San Severino Cilento (fraz. di Centola, borgo, torre, castello, palazzo baronale)

CENNI STORICI

San Severino di Centola, nel basso Cilento, è un borgo medievale abbandonato situato sulla sommità di un colle costituito nella sua struttura da rocce calcareo-scistose, con la cima bipartita da una sella, la quale divide in due zone l'insediamento in cui si distinguono i ruderi del castello e della chiesa, dall'area in cui vi sono le abitazioni abbandonate dai cittadini. Il colle ha la parete nord-est che si erge a strapiombo dalla riva destra del fiume Mingardo (che solca la "Gola del Diavolo"), mentre dalla riva sinistra si erge il monte Bulgheria che ha preso il nome dai mercenari bulgari guidati dal duca Altzek che giunse in Italia con le sue truppe, dapprima nel Molise e poi anche a Paestum e Policastro, nel VII secolo. Il borgo era noto come "San Severino de Camerota", di cui fu casale per un lungo periodo, mentre dopo il 1861 prese l'attuale denominazione di San Severino di Centola. Il casale conserva ancora i caratteri architettonici del borgo medievale che si è adattato al luogo e "si affaccia sul fiume Mingardo, come un'appendice del castello; esso appare congelato nella sua minima dimensione, perché le condizioni dei luoghi non consentivano altro sviluppo". Lo sviluppo successivo del villaggio conserva tracce dei periodi longobardo, angioino, aragonese, del Seicento, del Settecento e vi sono tracce più marcate dell'Ottocento, mentre le tracce della prima metà del Novecento sono legate all'ultimo periodo di vita di San Severino con l'abbandono da parte degli abitanti e alla sua progressiva "distruzione". Non c'è dubbio che il colle venne scelto per la sua posizione strategica di difesa e di controllo del territorio, per la facilità di collegamento visivo dei propri sistemi difensivi con gli altri presenti nella zona. Infatti i due strapiombi rocciosi che si affacciano sulla "Gola del Diavolo" rendevano, prima la torre quadrata e poi il castello, inaccessibili da due lati, mentre gli altri passaggi erano salvaguardati dalla cortina di abitazioni che erano costruite in maniera tale da costituire una barriera simile a quella delle mura, le quali considerata la morfologia del luogo che non forniva spazi ampi per effettuare delle manovre militari di attacco, potevano essere sostituite dalla cortina edilizia, con il lato esposto verso la vallata con poche e piccole aperture, per cui l'abitato stesso costituisce "lo Muro", il limite fisico tra la residenza e la campagna, realizzando un sistema difensivo mimetizzato dalle abitazioni. Comunque al termine del regno della dinastia aragonese, quando il Mezzogiorno d'Italia dopo un breve periodo di divisione tornò ad essere unito (1504) sotto il dominio della monarchia spagnola, in alcuni documenti della prima metà del XVI secolo, viene segnalata la consistenza delle opere fortificate nella provincia di Salerno e apprendiamo che San Severino di Camerota aveva "muros buenos y castillo fuerte al pié de la tierra en una rocca", di cui non restano tracce sufficienti che rendano leggibile la loro forma originaria. Comunque delle zone più esposte erano fortificate, infatti nelle relazioni degli "stadi d'anime" del Settecento una zona del borgo viene censita con la denominazione "ubi dicitur lo Muro". Il complesso più antico, costruito nella zona più alta e arroccata del colle sullo strapiombo della "Gola del Diavolo", probabilmente risale al X-XI secolo. Della torre longobarda ci sono pervenuti solo pochi resti, con tracce di una piccola volta a botte, dalla quale attraverso un passaggio sottostante, raggiungibile solo attraverso scale mobili, si accedeva a un recinto murato quadrangolare con i lati lunghi quattro metri, da cui sicuramente si dipartivano i passaggi per accedere ai piani superiori. La torre di San Severino venne costruita sull'estremità del colle verso il monte Bulgheria e la Valle del Mingardo, l'altezza effettiva non è nota, ma era sicuramente tale da controllare tutte le vie di comunicazione sia verso l'interno che verso il mare. Non si conosce la data di fondazione del Castello, si può fare un'ipotesi legata alle notizie storiche degli eventi che sono intercorsi nell'area cilentana. Il principe Gisulfo II, nel 1054, nominò conte di Policastro Guido - per coordinare meglio le difese in una zona di frontiera - il quale da esperto guerriero comprese subito che sul colle di San Severino la sola torre era insufficiente e probabilmente iniziò la costruzione di un castello. Del castello rimangono ancora alcuni archi a sesto acuto, costruiti con la pietra locale, è visibile la sala del castello e nelle mura superstiti della sala si conservano ancora una nicchia e delle monofore ogivali sul lato sud-ovest. Nei pressi della torre, vi sono resti che fanno supporre la presenza di una porta, di cui resta un cenno di androne e, all'interno, la muraglia si amplia in uno spazio per il presidio, per i servi, per il bestiame e per riunirvi gli abitanti del borgo in casi di emergenza. Non ci sono elementi che fanno ipotizzare la tipica presenza di un "maschio" ritenuto superfluo per la presenza della torre longobarda. Venuta a mancare ogni importanza strategica del colle, la torre ed il castello vennero abbandonati, dando così inizio alla loro decadenza. Sulla Gola del Diavolo si affaccia un piano roccioso su cui si trovano i resti della chiesa, dedicata a Santa Maria degli Angeli, con abside pentagonale e ad unica navata, ampliata nelle dimensioni attuali presumibilmente nel XV secolo. Farebbe parte di un complesso più antico, come testimonia il campanile, a base quadrata che, addossato alla facciata in maniera innaturale, risulta chiaramente di costruzione precedente all'attuale chiesa, insieme alla camera sepolcrale interrata. Il Palazzo Baronale è l'edificio di architettura civile più importante del borgo. È stato abitato fino agli anni Cinquanta e l'impianto originario occupava gran parte dell'attuale piazzetta Santa Maria degli Angeli. Lo sviluppo dell'edificio ha portato nel tempo al congiungimento di due edifici distinti; l'edificio che si affacciava sull'attuale piazzetta era l'edificio più antico di cui è pervenuto a noi solo una metà che si congiunge all'altra unità edilizia con un corpo-cerniera rettangolare chiaramente leggibile sia nella forma che nella tessitura muraria. Il palazzo si sviluppa su tre livelli senza collegamenti verticali ed è articolato secondo una rigida gerarchia che pone al livello seminterrato il frantoio (nei locali vi sono ancora le macine in pietra) e i locali di servizio; al primo livello ci sono due unità abitative, l'una con l'ingresso lungo le scale che scendono sul lato est del palazzo e l'altra con l'ingresso da via San Severino che presenta il lato ovest semi diruto in seguito alle demolizioni che gli abitanti di San Severino decisero di fare per costruire una piazza più ampia. Al secondo livello, il piano nobile del palazzo, c'è un'unica unità abitativa che presentava un modesto portale in pietra locale (ne resta solo metà) e le soglie delle finestre in arenaria finemente decorate. L'edificio è il più imponente dell'intero borgo che si impone per la sua mole e rappresenta un fuori scala nell'economia delle altre costruzioni presenti nell'abitato.

Bibliografia e Sitografia

https://www.ilcilentano.it/san-severino-di-centola-il-borgo-medievale-abbandonato/

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