CENNI STORICI
Per molti è, semplicemente, il “castello di Arechi”. Ma si tratta di una denominazione che potrebbe trarre in inganno. E allora procediamo con ordine: il 26 agosto del 787 moriva in Salerno Arechi II, il duca (poi principe) longobardo che, con accortezza politica, nonostante la disfatta inflitta da Carlomagno ai Longobardi di Desiderio, assicurerà al suo popolo, per altri tre secoli, le condizioni per sopravvivere e dominare nel Mezzogiorno d’Italia. Alla caduta di Pavia nel 774, nel suo ducato campano Arechi volle accogliere infatti i profughi del Nord, donando loro vallate e boschi, e costruendo nuove chiese e monasteri per l’apparato ecclesiastico. Le nuove energie piovute nel Meridione dalla Lombardia non potevano peraltro che essere ben accette, in quanto utili per coltivare e far fruttare le terre, oltreché per sfruttare le rigogliose risorse forestali dell’Appennino. Il nuovo princeps gentis Langobardorum, come si era autoproclamato Arechi, aveva Benevento per capitale. Ma volle “rifondare” Salerno con precise mire strategiche e politiche, così da poter contare su una città ben fortificata, praticamente una seconda capitale. Ecco perché riorganizzò le mura di difesa, inglobandole in un sistema che si integrasse col castello, già esistente sulla collina del Bonadies.
Ma da quanto tempo era in piedi quel fortilizio? I risultati delle indagini archeologiche nel perimetro della Turris maior hanno di fatto escluso un sostanziale intervento arechiano, rivelando come la fase costruttiva più antica risalga al periodo goto-bizantino. Ancor prima, benché probabilmente senza alcun tipo di fortificazione, sul colle salernitano c’era stata comunque una generica frequentazione, risalente ad epoca romana e testimoniata da diversi rinvenimenti archeologici. Altri frammenti ceramici indizierebbero inoltre un uso delle strutture architettoniche nel VII secolo. Ad Arechi II non fu dunque necessario rafforzare la fortezza, che venne soltanto inserita in un sistema difensivo urbano più articolato.
Non era del resto cosa nuova: spesso i Longobardi, come è attestato per l’arco alpino, per i propri apparati difensivi non facevano che riutilizzare fortificazioni tardo-romane e gote, apparentemente senza apportarvi modifiche strutturali. Qualcosa di simile dovette accadere per Salerno, proprio mentre il resto della città veniva munito di due muri perimetrali che si diramavano dai fianchi della Turris maior e, divaricandosi dal vertice collinare, raggiungevano la spiaggia, ricongiungendosi parallelamente al mare. L’andamento di una simile fortificazione poteva così consentire anche a un ridotto numero di difensori di assumere una posizione dominante durante la ritirata verso il vertice incasellato, nel caso in cui gli avversari fossero penetrati all’interno del recinto urbano. È questa la tipica esemplificazione del meccanismo di difesa medio-bizantino, impiegato di norma per le città poste ai piedi di un’altura. Un sistema efficiente, tanto da essere adottato anche dai Longobardi. Successivamente, il “castello di Arechi” fu tolto nel 1077 a Gisulfo II, ultimo principe longobardo di Salerno, al termine di un lungo e laborioso assedio, per diventare una roccaforte normanna, funzionale alla penetrazione dei cavalieri nordici nelle terre meridionali. Beniamino da Tutela (l’ebreo navarrese Benjamin bar Jonah), nel suo Sefer Massa’ot o Libro dei viaggi, ricorda come ancora nel XII secolo Salerno fosse “circondata da mura nella parte volta verso la terra, mentre l’altra parte è sulle sponde del mare; in cima alla collina c’è un castello ben munito”. In seguito, il “castello di Arechi” assurse a importante elemento nello scacchiere difensivo aragonese, per poi perdere progressivamente importanza col mutare e con l’ammodernamento delle tecniche belliche. Tanto da essere quasi del tutto abbandonato nel XIX secolo. Quasi ogni epoca ha lasciato nel “castello di Arechi” delle evidenti tracce architettoniche. Attualmente la fortificazione, realizzata in blocchi di pietra scura locale, si presenta come un complesso di apprestamenti difensivi distesi lungo la cresta del colle, che a partire dal poderoso mastio sommitale si diramano in una serie di propugnacoli posti alle quote inferiori. L’insieme castellare appare quindi ripartito in più recinti, la cui compartimentazione poteva aumentare le possibilità di difesa, già notevoli per la posizione soprelevata. Lasciato in stato di abbandono per lungo tempo, il fortilizio è stato oggetto di recenti restauri, che ne hanno ripristinato la fruibilità. Adesso, negli spazi offerti dal castello è ubicato un nucleo espositivo per le ceramiche e per i reperti ritrovati entro il perimetro castellare. Dotata di sale per conferenze e congressi, la struttura, di proprietà della Provincia di Salerno, è anche sede di mostre temporanee e di una biblioteca, specializzata (nemmeno a dirlo) per lo studio delle opere di fortificazione.
Bibliografia e Sitografia
F. CONTI, Castelli e rocche. Le fortificazioni italiane del Medioevo e del Rinascimento, Novara 1999.
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