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Salvatore Postiglione scultore

La copertina del volume di Gaetano Cristino su Salvatore Postiglione.

Nella raffinata e splendida veste editoriale magistralmente curata dalla foggiana casa editrice Claudio Grenzi Editore, si presenta l’ultimo lavoro di Gaetano Cristino, critico d’arte di chiara fama, sulla vita e le opere di Salvatore Postiglione, dal titolo Salvatore Postiglione scultore, la vita e l’Arte (pp. 135, ill. b/n e colori, Foggia 2006).

Il volume nasce per volontà della famiglia, allo scopo di rendere omaggio ad un artista della nostra terra del quale ricorre quest’anno il centenario della nascita ed il decennale della dipartita.

Salvatore Postiglione, sanseverese di origini napoletane, è stato uno dei maggiori esponenti dell’arte scultorea, della ritrattistica e della statuaria onoraria e monumentale del Novecento italiano.

Con musicalità poetica tradotta in prosa, l’autore descrive nel volume il cammino dell’artista che inizia in età adolescenziale nella bottega paterna, dove impara le tecniche dell’intaglio proprio dal padre, artigiano “marmoraro” napoletano trapiantato a San Severo.

La formazione di studi svolti prima presso l’Istituto d’Arte e poi presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, perfezionerà le sue naturali inclinazioni che lo indirizzeranno definitivamente verso la scultura.

Le sue opere, in massima parte incentrate nella ritrattistica, spaziando da soggetti di ispirazione quotidiana a quelli religiosi o storico-monumentali, riescono a trasfondere plasticità espressiva, trasparenza ed umanità tanto da essere paragonate a quelle del Canova.

Diventato insegnante negli istituti medi inferiori e superiori, Salvatore Postiglione trasmette agli allievi lo stesso amore e la stessa passione che lo accompagnano nel cammino artistico. Alcuni suoi studenti diventeranno artisti, altri seguiranno strade parallele al mondo dell’arte, così come è accaduto all’autore del volume.

Gaetano Cristino lascia trasparire la propria emozione quando descrive, nella parte iniziale del testo, gli stati d’animo del “Professore” che racconta agli allievi l’esperienza in guerra e il tempo trascorso in prigione in Germania. Ricordi fondamentali che incideranno anche nella vita artistica attraverso le sensazioni che tralucono dalle sue opere. L’uomo e l’artista si fondono divenendo un tutt’uno.

Gaetano Cristino tratteggia l’espressività plasmata nelle opere, siano esse realizzate in gesso, o in marmo, o in pietra locale, o in bronzo, dicendo: «[…] eseguite con la capacità d intaglio […] unita alle notevoli doti di modellatore e di disegnatore […] che gli consentono di lasciare trasparire lo stato d’animo dei personaggi ritratti […]». “Testa muliebre”eseguita nel 1928, “Testa di Bimbo” del 1930, “Renato” del 1928, “Enzo” ed “Il mio Enzo”, solo per citarne alcune, ne sono l’esempio eclatante. 

L’artista amava la perfezione, emulava le proprie capacità attraverso l’uso di materiali sempre più difficili da plasmare come la pietra di Apricena, utilizzata nell’esecuzione di opere quali “Torso Muliebre” del 1937, e “Ragazza” del 1949. Durante la loro realizzazione, ricorda Vittorio, uno dei suoi figli, lavorando con l’ausilio di stuzzicadenti foderati di carta abrasiva, arrivava al punto da «farsi sanguinare le mani».    

La sua poliedricità artistica si rifletteva anche nel vissuto quotidiano: la testimonianza di Enzo e Vittorio nel contributo Due ragazzi di bottega riassume in pochi esempi il tratto umano: poiché era solito portarsi il lavoro anche a casa, soffocava le proteste della moglie recitando la massima “Per nobilitare la creta o l’argilla, ogni sito ed ogni momento per uno scultore devono essere buoni”; con questo detto, tacitamente, i figli maschi erano invitati a collaborare. In particolare era affidato loro il compito di “bagnare la creta”attraverso un procedimento particolare che richiedeva molta attenzione. I due figlioli, prestati all’arte, senza averne voglia eseguivano in tutta fretta il compito affidato dal genitore e, ultimato il lavoro, riprendevano le loro attività di svago interrotte loro malgrado.

Queste ed altre sono le notizie inedite che emergono dall’attenta lettura del testo, raccolte dall’autore attingendo all’archivio privato messo a disposizione dalla famiglia.

Oltre all’indimenticabile ricordo di chi lo ha personalmente conosciuto, di Salvatore Postiglione restano i tanti modelli conservati nella gipsoteca-studio che si auspica possa essere, nell’immediato futuro, resa fruibile a studenti e studiosi desiderosi di conoscere l’artista.      

Il volume è inoltre impreziosito da un dovizioso corredo iconografico basato su due momenti fondamentali della vita di Salvatore Postiglione.

Il primo riguarda la carrellata di documenti tratti dall’archivio privato di famiglia, che vedono l’artista ritratto in diversi significativi momenti della propria vita lavorativa o durante la campagna in Grecia, o in compagnia di amici e familiari; non mancano anche i documenti come il diploma di scultore o la tessera di riconoscimento dell’Istituto di Belle Arti di Napoli, o uno stralcio della relazione redatta l’8 settembre 1943, quando era ufficiale addetto al comando delle truppe italiane durante una spedizione nell’Egeo.

Il secondo ritrae, attraverso la mano esperta di Mimmo Attademo, le maggiori opere.

A conclusione del testo è posta un’ampia carrellata che comprende una breve antologia critica, l’elenco delle principali esposizioni, la bibliografia cronologica sull’autore e, dulcis in fundo, le schede sulle principali opere scultoree e disegni.

È questo uno splendido “libro d’Arte” nato con l’intento e la consapevolezza di ricordare un uomo ed un artista protagonista del suo tempo, che con la competenza di Gaetano Cristino, che da sempre dell’arte fa “una ragione di vita”, contribuisce all’arricchimento del patrimonio letterario specialistico.

  

©2006 Lucia Lopriore

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Gli argenti di Lucera

La copertina del volume.

In ricorrenza del settimo centenario della fondazione della Cattedrale di Lucera, la Diocesi Lucera-Troia , il Capitolo della Cattedrale di Lucera e l’Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici hanno patrocinato il bellissimo catalogo curato da Giovanni Boraccesi dal titolo Gli argenti della Cattedrale e del Museo Diocesano di Lucera, edito per i tipi delle Edizione Claudio Grenzi di Foggia.

Nella elegante veste editoriale, il testo analizza, con uno studio sistematico, oltre un centinaio di argenti liturgici, proprietà del Capitolo Cattedrale e del Museo Diocesano di Lucera, che insieme evidenziano i raffinati gusti dei vescovi locali e del patriziato cittadino, grazie ai quali la città si è arricchita della presenza dei più rinomati artigiani orafi che hanno prodotto opere di grande pregio artistico.

Essendo Lucera una città universalmente nota per il suo alto valore storico ed artistico, era importante creare un catalogo che inventariasse tutti i reperti relativi al tesoro della sua Cattedrale. Notoriamente Lucera è stata una delle sedi preferite dall’imperatore Federico II, ma d’altrettanto rilievo fu il ruolo dei sovrani angioini, che eressero una fortezza costruita sulle vestigia del castello federiciano, nonché la Cattedrale di Santa Maria, uno dei più importanti monumenti religiosi in stile gotico.

L’indagine e la catalogazione eseguita dall’Autore del volume preludono all’urgente restauro dei reperti oltre ad una adeguata conservazione degli stessi per preservarli da frequenti furti perpetrati negli ultimi anni. A tal fine, si è pensato di custodire tali tesori nel Museo Diocesano in modo tale che essi possano essere sempre prelevati ma, nel contempo, custoditi nel modo migliore.

Una significativa campionatura di produzioni dell’artigianato napoletano è rappresentata da pezzi databili tra il XVI ed il XIX secolo ma non mancano, se pure in minor numero, anche preziose opere provenienti da altre zone italiane, di cui alcune mai analizzate sotto l’aspetto critico, fatta eccezione per pochi pezzi unici di grande rilievo; per citare qualche manufatto: il reliquiario a pisside, databile intorno alla metà del XIII secolo, opera di ignoto artista musulmano e la Legatura di Evangelario, della metà del XIV secolo, che ha la peculiarità di essere punzonata con il più antico bollo della città di Sulmona. 

Da sinistra: pisside; calice dorato di ignoto argentiere napoletano; corone da statua.

Sono presenti nella collezione anche opere attribuite a Vincenzo Guariniello, Vincenzo Buonuomo, Paolo Savoia, Angelo Prizzi, solo per citare alcuni artisti, che impreziosiscono il cospicuo patrimonio di inestimabile valore.

Secondo l’Autore, all’importanza dell’estetica di questi preziosi manufatti si aggiunge la caratteristica che gli stessi siano pregnanti della profonda spiritualità della Chiesa lucerina. L’uso di tali tesori durante le celebrazioni religiose consentiva che essi fossero ammirati da tutti i fedeli, gratificando i committenti e spronando altri ad emularli.

Secondo Boraccesi, nel Museo Diocesano di Lucera sono confluiti i maggiori e più importanti oggetti sacri scampati alla dispersione e già di pertinenza dei conventi “possidenti” della città soppressi nei primi anni dell’Ottocento dai sovrani napoletani ed in seguito nel periodo postunitario.

Ciò che è certo è che i documenti d’archivio disponibili, esaminati nel corso dello studio, non consentono una esaustiva conoscenza dell’attività orafa lucerina, dove non è accertata la presenza di maestranze nel periodo normanno, al contrario di ciò che si registra nella vicina Troia. Qui, infatti, è attestata la fabbricazione della due porte bronzee risalenti al 1132, della Cattedrale da parte di Odorisio da Benevento, che denotano la presenza di un tale Attum aurificem.

Alla luce di quando accertato, è senz’altro lecito ipotizzare che nella città esistesse una complessa realtà legata all’arte teutonica nel periodo svevo, al fine di soddisfare le richieste dell’imperatore e della sua corte. Un cronista del tempo, Nicolaus de Jamsilla, attesta che nel palazzo imperiale di Lucera si custodivano diverse suppellettili in metallo pregiato, tempestate di pietre preziose, oltre a raffinate vesti.

A conclusione della relazione scientifica, l’Autore più che fornire risposte, formula ulteriori domande dovute ai limiti contingenti della ricerca che definisce non ancora conclusa in quanto una dettagliata analisi delle fonti storiche e la conseguente scoperta di nuovi documenti potranno risolvere ciò che ad oggi non è emerso.

Un dovizioso corredo iconografico, infine, completa il testo rendendolo di agevole consultazione.

GIOVANNI BORACCESI, Gli argenti della Cattedrale e del Museo Diocesano di Lucera, Claudio Grenzi Editore, Foggia 2005, pp. 110, ill. B/N e colori.

    

©2006 Lucia Lopriore

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I metodi della ricerca storica nella scuola

Una delle edizioni del volume di Bloch.

«Papà, spiegami a che serve la storia» [1]. Così Marc Bloch esordisce nel volume Apologia della Storia quando introduce il discorso sui metodi seguiti dallo storico per indagare nel passato.

È evidente che per condurre un’indagine nel passato lo storico si trovi nella assoluta impossibilità di osservare personalmente i fatti che analizza, per questo la conoscenza del passato è necessariamente indiretta.

Nella scuola come nella vita, il primo passo per condurre un’indagine storica è l’acquisizione dei fatti. In che modo? Attraverso le fonti dirette quali i documenti reperibili negli archivi pubblici e privati, ma anche attraverso le fonti indirette ovvero le testimonianze orali, i giornali, le fonti bibliografiche, ecc.

In questo caso, però, le testimonianze possono essere inattendibili perché col tempo i ricordi possono non essere nitidi, mentre i giornali possono dare una visione distorta della realtà storica rispecchiando le tendenze politiche del momento o le volontà dell’editore, mentre per i libri bisogna osservare attentamente il fine con cui l’autore si pone di fronte al pubblico di lettori.

In realtà solo il riscontro diretto dal documento, la sua trascrizione e la sua analisi storiografica può testimoniare il passato. Ma c’è da affermare che anche in questo caso non bisogna analizzare un unico documento: bisogna fare controlli incrociati poiché spesso anche il documento può avere un contenuto apocrifo.

Ad esempio, se si vuole studiare un periodo storico preciso, bisognerà che l’analisi sia effettuata sulla scorta di tutte le fonti dirette ed indirette che si possono avere a disposizione. Questo migliorerà la qualità dell’indagine con un margine di errore dell’0,001%, rispetto a quando si tralasciano alcune fonti.

Marc Bloch, proprio a tale riguardo sostiene che «lo storico si sente in una condizione di inferiorità in confronto del buon testimone di un fatto contemporaneo; come se fosse in coda a una colonna nella quale gli ordini vengano trasmessi nella testa di riga in riga […]» [2].

Premesso che il passato è un dato non modificabile, si può senz’altro affermare che la conoscenza dello stesso si trasforma e si perfeziona incessantemente. Ovviamente, lo studio delle credenze e delle tradizioni popolari ha sviluppato solo negli ultimi tempi le sue prospettive… finora tale aspetto è sempre stato considerato dagli storici un passaggio di serie “B”, neppure antropologicamente da considerare a tutto tondo.

Le fonti narrative, in altre parole i racconti indirizzati volutamente ai lettori, costituiscono un valido aiuto per l’acquisizione di notizie; esse, oltre a fornire un inquadramento cronologico continuo, mettono in condizione lo studioso di non lasciarsi sopraffare dalle “miopie” cronologiche che imprigionano la mente dando luogo a pregiudizi e false prudenze.

Alla luce di quanto esposto, si può affermare che per procedere alla ricerca storica la prima cosa da fare è interrogarsi sull’argomento oggetto dello studio. In primis vi è lo studio bibliografico: bisogna consultare tutte le fonti letterarie sull’argomento; analizzate le prime si passa alla ricerca vera e propria con la consultazione documentaria; lo studioso, in questo caso, le deve reperire negli archivi pubblici e privati guardando gli inventari cronologici, e procedere all’esame dei carteggi relativi.

L’importanza dei riscontri incrociati dei documenti è fondamentale per avere la certezza della loro originalità e veridicità. Può accadere però che si proceda alla ricerca in maniera istintiva, in questo caso, secondo Marc Bolch «occorre che la scelta ragionata dei quesiti sia duttile suscettibile di arricchirsi, cammin facendo, di una folla di quesiti nuovi, aperta a tutte le sorprese e, in pari tempo, tale da servire, sin dall’inizio, da calamita per le limature del documento […]» [3].

Certamente si può affermare che la fase di raccolta delle notizie costituisce il passaggio più difficile per uno studioso che si rispetti: per questo supporti quali inventari di archivi o biblioteche, cataloghi dei musei, repertori bibliografici di ogni genere diventano strumenti di lavoro fondamentali.

Tutto ciò richiede tempo ed ore di studio a volte estenuanti. Può frequentemente accadere che la ricerca non produca effetti soddisfacenti: l’importante, in questo caso, è non desistere dall’impresa.

Certamente, più antico è il periodo storico da esaminare, meno possibilità ci sono di trovare i documenti. Ad esempio per l’arco temporale che va dal X al XIII secolo, è difficile procedere alla ricerca storica documentaria: guerre, saccheggi, scorrerie e quanto altro hanno determinato il depauperamento del materiale cartaceo, facendo sì che lo studioso operi in condizioni difficili e talvolta anche che sia impossibilitato a condurre l’indagine.

Fortunatamente, per i periodi più recenti della storia, molti documenti sono stati salvati perché protetti e custoditi in ambienti idonei, altri invece sono andati distrutti a causa dell’incuria o delle mancate condizioni ambientali atte a proteggerli.

Come innanzi detto, una volta visionato il documento, bisogna stabilire la veridicità dei contenuti: in passato come nel presente, facilmente si falsavano i contenuti dei carteggi, alterando così gli eventi.

Le ragioni sono riconducibili a motivi vari, che non si discostano da quelli odierni legati a strategie di potere. Il falso documentario può esserci sia nei contenuti sia sull’autore e sulle date. In tal caso si determina il falso nel senso giuridico della parola. Un esempio tra tutti è dato dai protocolli notarili che abbondano di inesattezze volontarie prodotte ai danni di uno o più soggetti sempre per gli stessi motivi: strategie di potere, interessi economici, ecc.

Ci sono dei celebri falsi documentari, scoperti a volte per caso dagli studiosi o dagli storici che hanno determinato dicotomie assertive, divenendo oggetto di attenzione per anni: es. falsi privilegi, falsi diplomi di nobiltà ecc.

La soluzione migliore per non incorrere nell’errore è che lo studioso non resti isolato poiché facendolo – secondo Bolch – potrà comprendere solo una parte della verità storica, persino nel proprio settore di indagine; la storia universale è infatti data dall’aiuto e da confronto reciproco, solo così si potranno conoscere gli eventi con un margine di errore bassissimo ossia si potrà avere la quasi totale certezza.

Esaminati i contenuti documentali, si passa alla critica che si muove su due precisi fronti: la testimonianza che giustifica e quella che discredita. Sarà compito dello studioso esaminare le fonti alternative con esiti incrociati ed accertare la veridicità dei contenuti, in relazione alla metodologia migliore per ottenere il massimo risultato.

Rapportiamo i concetti su esposti nella scuola: l’insegnante, d’intesa con gli studenti, sceglierà la strada da seguire, incominciando innanzi tutto con una breve ricerca dalle fonti bibliografiche, poi man mano assegnerà a gruppi di studenti il compito di recarsi negli archivi per consultare i documenti.

Volendo rimanere nell’ambito della propria scuola, un esempio tra tutti potrebbe essere dato dalla ricerca sulla fondazione del proprio istituto scolastico; in questo caso ci si può dirigere verso gli archivi scolastici come fonte primaria della ricerca.

Tuttavia tali archivi non sempre sono consultabili o perché non ordinati ed inventariati, o perché privi di carteggi. Del resto si sa che fino a non molto tempo fa si era soliti “liberare” gli istituti scolastici dall’accumulo di carte ritenute “inutili” mandandole al macero, allo scopo di devolvere il ricavato delle vendite in beneficenza.

Un’altra interessante ricerca potrebbe essere svolta dagli studenti sulle proprie origini attraverso la consultazione dei registri parrocchiali nella propria diocesi di appartenenza. In questo caso sarebbe utile recarsi presso l’archivio della curia vescovile; tale ricerca coprirebbe, nei casi più fortunati, un arco cronologico che va dalla fine del 1500 circa fino ai nostri giorni.

Sempre per lo stesso argomento, si potrebbe ricercare nei registri di stato civile disponibili presso gli Archivi di Stato a partire dal 1809 fino ai primi anni del 1900.

Un altro argomento di grande interesse per gli studenti potrebbe essere dato dalla ricerca sulle origini della propria città o del suo centro storico. In questo caso, oltre alle fonti bibliografiche, la ricerca potrà essere condotta attraverso la consultazione delle mappe geografiche custodite presso gli Archivi di Stato.

Per la Capitanata , ad esempio, interessante si rivelerebbe la visione diretta degli atlanti delle locazioni o delle reintegre dei tratturi, compilate a partire dalla metà del 1500 dai regi compassatori, per evitare che gli agricoltori sconfinassero nei tratturi riservati ai locati durante il passaggio degli armenti nel periodo della transumanza.

Sempre negli archivi pubblici sono custoditi i catasti, da quello Onciario, chiamato così perché i beni erano valutati in once, a quello più moderno risalente all’Ottocento introdotto durante il Decennio francese.

Anche gli atti dei notai costituiscono una chicca per i ricercatori; da tali documenti infatti si possono evincere notizie economiche, (inventari, testamenti, ecc.) antropologiche (capitoli matrimoniali, elencazione del corredo, usi, costumi, tradizioni ecc.), notizie preziose che fungono da corollario alla riscoperta delle proprie radici.

Oggi, istituti come gli archivi di Stato d’intesa con le scuole secondarie di I e II grado, attraverso i laboratori di didattica della storia veicolati dagli insegnanti, offrono agli studenti la possibilità di appassionarsi alla ricerca storica, creando i presupposti per nuovi e futuri sbocchi lavorativi.


1 M. Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, Torino 1973, pp. 23 e ss.

Ibidem.

Ibidem.

©2007 Lucia Lopriore

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Microstorie

Le opere scelte di Francesco Gentile

Fresco di stampa il nuovo volume contemplato nella collana editoriale Spicilegio della raccolta dei Quaderni del Centro Distrettuale CRSEC FG/32 a cura di Daniela Mammana, responsabile di tale Centro.

In questo lavoro la curatrice ha voluto raccogliere alcuni scritti dell’intellettuale Francesco Gentile con «l’intento […] di restituire visibilità storica all’opera e alla figura di questo vivace intellettuale pugliese, nato ad Ascoli Satriano, ma vissuto a Foggia già dal primo decennio del secolo scorso, dove svolse la sua attività di critico d’arte, conferenziere, pubblicista e protagonista della “terza pagina” dei periodici locali partecipando intensamente ai fermenti politici e culturali degli anni suoi e dando vita a numerosi studi, prevalentemente a carattere storico-artistico. […]».

Con queste parole Daniela Mammana spiega, nella sua Presentazione, la metodologia della ricerca che, in questo caso, si avvale oltre che delle notizie attinte da fonti dirette, lasciate dal personaggio oggetto dello studio, anche dalle testimonianze dei suoi discendenti, e qui entrano in campo la nipote, Paola Gentile ed i suoi cugini, Giuseppe e Silvana, che hanno contribuito, con i loro ricordi, alla ricostruzione dell’aspetto umano dell’intellettuale pugliese.

Nella sua carriera Francesco Gentile si occupò di vari argomenti a carattere storico e sociale che in questo lavoro vengono evidenziati attraverso alcuni scritti che meglio denotano le sue doti professionali, la vastità di interessi e l’impegno socio-culturale.

La poesia dei ruderi, frutto di una relazione preparata per una conferenza, evidenzia il concetto di restauro innovativo rispetto a ciò che fino ad allora veniva propinato. Nei paragrafi dedicati alla descrizione della cattedrale e del palazzo imperiale di Foggia nonché del castello di Lucera, Francesco Gentile traccia un quadro storico-artistico delle tre costruzioni criticando aspramente i rifacimenti eseguiti senza il rispetto delle architetture originarie.

Profili di artisti, anche questi scritti sono frutto di una serie di articoli e conferenze con lo scopo di porre in luce la poliedricità degli artisti foggiani dei quali già da qualche tempo l’opinione pubblica non teneva più conto. Così l’Autore “rispolva” personaggi del calibro di Bartolomeo da Foggia e di suo figlio Nicola che gran lustro diedero alla città con le loro pregevoli opere; di Gualtiero da Foggia, personaggio contemporaneo di Nicola, scultore altrettanto affermato; di Domenico Caldara pittore di chiara fama che con Saverio Altamura e Nicola Parisi si distinse per le maestose opere pittoriche tanto che la sua fama giunse fino ai Borbone, e nella capitale, per un periodo, fu anche pittore di corte. A tale riguardo, celebre fu la sua fama quando eseguì il dipinto dal titolo Gli ultimi momenti di Ferdinando II.

L’Autore, inoltre, non manca di tratteggiare anche i profili di Vincenzo Acquaviva, Vincenzo Dattoli, Giuseppe Fania e Saverio Pollice. Le interessanti dissertazioni sul santuario dell’Incoronata di Foggia e sul culto della Madonna Iconavetere della stessa città completano il testo.  

Il volume è altresì corredato dalla riproduzione di numerose immagini d’epoca tratte da opere letterarie coeve e da documenti originali che fanno di questa pregevole raccolta un esemplare utilissimo per la divulgazione e la conoscenza della storia del capoluogo daunio e non solo.

Raccontare in questi scritti scelti la vita e le opere di questo personaggio, protagonista indiscusso del suo tempo, esempio di una cultura sempre attuale e mai desueta, che troverà in Carlo, suo figlio, la massima espressione filosofica e scientifica, di una mente eccelsa maestra di vita, è sata un’iniziativa encomiabile da parte della curatrice del volume, meritevole di ogni apprezzamento positivo, poiché questo lavoro contribuisce all’arricchimento del nostro patrimonio storico-artistico e rappresenta un tassello in più da collocare tra le opere letterarie della nostra bella terra.

    
      

©2007 Lucia Lopriore. Le immagini di questa pagina sono tratte dal volume citato.

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Roseto Valfortore nei documenti d’archivio

La copertina del volume.

Interessante ed originale per la città di Roseto Valfortore il volume dal titolo Roseto Valfortore dal documento alla storia, Foggia 2007 (pp. 199, ill. b/n, Edizioni del Rosone, Foggia), scritto dal prof. Alfonso Rainone con la collaborazione degli alunni della classe III D della scuola secondaria di primo grado della sezione associata di Roseto Valfortore facente capo all’Istituto “Paolo Roseti” di Biccari, patrocinato dal Comune di Roseto Valfortore, dall’Istituto Bancario San Paolo Banco di Napoli, filiale di Roseto, dalla ditta Fortore e Sviluppo – Fortore energia, e dalla stessa scuola della quale sono allievi i ragazzi.

L’originalità della ricerca consiste nel fatto che il prof. Rainone ha, a pieno titolo, adottato il metodo storiografico dello studio e dell’apprendimento della storia attraverso la consultazione dei documenti d’archivio.

Introdurre la ricerca storico-documentaria nella scuola non è cosa da poco. Ma, sicuramente, non deve essere stata cosa semplice per il professore ed i suoi giovanissimi allievi alla prima esperienza, interpretare, trascrivere, studiare ed apprendere il contenuto dei documenti esaminati; carte, spesso nemmeno inventariate, che rimarrebbero sconosciute se non fossero riportate alla luce dagli studiosi con spirito di dedizione ed abnegazione.

Il lavoro che racchiude anche la riproduzione iconografica del Catasto Onciario di Roseto Valfortore risalente al 1741, documento tratto dalle fonti dell’Archivio di Stato di Napoli, verte anche sullo studio e l’analisi delle fonti alternative quali epigrafi, lettere olografe ecc., ma anche dall’analisi dei documenti custoditi presso altri archivi quali la sezione dell’Archivio di Stato di Lucera, l’Archivio Parrocchiale di Roseto e l’Archivio Diocesano di Bovino. Uno studio a carattere scientifico e sistematico che racchiude gran parte della storia del piccolo centro del Subappennino Dauno tra Settecento ed Ottocento.

La bravura dei ragazzi poi, è stata quella di essere riusciti ad apprendere la metodologia di studio e a superare le difficoltà incontrate, come ad esempio il linguaggio e le espressioni desuete, tipiche di un idioma tramontato nel quale è proiettato il piccolo centro urbano.

Frutto di un’esperienza nuova per la scolaresca, il volume riporta alla luce uno spaccato di vita che riemerge come d’incanto grazie all’impegno ed all’abile guida del docente di Lettere.

«Il progetto si è svolto in ore extracurriculari, andando tuttavia ad intrecciarsi in modo unitario per gli approfondimenti sia alle attività curricolari di italiano e storia, che di quelle opzionali facoltative di conosciamo il territorio, percorsi di lettura e latino […]», è quanto afferma il prof. Rainone nella sua Introduzione spiegando ai lettori la metodologia applicata.

Già da qualche tempo nella scuola è stato introdotto il laboratorio di didattica della storia che, in collaborazione con gli archivi pubblici e privati, si pone come obiettivo l’insegnamento della microstoria attraverso la consultazione delle fonti archivistiche, perché la storia si può conoscere soprattutto dai documenti. Ma, come diceva Marc Bloch, le fonti devono essere esaminate attraverso varie direttrici prestando attenzione ai falsi storici che alterano la verità travisando le notizie. Il compito dello “storico” è quello di saper selezionare, compulsando i documenti, la verità dalla “fantasia” che trasforma la storia in leggenda.

L’attenzione, pertanto, deve essere rivolta a tale selezione in primis, poi viene la narrazione delle vicende attraverso lo studio dei fatti e dei relativi personaggi.

Nel volume in questione, è stato fatto proprio questo lavoro: selezione delle fonti, analisi delle stesse, ed infine, narrazione delle vicende più importanti con la possibilità di avere i documenti sottomano senza che i lettori debbano recarsi negli archivi.

Tra i rosetani famosi emerge il personaggio di mons. Francesco Saverio Farace, del quale si traccia oltre al profilo biografico, anche i tratti salienti della sua vita attraverso lo studio di atti notarili, epigrafi ecc.

Il dovizioso apparato iconografico completa il testo che, per il piccolo centro rosetano, resta una pietra miliare nel corollario della bibliografia locale.

È senz’altro questo un libro che non deve mancare nelle case dei cultori e non solo, un libro utile a tutti coloro che vogliano cominciare a ricercare per scoprire le loro “radici culturali”, perché, come spesso si dice, non si può vivere il presente senza conoscere il passato.

©2008 Lucia Lopriore

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Il Catasto Onciario di Ascoli (1753)

Della prestigiosa e nuovissima collana “Platea Magna” fa parte il recente volume curato da Antonio Ventura dal titolo Onciario della città di Ascoli 1753, patrocinato dal Comune di Ascoli Satriano e dal Centro Culturale Polivalente, pubblicato dalla casa editrice foggiana Claudio Grenzi Editore (pp. 381, ill., Foggia 2006, € 39,00).

L’interessante lavoro, curato sin nei minimi particolari dall’Autore, evidenzia quale fosse il sistema fiscale settecentesco nella cittadina daunia in relazione al numero dei fuochi e dei possedimenti di ciascuna famiglia.

Impreziosito dai contributi dei proff. Stefano Capone, dell’Università degli Studi di Siena, che analizza le riforme del Settecento apportate in un’epoca in cui predominava l’oscurantismo, Marco Nicola Miletti, dell’Università degli Studi di Foggia, che affronta lo studio sui profili giuridici del Catasto Onciario borbonico, e Nevill Colclough, dell’Università del Kent, che esamina la dinamica delle relazioni di parentela e dell’organizzazione familiare nella Ascoli dell’ancen régime, il volume offre ai lettori un quadro chiaro della situazione demografica, fiscale e politica dell’epoca.

Il Catasto Onciario costituisce una sorta di innovazione fiscale voluta da re Carlo III di Borbone e fa parte di una lunga serie di riforme legislative che apportarono radicali cambiamenti nel Regno di Napoli, fino allora offuscato dal potere vicereale che, dopo due secoli di governo sull’onda della politica oscurantista, aveva creato sperequazioni nella distribuzione dei carichi fiscali. L’intelligente intervento del sovrano, affiancato dal marchese pisano Bernardo Tanucci, contribuì all’espansione del progresso politico ed economico che caratterizzò tutto il Settecento napoletano.

Tornando al documento studiato e trascritto dall’Autore, esso riporta non solo la situazione finanziaria inerente ciascun contribuente, attraverso la valutazione in once dei profitti espressi in ducati, ma traccia anche in modo dettagliato un quadro chiaro della demografia ascolana: nel testo è riportato anche il numero dei residenti, quello dei forestieri, delle vedove, ecc., diviso per classi sociali e per attività, quale indispensabile ed utilissima chiave di lettura di uno spaccato del vissuto quotidiano.

Per ogni fuoco, costituito da un nucleo familiare di circa 4 o 5 unità, è calcolata una rendita pro capite di 42 carlini, a ciò sono sommate le tasse comunali previste dagli stati discussi dell’Università, ossia dai bilanci del Comune.

Alcune rendite sono soggette ad aggiornamenti annuali attraverso regole precise fissate dalla Regia Camera della Sommaria, allo scopo di fornire il metodo per la formazione della tassa. Da qui, la possibilità di conoscere dettagliatamente le situazioni patrimoniali di ciascun “contribuente”.

Non mancano, come sempre, i diritti di esenzione dalle tasse riconosciuti ai personaggi più in vista del paese. È questo il caso del duca Don Sebastiano Marulli, feudatario di Ascoli, il quale con i diritti, privilegi, e quanto altro acquisiti sui beni feudali e burgensatici, costituisce l’esempio di quella casta dotata di propri organi di rappresentanza cui tutti gli abitanti devono ubbidienza e, conseguentemente, cui sono riconosciuti sia pure in parte i diritti di esenzione dal pagamento delle tasse.

L’Autore, inoltre, non trascura di evidenziare anche l’aspetto antropologico del centro daunio fornendo, attraverso un’ampia carrellata, notizie preziose sul paese e sugli abitanti.

Il testo è infine arricchito da illustrazioni quali documenti e piante topografiche del territorio, rinvenute presso l’Archivio di Stato di Foggia, oltre ad una ricca raccolta di tabelle, un esaustivo glossario ed alle note che concludono il volume.

In definitiva è questo un libro preziosissimo che costituisce un valore aggiunto al patrimonio culturale della nostra storia.

 

©2006 Lucia Lopriore

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La Garganica, che passione …

La copertina del volume.

Sulla scia del libro pubblicato nel 2004 da Marcello Ariano che parlava della tranvia di Torremaggire raccontando, in piena era futuristica, le vicende legate alla nascita ed allo sviluppo della rete tranviaria della cittadina dauna, in un volume fresco di stampa, viene oggi riproposto il tema dei trasporti ferroviari da due specialisti del settore: il geologo Salvo Bordonaro e l’architetto Bruno Pizzolante.

I due tecnici, amanti della ricerca storica con particolare riguardo al settore tecnico-scientifico, con questa ultima fatica dal titolo La Ferrovia garganica, edita per i tipi di Claudio Grenzi Editore (pp. 151, Appendice, ill. b/n e colori, Foggia 2006, s.i.p.), realizzata per celebrare il 75° anno dalla fondazione della Ferrovia garganica, frutto di anni di ricerca, hanno ripercorso una tappa indicativa di un progresso che, per molti versi, ha apportato cambiamenti importanti al sistema dei trasporti garganici.

Da quando è stata costruita la ferrovia del Gargano il treno è stato il mezzo di locomozione più usato da turisti e residenti per gli spostamenti lungo le coste. La ferrovia garganica ha segnato un’epoca di nuovi contatti sociali, culturali ed economici rendendosi interprete delle nuove esigenze di mobilità della popolazione della zona, e non solo. Essa ha rappresentato il punto di contatto con le realtà degli altri centri urbani agevolando le relazioni sociali così com’è evidenziato in quarta di copertina che recita:

«[…] Dagli ordinati vigneti del Tavoliere alla lussureggiante baia di Calenella, passando per le balze erte del Gargano occidentale, per le scenografiche trincee e gallerie scavate a fatica nella roccia, per gli interminabili rettilinei immersi negli uliveti della piana di Carpino, immergendosi infine nel fresco della pineta Marzini, non senza aver più volte salutato le assolate spiagge dell’Adriatico e i bianchi paesi arroccati sulle alture.

Poco meno di ottanta chilometri di spettacolo ferroviario per la prima concessa in Italia nata in pieno Ventennio già con trazione elettrica, che da tre quarti di secolo effettua il suo servizio forse un po’ in sordina, attendendo oggi una valorizzazione che le deriverà da alcune iniziative di modernizzazione della linea, degli impianti e del materiale rotabile. […]».

Documenti riguardanti la posa della prima pietra.

La ricerca, svolta sulla base di documenti d’archivio e di notizie tratte dalle stampe d’epoca, dimostra la capacità degli Autori di saper affrontare argomenti di sicuro interesse storiografico.

Non mancano notizie su personaggi di spicco che hanno giocato un ruolo determinante nel territorio di Capitanata per la loro competenza professionale, o figure di rilievo del vissuto quotidiano; nomi ricorrenti che hanno fatto la storia della ferrovia garganica e che resteranno per sempre legati ad essa entrando a far parte del corollario di presenze umane o di “Risorse”, come si direbbe oggi, che, con il frutto del lavoro quotidiano, hanno contribuito all’incremento della rete ferroviaria che oggi serve un bacino di utenza stimabile in circa 135.000 persone. Quota che tende a raddoppiare durante il periodo estivo per l’elevata affluenza di turisti.

Tale tratta è identificabile geograficamente con la fascia settentrionale del promontorio del Gargano, estesa da San Severo a Vieste e, grazie ad un servizio di autolinee interconnesso con la ferrovia consente un’organizzazione impeccabile.

Dalle pagine interne del volume.

Più volte, per un rilancio del servizio, è stato incrementato il parco dei rotabili, primo passo per aumentare le corse ferroviarie puntando ad offrire maggiore sicurezza e più comfort. Così dal lontano 1869, anno a cui risale il primo progetto ferroviario a firma di Antonio Maria Lombardi, ad oggi, molte cose sono cambiate e, con le Ferrovie dello Stato sempre più in crisi, la ferrovia garganica punta ad una maggiore stabilità aziendale in vista anche dell’incremento del flusso migratorio e turistico che, oggi più di ieri, punta ai massimi livelli qualitativi; è questa un’azienda sempre più in espansione, con certezze che la rendono competitiva sul mercato dei trasporti interregionali.

Nel volume non mancano racconti ed aneddoti di un vissuto quotidiano che coinvolge emotivamente il lettore facendo scorgere, attraverso lo scorrere lento delle pagine, quella vena di ironia propria delle popolazioni garganiche, abituate a vivere tout-court le tradizioni e le memorie di un passato remoto o di un futuro prossimo che ancora oggi coinvolge. Si scorge così, il lento trascorrere del tempo che non lascia spazio ad altro che ai ricordi… ricordi che a volte sfuggono impalpabili ma che si ritrovano nelle immagini d’epoca, che con le planimetrie e i documenti di vario genere rendono il testo unico nel suo genere.

  

©2007 Lucia Lopriore

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Microstorie

Foggia in particolare

Un album fotografico di Paolo e Claudio Grenzi

La copertina di Foggia in particolare

«Cosa c’è dietro l’angolo?». Con questa domanda rivolta agli ospiti, un noto presentatore e giornalista televisivo concludeva l’intervista in una trasmissione, in onda su RaiUno, negli anni ’70 del secolo appena trascorso.

Ebbene, la stessa domanda proiettata nella nostra città trova un’immediata risposta. Ci hanno pensato, infatti, Claudio Grenzi e suo figlio Paolo ad evidenziare gli angoli più suggestivi di Foggia, attraverso una recente e bella pubblicazione fotografica dal titolo Foggia in particolare (pp. 108, ill. b/n e colori, Foggia 2006).

Attraverso la caccia al dettaglio, ritroviamo Claudio Grenzi, noto editore foggiano, in veste di autore e di fotografo. In una passeggiata per le strade della nostra bella città, Claudio e suo figlio Paolo mettono in luce gli angoli e le vie più suggestive, ed i particolari che spesso sfuggono all’attenzione del passante o anche del cittadino residente che corre e, troppo spesso, non nota ciò che lo circonda e guarda le cose “senza osservare”.

Questo volume rappresenta un momento di pausa e di riflessione sulle bellezze architettoniche di Foggia e non solo.

Così, un soggetto ritenuto apparentemente “insignificante” assume in un contesto artistico una sua configurazione. Le peculiarità di taluni elementi architettonici non prescindono dal contesto contemporaneo nel quale sono collocate.

Architravi, roste, candelabri, gru, insegne di fabbriche e di esercizi commerciali, e, persino particolari di epigrafi e di lapidi funerarie, sono posti in luce attraverso lo “scatto” artistico dagli Autori nelle loro istantanee.

Già noto per le sue altissime qualità professionali, che esprime attraverso il lavoro quotidiano di grafico ed editore, Claudio Grenzi ha voluto, con l’ausilio di un altrettanto promettente figliuolo, regalare alla città un altro tassello di cultura. Quella cultura spesso bistrattata dalla vita frenetica e dagli interessi che il consumismo sfacciato pone alla base della vita moderna. Quella cultura che oggi viene seguita solo in apparenza per “darsi contegno”… ma che poi tutti calpestano…

“La caccia al particolare”, che gli Autori evidenziano nel loro volume, mette in luce lo stato di bellezza/degrado del nostro patrimonio artistico. Un degrado inesorabile e, per molti aspetti, anche voluto.

Voluto dalle sconsiderate demolizioni urbanistiche che troppo spesso sono giustificate dalle vetustà costruttive impossibili da recuperare… allora? È meglio abbattere! Già! Meglio abbattere se non si può recuperare…

Così il declino inesorabile della memoria storica prende il sopravvento sulla “Cultura” ed agli autori siano essi fotografi, storici o semplici cultori, non resta altro che “salvare il salvabile” soprattutto attraverso le testimonianze “cartacee”.

Bene hanno fatto gli Autori di questo prezioso libro di memorie a “salvare” quello che resta ancora da recuperare… mettere “nero su bianco” è pur sempre un tentativo di sensibilizzazione dell’opinione pubblica.

Sempre che ci si accorga dello scempio compiuto e si rifletta sul da farsi e ci si rimbocchi le maniche e non si continui a dire “tanto ci devono pensare le istituzioni…”.

È l’opinione del cittadino che va sensibilizzata… così, per fare un esempio, se solo ci fosse stata una campagna di sensibilizzazione pubblica, il seicentesco palazzo Poppa-Caponegro con l’arco di San Michele, ubicato nei pressi del Municipio di Foggia, esempio mirabile di architettura barocca, demolito negli ultimi anni per far spazio ad un’anonima ed orrenda costruzione moderna, edificata secondo quel principio di discutibile progettazione volta allo pseudo-recupero dei centri storici, avrebbe subito una sorte diversa. Come ancora è da definire la situazione del restauro di palazzo Trifiletti-Giovene in Corso Garibaldi, in procinto di subire lo stesso inesorabile destino.

«Non basta fotografare!», direbbe qualcuno, ma anche questo serve! Soprattutto se il messaggio parte da molto lontano… in questo caso poi, è un messaggio lanciato da persone che la cultura la vivono quotidianamente attraverso il proprio lavoro. Quel lavoro che esporta il “sapere” in tutto il mondo. Così, le pubblicazioni spedite in varie parti dell’universo della conoscenza e non solo, fanno sì che la storia del nostro territorio sia portata fuori dai confini, non arginata o ridotta ad un semplice fenomeno di carattere endemico.

Volendo riassumere in una formula matematica il concetto di “cultura” lanciato dagli Autori, possiamo affermare che se la conoscenza è sinonimo di progresso, l’ignoranza, in quanto mancanza di consapevolezza, è baluardo di distruzione della memoria.

Ma non sempre l’ignoranza può giustificare taluni sconsiderati comportamenti! Comportamenti che scaturiscono da disagi sociali e mentali… Il fatto, ad esempio, che alcuni “soggetti” deturpino, con i loro graffiti in prevalenza volti ad allusioni falliche, i monumenti delle città, è sintomo di disagio sociale oltre che mentale…

Il problema allora è da ricercare alla base di una società che non garantisce più potere… che non difende… che non tutela…  

Ai cultori della storia allora, non resta altro da fare se non denunciare questo disagio attraverso testimonianze, siano esse scritte o fotografate, proprio come hanno fatto gli Autori del volume.

Mai l’invito di un nostro amato concittadino, Renzo Arbore, vanto della cultura del capoluogo dauno, grazie al quale la storia delle nostre radici è stata esportata in tutto il mondo attraverso la musica, e che da qualche anno recita nelle pubblicità di rinomati prodotti commerciali – «Meditate gente!… Meditate…!» – fu tanto appropriato come in questo caso.

©2007 Lucia Lopriore

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Microstorie

Romolo Caggese sui Comuni rurali italiani

La copertina del saggio.

Non si può parlare di Ascoli Satriano, ridente cittadina della Capitanata, senza pensare alla figura dello storico ascolano più conosciuto nell’universo del sapere: Romolo Caggese.

Questi non ha certamente bisogno di presentazioni, tanto vasta è stata la sua produzione bibliografica; tralasciando volutamente la sua biografia già nota al pubblico di lettori, ci sembra sia necessario soffermarsi sul suo impegno costante che lo rese protagonista di tante collaborazioni con le più prestigiose case editrici e riviste scientifiche, tra queste si ricordano in special modo: la «Cambridge Medieval History», l’Enciclopedia Treccani e la «Rivista Italiana di Sociologia».

Allievo durante gli anni del liceo di Francesco Carabellese, noto studioso medievista, egli trasse vantaggio dai suoi insegnamenti per poi far confluire i suoi interessi negli studi storico-giuridici.

L’influenza dei suoi maestri tra i quali figurano Alberto Del Vecchio, docente di Diritto medievale presso la Scuola di Paleografia e Diplomatica di Firenze, Gioacchino Volpe e Gaetano Salvemini oltre a Pasquale Villari, relatore della sua tesi di laurea, influirono notevolmente sulle sue future scelte professionali.

A tale riguardo significativa nel 1905 fu la pubblicazione del saggio riguardante le origini dei Comuni rurali in Italia, sulla «Rivista Italiana di Sociologia».

Tale saggio è stato recentemente ripubblicato in una monografia, dal Centro Culturale Polivalente di Ascoli Satriano,  on lo stesso titolo: Intorno alla Origine dei Comuni Rurali in Italia (pp. 64, ill. b/n, Foggia 2005, s.i.p.), con prefazione del prof. Raffaele Licinio, ordinario di Storia Medievale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bari (e supplente in quella di Foggia).

Il lavoro, di sicuro interesse storiografico, scaturisce da un precedente studio svolto in occasione della preparazione della tesi di laurea avente per titolo: Un Comune libero alle porte di Firenze nel secolo XIII. Studi e Ricerche, riguardante il Comune di Prato ed il suo contado e pubblicata nel 1905. In questo saggio l’Autore afferma che parlare delle origini dei Comuni rurali in Italia non è cosa facile se si pensa che sono state sostenute le tesi più disparate: secondo alcuni studiosi i Comuni potevano aver avuto origine in continuazione dei municipi romani, ma Caggese contesta questa tesi adducendo una serie di ragioni plausibili che fanno scartare tale possibilità.

Secondo altri storici i Comuni erano sorti grazie ai diplomi ottoniani che avrebbero favorito le condizioni ambientali tali da renderne possibile la loro nascita; qualcun altro accennava alla presenza e al ruolo decisivo della signoria vescovile, tesi questa ritenuta la più attendibile da Caggese.

Premesso che il periodo che ricopre l’arco temporale che va dal VII al X secolo non dispone di molte fonti documentarie, ciò che è noto agli storici è che il sistema legislativo e giurisdizionale di allora era piuttosto precario. È facile perciò saltare a conclusioni aleatorie e poco dimostrabili, ma è anche vero che l’analisi di Caggese chiarisce molti punti rimasti fino ad allora oscuri; spiegando il funzionamento del sistema legislativo durante la signoria vescovile, l’Autore giunge alla conclusione che essendo il Comune un organismo economico, ma soprattutto un fenomeno sociale tra i più fecondi della storia italiana prima delle origini del capitalismo moderno, a suo avviso è importante stabilire l’analisi degli atteggiamenti dei gruppi sociali delle loro ragioni di vita connesse alle entità dei loro interessi.

Il Comune rappresenta la prima forma di Stato in Italia, ed è importante esaminare i caratteri, la struttura costituzionale, i suoi organi, le sue funzioni; inoltre, essendo anche un fenomeno politico, bisogna ricercare che cosa rappresenti in relazione alla politica imperiale ed ecclesiastica di quella fase del Medioevo. Tenendo conto anche della politica estera oltre all’economia rurale ed urbana, l’Autore sostiene che, fino a quando non saranno esaminate a fondo tali tematiche, la ricerca scientifica sulle origini dei Comuni rurali non troverà mai una risposta esaustiva.

Dalla lettura di questa monografia, ci sembra che Caggese, più che dare delle risposte in merito all’argomento, favorisca spunti per ulteriori domande, riteniamo che con questo intento abbia voluto sensibilizzare gli animi degli storici e stimolarli allo svolgimento di ulteriori e proficue indagini.

©2007 Lucia Lopriore

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Microstorie

La memoria delle parole

Copertina del volume.
Sommario del volume.

«L’Italia è una miniera di dialetti e tradizioni che affondano le loro radici nella cultura prelatina e variano da regione a regione, da città a città, da paese a paese, perché diverse erano le popolazioni che vi abitavano, dai Celti agli Apuli, dai Venetici agli Osci ai Siculi […]».

Così esordisce Francesco Granatiero nella Prefazione del suo volume scritto per conoscere le origini dei vari dialetti pugliesi, con particolare riguardo a quelli della Capitanata e della Terra di Bari dal titolo La memoria delle parole. Apulia. Storia, lingua e poesia, edito per i tipi delle Edizioni Claudio Grenzi di Foggia, racchiuso nella collana editoriale “Il Dialetto a Scuola – 1” (pp. 140, ill., Foggia 2004).

L’intento dell’Autore nel realizzare questo complesso lavoro è stato quello di promuovere lo studio linguistico in vernacolo nelle scuole di ogni ordine e grado nell’era della globalizzazione che porta ad un appiattimento linguistico e culturale con il “presentismo dell’utopia tecno-informatica” che rappresenta una seria minaccia per la memoria delle parole.

Il testo si pone come studio agile e ricco di curiosità culturali che suscitano l’interesse del lettore in quanto offre molti spunti di riflessione in campo linguistico dialettologico, etnografico e letterario.

Lo stimolo giunge direttamente dalla scuola, quale veicolo di formazione della futura “intellighenzia”, che non può essere privata degli utili strumenti che introducano allo studio della lingua dialettale senza pregiudizi, aprendo una seria riflessione su una materia troppo a lungo ritenuta argomento di scherno e di ignoranza.

È senz’altro utile ricordare l’importanza della dialettalità, ossia dell’immissione di termini dal vivaio dialettale, nella lingua della nostra letteratura come si evince dagli scritti del Verga, di Cesare Pavese o di Andrea Camilleri. Le forme di italiano che risentono del dialetto rappresentano una testimonianza viva della lingua, prima che deviazioni dalla norma o veri e propri errori.

Oggigiorno non stupisce la doviziosa presenza di poeti dialettali accanto ai grandi autori della lingua italiana. La poesia dialettale, infatti, non è più ritenuta un’amena curiosità né un semplice documento, sebbene restituisca alle parole tutta la dignità culturale del tempo o non tempo che scandaglia.

È importante che nella didattica dell’educazione linguistica il dialetto non sia utilizzato episodicamente con inevitabili diffidenze o ilarità, e con il rischio che sia considerato solo “oggetto da museo” ma, come dice Carla Marcato, «progettando attività e riflessioni che promuovano la consapevolezza linguistica, la considerazione della diversità, dalle varietà come arricchimento in un contesto di fatti linguistici, sociali, sociali, culturali (letterali, etnografici ecc.)».

Le numerose tabelle di apporti linguistici di cui il volume è corredato (prelatini, greci, latini, albanesi, bizantini, longobardi ecc.), la sezione grammaticale dei vari dialetti con le carte linguistiche, una interessante iconografia, nonché l’antologia dei poeti pugliesi ormai storicizzati tra i quali spiccano: Abbrescia, Lopez, Nitti, Strizzi, Gatti, Borazio, Angiuli e lo stesso Granatiero, commentati e corredati da un’esaustiva biografia associata ad un utile glossario, completano il simpatico ma rigoroso testo che vede associate preziosità, curiosità, storia ed etnografia.

L’AUTORE
Francesco Granatiero è nato a Mattinata (FG). Medico ospedaliero, vive e lavora a Rivoli (TO). Dopo alcune plaquettes di poesia in lingua, ha rivolto l’attenzione al dialetto del suo paese di origine: All’acchjiette (1976), U iréne (1983), La préte de Bbacucche (1986), Énece (1994), L’endice la grava (1997), Scúerzele (2002), Bbommine (2006). È presente nelle più importanti antologie e storie letterarie di poesia dialettale (Dell’Arco, Chiesa-Tesio, Brevini, Spagnoletti-Vivaldi, Serrao, Bonaffini-Serrao-Vitiello, Haller, Malato).  Dall’86 al ’92 si è occupato del coordinamento editoriale della collana “Incontri” diretta da Giovanni Tesio per Boetti & C. Editori, in cui hanno visto la luce volumetti dei maggiori poeti dialettali del secondo Novecento. Ha pubblicato una Grammatica (1987) e un Dizionario (1993) del dialetto di Mattinata e Monte Sant’Angelo e due dizionari di proverbi, uno limitato a Mattinata e l’altro esteso a tutto il promontorio del Gargano. Dopo la memoria delle parole (2004), ha scritto un’antologia di 109 versioni in dialetto apulo garganico di 60 poeti (da Omero a Montale e Seamus Heaney), pubblicata nella stessa collana con il titolo Giargianese – Poesia in altre lingue (2006) e impreziosita da un cd (75 minuti, con musiche originali di Antonino Di Paola) comprendente tra l’altro, nella impeccabile interpretazione e nella calda vocalità di Granatiero, oltre a 56 versioni di testi altrui, 20 tra le più belle poesie tratte dalle sue raccolte.     

FRANCESCO GRANATIEROLa memoria delle parole. Apulia. Storia, lingua e poesia, Edizioni Claudio Grenzi, Foggia 2004, pp. 140, ill.

©2006 Lucia Lopriore