CENNI STORICI
Occorre subito precisare che non si trattava di un castello vero e proprio come verrebbe subito da pensare, con fossato, ponte levatoio e mura merlate. Era piuttosto una struttura difensiva del porto di Santo Spirito che aveva frequentazione sin dall’epoca romana, una torre di forma circolare che si trovava nell’attuale via Giovanna Ranieri, già I traversa di lungomare Cristoforo Colombo, presso l’abitazione con civico 5/7 nella quale si possono ancora vedere sul terrazzino i resti della torre di forma circolare. Tale fortificazione risaliva all’epoca delle invasioni saracene (VIII-IX secolo) ed era nota con il nome di Castello Saraceno, poiché sai Saraceni esso sarebbe stato distrutto nella seconda metà del IX secolo, ma dovette essere di seguito ricostruito. Del castello hanno scritto alcuni storici giovinazzesi: il Marziani (XIX secolo) nella storia di Giovinazzo afferma che nei pressi del castello esisteva una chiesa risalente al VIII secolo, ma essa non viene menzionata in due privilegi del 1132 e del 1172 a favore dei vescovi di Giovinazzo in cui sono riporti gli elenchi di una serie di casali; Bisanzio Lupis (XVI secolo) nelle sue Cronache riporta: «il Castello sulla via di Bari fu distrutto da saraceni a tempo di Carlo primo Imperatore», mentre il Paglia (XVII secolo) nell’Istoria della città di Giovenazzo, scriveva, trattando delle devastazioni e degli attacchi saraceni ai centri costieri pugliesi, che «fu abbruciato da quegli un nostro castello, che oggi viene detto dei Saraceni. Veggonsi le reliquie di questo castello dentro il nostro territorio verso Bari nella spiaggia, che dicono di Santo Spirito (…), dalle quali può scorgersi che fosse a modo di fortezza edificato a forma rotonda, e di mediocre grandezza; in quel tempo riputato fortissimo, in modo che vi si rifugiavano gli homini de’ casali vicini per essere sicuri dalle scorrerie a’ tempi di guerre». All’epoca in cui Ludovico Paglia redigeva la sua cronaca il castello di Argiro risultava già ridotto a rudere.
Tale struttura fu probabilmente costruita ad opera degli abitanti di Bitonto e aveva una pianta circolare a due livelli, alta circa 10 metri, ed armata alla sommità da feritoie e caditoie. Aveva funzioni difensive e di avvistamento e doveva ospitava un presidio di soldati bitontini. La denominazione di Castello Saraceno venne meno in epoca bizantina, quando prese il nome di castello o torre di Argiro, forse per la circostanza secondo la quale Argiro, figlio di Melo da Bari, nel 1042 intento a conquistare le città di Giovinazzo e Trani si fermò presso il castello di Santo Spirito con le sue truppe, oppure, secondo un’altra ipotesi, provvide a ristrutturarlo. Il Vacca in un suo manoscritto riporta che «D. Raffaele Canalini, padrone della casina, fabbricata sull’area del vecchio Castello, volendo costruire una stanza sul lato dietro-posto, che guarda Giovinazzo, nel cavare le fondamenta trovò una pignatta piena di piccole monete di vile metallo assai duttile, portando questa leggenda: Arghirius Dux Barensis (…) monete che tenni anch’io fra le mani». Tutte le notizie riportate da questi studiosi del passato vanno prese sempre con molta cautela. In alcuni documenti del XVIII (Carta Rullan, la Carta Guerra) è detto Castello Vecchio; in una topografia del 1790 realizzata dall’agrimensore Giuseppe Maria Liso è riportato con la dicitura «Torre di guardia Vecchia», qualche anno più tardi (1795) è menzionato in una poesia di G. M. Alfano (1795): «Bitonto, (…) lontana da una spiaggia oltremodo amena dell’Adriatico (…) chiamata Santo Spirito, guardata da una Torre ed un Castello», mentre nel Dizionario geografico-ragionato di Lorenzo Giustiniani 1797 è scritto: «Castello de Archiro, o lido di mare, dove dicesi Sanspirito perché de territorio Butunti». Nel 1759 il terreno ove si trovano i resti della torre fu concesso ad un privato per la costruzione di una abitazione; lavori di ristrutturazione svolti qualche anno fa hanno portato alla luce, inglobato nel paramento murario, un tipico ingresso incorniciato da stipiti in pietra riportante sull’architrave la data “A.D. 1759”.
Nel corso dell’Ottocento i ruderi del castello furono totalmente abbattuti. Alla fine del XIX secolo il Rogadeo scriveva: «Sulla punta del piccolo promontorio che forma la parte superiore della rada, sorgeva non son passati molti anni, un antico castello con intorno i ruderi di solide costruzioni: il castello fu trasformato in casa di villeggiatura, quando fu venduto con l’area circostante, dal Municipio di Bitonto». Tracce della costruzione difensiva si possono ancora riscontrare nell’attuale abitazione: vi sono massicce strutture murarie caratterizzate da grandi conci calcarei di varia forma e dimensioni, probabilmente resti di una probabile stalla adiacente al castello; sul terrazzino, alto all’incirca una decina metri, sono ben visibili i resti delle massicce mura circolari della torre, inglobate nel paramento murario dell’abitazione adiacente. In alcune foto degli anni Venti del XX secolo si vedono più nettamente i ruderi della struttura difensiva, prima di essere inglobati nelle costruzioni moderne.
Questo è quanto riportato dagli studiosi dei secoli scorsi, ma vi sono dei documenti che ci sono pervenuti e che costituiscono le principali fonti certe relative al castello di Argiro. Esso probabilmente è da identificarsi con la torre di Silos che viene citata dal geografo arabo Edris nella raccolta di carte geografiche note con il titolo Il libro di Ruggero (1154). Il geografo chiama Burg Asilu il porto di Santo Spirito, marina di Bitunt, nella quale si trovava la torre. La prima menzione si trova in un documento del Libro Rosso di Bitonto risalente al 1273 e relativo alla determinazione dei confini tra l’Universitas di Bitonto: «castellum quod est in mari ubi dicitur de Archiro quod est iuxta ecclessiam terrae Santi Spiritus et iuxta viam et iuxta litus maris». Il Rogadeo riporta che «i Registri Angioini del Grande Archivio di Napoli, numero 199 a pag. 285 e num. 321 a pag. 29 parlano del Castello di Argiro posto sul lido del mare del territorio della Università di Bitonto», tuttavia non menziona il contenuto dei documenti, che furono distrutti con i bombardamenti della Seconda Guerra mondiale. Il castello è menzionato in una lettera del 12 febbraio 1311 di Roberto d'Angiò che intendeva disciplinare i confini di Bitonto e di Bari in quel di S. Spirito: «in eo tenimento, quod vulgariter appellatur 'lu Castello', maris littore posito ubi terris de Archiro communiter dicitur». All’inizio del XV secolo è citato in uno strumento con il quale re Ladislao determinava i confini del territorium della di città di Bari (1407): descrivendo il confine dal lato di Bitonto, partendo dalla lama Bitetto, passava per lama Balice (Baligio), dalla chiesa di Sant’Erasmo e da quella di San Teodoro per giungere al mare alla torre di Argiro che veniva presa come punto di riferimento. Le due chiese di Sant’Erasmo e San Teodoro dovevano essere a ridosso di Bitonto e Santo Spirito, ma la loro ubicazione rimane ignota. Ritroviamo menzionata la torre di Argiro nel 1585, sempre in riferimento alla questione dei confini tra Bari e Bitonto, che distava un miglio dalla cala dell’Arenarum in cui veniva edificato il Titolo.
Una strada partiva da Torre di Castello Vecchio (il castello di Argiro) nel porto di Santo Spirito, procedeva verso Torre di Brencola, la chiesa dell’Annunziata, Torre dei Rossi, Torre Lomonaco, Mater Domini, toccava Bitetto per proseguire verso Cassano Murge.
Dopo questo excursus sul castello di Argiro, riporto alcune notizie inedite sul medesimo desunte dai protocolli notarili di Bitonto nella seconda metà del XV secolo. Il 17 ottobre 1467 Iohannes de Abraam, di Bitonto, concedeva in locazione ad Antonius Longus Sclavonus e a Ciccus de Labatessa, residenti in Bitonto, la torre di Santo Spirito, sita alla Maritima Sancti Spiritus, riservata all'avvistamento delle galere dei pirati, limitatamente al piano superiore e fino al mese di aprile, al canone di 9 tarì, permettendo loro di tenere il bestiame nel cortile della torre, sino a quando non sarebbero arrivati altri conduttori, obbligandoli a non abbandonare mai la torre, né togliere o vendere la paglia, ma concedendo loro di utilizzare la suppellettile che vi si conservava; contestualmente i conduttori dichiaravano altresì di aver ricevuto dallo stesso Iohannes, a titolo di mutuo, la somma di 6 tarì, e che gli avrebbero dovuto corrispondere la somma di 15 tarì, iniziando a versare dal mese di novembre 2 tarì al mese. Da questo documento veniamo informati che la torre nel 1467 apparteneva a Iohannes de Abraam, che da altri protocolli notarili sappiamo essere ebreo di Tricarico e solito concedere denaro in prestito, essa aveva funzione di avvistamento delle navi dei pirati barbareschi ed aveva due piani; quello superiore veniva affittato a due sclavoni, termine con il quale venivano definiti i dalmati e gli istriani nella repubblica veneta, Antonius Longus Sclavonus de Raguso e Ciccus Sclavonus de Labatessa, del primo sappiamo che era di Ragusa, l’odierna Dubvrovnik sull’altra sponda dell’Adriatico. Apprendiamo indirettamente della presenza di ambienti utilizzati come stalle e deposito di animali, dato che veniva fatto divieto di vendere la paglia.
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XV sec.
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