CENNI STORICI
Non si conosce la data precisa della fondazione di Saliceto, ma la sua “Pieve” viene menzionata per la prima volta nel diploma di Ottone II (967 d.C.) con quelle di Millesimo, Cengio, Cosseria ed altre ancora come dipendenti dal Vescovo di Savona. Più certa sembra essere la toponomastica, secondo cui il paese prese il nome dai molti salici presenti in questi luoghi. Anticamente il borgo era protetto da una possente cinta muraria, dal perimetro pressoché quadrato (“oppidum”), cui si accedeva attraverso due porte: la porta Galera, aperta verso nord, e la porta Cunea, verso Sud. Entrambe le porte erano munite di ponte levatoio e difese da una torre quadrangolare. Il fabbricato di Porta Cunea, la cosiddetta “casa comunale”, comprendeva la sala consiliare, la scuola e la prigione. Poichè le due porte risultarono nel tempo troppo anguste per consentire il passaggio della strada provinciale, intorno al 1880, vennero allargate con la demolizione di parte del fabbricato laterale alla Porta Galera e di un tratto del muro di cinta del giardino del castello, in corrispondenza della Porta Cunea. Questo intervento comportò anche la demolizione delle torri sovrastanti i due accessi. La storia del paese si inserisce per lungo tempo nelle vicende dei marchesi Del Carretto. Nel corso del XII e XIII secolo, non potendo contrastare da soli la crescente potenza di Genova, i marchesi aleramici si resero vassalli del potente libero comune di Asti, giurando ad esso fedeltà in cambio di protezione. Fu così che Enrico II Del Carretto, morto nel 1239, figlio di Enrico I il Guercio discendente di Aleramo e capostipite della famiglia, e dopo di lui i successori Giacomo e Corrado, assoggettarono anche il feudo di Saliceto ad Asti, ricevendone l’investitura. Risulta così dalle fonti storiche che l’8 aprile del 1251, Giacomo giurò fedeltà al Comune di Asti ottenendo in feudo i castelli di Novello, Montechiaro, Lequio e, appunto, Saliceto. La stampa ottocentesca del Gonin ci rende in modo mirabile l'imponente massa del Castello di Saliceto di pianta quadrata, rinforzata da tre torri agli angoli. Una quarta torre, di cui si notano ancora alcuni ruderi sul muro di sinistra, fu rovinata ed abbattuta durante l'assedio spagnolo del 1639. Nello stesso assedio un cecchino salicetese, appostato sul campanile, uccise con un colpo di moschetto alla testa Don Martino D'Aragona, comandante delle truppe spagnole, che la tradizione vuole sepolto nel Monastero di Millesimo. La struttura attuale dell’edificio è il risultato di successive trasformazioni e ricostruzioni che hanno tuttavia mantenuto alcuni caratteri tipici delle architetture fortificate presentandosi oggi come un vasto blocco rettangolare con tre torri quadrangolari sugli spigoli, cui doveva probabilmente aggiungersene una, oggi perduta forse a causa degli antichi eventi bellici. Fondato come fortilizio. ad uso esclusivamente militare e non residenziale, il castello era anticamente cinto da un fossato (di cui permangono intatte le tracce) ed era accessibile tramite un ponte levatoio, poi rimosso e sostituito da una rampa in muratura di pietra e mattoni che si conclude con un ponticello fisso che conduce all’imponente portale di accesso. All’interno della torre meridionale sono inoltre ancora visibili le tracce di un antico passaggio, oggi murato, che dovette collegare il castello con la più antica e ormai completamente diroccata fortificazione, sita sulla collina Margarita. Il cortile interno, inoltre, doveva forse essere collegato con le sottostanti scuderie tramite uno scalone, di cui rimangono pochi scalini tagliati dalla attuale volta a botte che copre il grande vano del piano terra, adibito a tale scopo. Nella zona aperta sul cortile interno, si trovano infine i resti di una piccola cappella affrescata, di particolare pregio storico e artistico. Tracce di un muro di divisione fra il cortile e questa stessa zona, inducono infatti ad immaginare quale potesse essere l’aspetto originario della cappella, in corrispondenza della quale è stato ricavato, in epoca remota, un secondo ingresso che ha comportato il taglio di un affresco per l’inserimento della porta. Nella parete opposta si apre invece una porta, attraverso cui si accede alla “sala delle armi”. Gli affreschi che decorano questo piccolo spazio propongono alcune scene della storia di Cristo; l’illustrazione doveva cominciare sulla parete destra, al di sopra dello stretto passaggio con arco a ogiva, per proseguire sulla parete frontale. A sinistra della parete di fondo si apre una nicchia piuttosto profonda dove, recentemente, sono state scoperte altre pitture: sulla volta un Agnus Dei, a cui è sovrapposta una grande croce gemmata. Sulle paretine si fronteggiano due medaglioni, recanti due ritratti femminili a monocromo; sotto questi, lo stemma carrettesco, a confermare l’onnipresenza del potere dei marchesi, fautori di questa piccola, ma pregiata, impresa decorativa. L’analisi stilistica e iconografica di questo piccolo ciclo, caso unico nell’area valbormidese, ha portato alla sua datazione all’ultimo decennio del 1300.Vi è, per gli studiosi che hanno esaminato il ciclo, l’intervento di un maestro dalle qualità tutt’altro che mediocri, in grado di maturare e personalizzare le esperienze artistiche maturate ad Assisi e, più genericamente, nell’ambito giottesco.
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