale del 30 ottobre di quello stesso anno, il personale docente, pur non arrendendosi, chiedeva che fosse almeno mantenuto il nome del “Giannone”, anche se, per motivi burocratici il “Crispi” non poteva essere soppresso.

In quel periodo gli organi della stampa locale e nazionale si interessarono al caso, tanto da pubblicare numerosi articoli riguardanti la chiusura dell’Istituto.

Ma non fu solo la stampa ad occuparsi di ciò che stava accadendo a Foggia, le proteste infatti, giunsero fino al Ministero.

Il Provveditore agli studi intanto, cercò di spiegare le motivazioni che avevano indotto il Ministero stesso a sopprimere l’Istituto Tecnico più antico della città: la ragione principale riguardava un provvedimento di riduzione della spesa pubblica con la soppressione del numero di Istituti Tecnici Commerciali risultati superflui nel paese; ma le motivazioni espresse dal Provveditore non furono ritenute esaustive, infatti né la cittadinanza né i docenti accettarono che la scuola fosse soppressa, inoltre, essendo il “Crispi” più recente, ed avendo natura giuridica simile a quella del “Giannone”, ritenevano che si potesse eliminare quest’ultimo.

Nonostante le proteste, l’Istituto fu definitivamente chiuso, e l’8 novembre 1945 fu stabilita la fusione dei due Istituti.

Le manifestazioni di protesta mosse contro la chiusura della scuola continuarono ad oltranza, fino a quando il Ministero non revocò la proposta di soppressione del primo Istituto; anche in questo caso la stampa si occupò della questione.

Più tardi l’Istituto, fu riaperto ed il “Crispi” fu definitivamente assorbito dal “Giannone” che assunse l’indirizzo mercantile con la sezione per geometri.

Finalmente dopo tanto fermento la città aveva riavuto ciò che le apparteneva di diritto e che a causa dell’ingiusta burocrazia del paese le era stato tolto… !

II 1° ottobre 1960 la sezione per Geometri si separò dando vita all’Istituto “E. Masi”, ed il 1° ottobre 1969 per l’elevato numero di studenti l’Istituto “Giannone” si scisse e fu fondato il “Rosati” ad indirizzo amministrativo.

Nel 1971 l’Istituto “P. Giannone” fu definitivamente trasferito in Via Sbano, attuale sede, costruita dall’Amministrazione Provinciale con la vendita dell’immobile della caserma dei Carabinieri che già in passato aveva ospitato alcune classi della sezione staccata dell’Istituto.

La scuola ha mantenuto l’indirizzo Mercantile fino all’anno 1999 infine, grazie all’impegno dell’attuale Dirigente Scolastico, prof. Alfonso Palomba e dei Suoi collaboratori, per proseguire nuovi traguardi ed adeguarsi alle prospettive europee, ha allargato i propri orizzonti assumendo nuovi indirizzi: quello IGEA dal 1996/97 diventato definitivo dal 2000, quello per Programmatori ed infine, quello Turistico-Iter dall’a. s. 2000/2001.

©2005 Lucia Lopriore.  Il presente contributo è stato tratto dal saggio dell’Autrice dal titolo: L’ITC “P. Giannone” di Foggia dalle origini ad oggi, in G. CRISTINO, L. LOPRIORE, V. MARCHESIELLO, L’ITC “P. Giannone” di Foggia e la sua Galleria d’Arte, a cura di A. M. Palomba, Foggia 2002.