Roccaravindola (fraz. di Montaquila, ruderi del castello)

CENNI STORICI

«Lo stato di degrado del nucleo antico di Roccaravindola rende particolarmente difficile una ricognizione puntuale della sua struttura urbana e non consente una ricostruzione precisa della sua evoluzione muraria. Tuttavia con l’aiuto della mappa catastale aggiornata agli anni ’70 è possibile tracciare la linea di una murazione difensiva che possiamo definire angioina per la sopravvivenza di torri circolari a scarpa che costituiscono un eccellente punto di riferimento tipologico. Uguale ragionamento vale per l’area del castello dove le riprovevoli demolizioni per presunte esigenze di pubblica incolumità, effettuate negli anni ’60, hanno lasciato pochi elementi per una ricostruzione fedele dell’impianto medioevale. Ci vengono, però, incontro per questa ricostruzione alcuni toponimi che sopravvivono nella tradizione popolare ormai sul punto di scomparire definitivamente. a cominciare dalla originaria via di accesso che collega il nucleo abitato all’antica chiesa di S. Michele e che significativamente si chiama ancora via di Collagnera, corruzione popolare di “Colle Angelo”. Questa via extra murale finisce sulla cosiddetta Porta Vecchia che, trasformata sostanzialmente nel tempo, conserva la struttura muraria di una torre circolare d’angolo cui si aggrega un supportico (modificato in qualche modo nel 1870, come fa capire la data lapidea sull’arco) che corrisponde all’originaria porta di cui, ovviamente, non rimane più nulla. Dalla Porta Vecchia si seguiva (oggi è totalmente crollato) il cosiddetto sporto, che va interpretato come “supportico”, il quale si attesta sulla linea della cinta muraria per la sovrapposizione di una serie di case all’originario piano di ronda. Una seconda torre circolare era attestata nel punto mediano del supportico e di essa ora rimane solo l’impianto. Il piano di ronda assume complessivamente un andamento avvolgente, tant’è che tutta la strada conserva ancora il nome di via del Circolo. ... Ritornando alla cinta muraria, dove la linea piega a 90 gradi, verso nord-ovest, la presenza di una torre circolare e l’arco che conserva il nome di Porta Nova, indica l’antica esistenza di una seconda porta urbica. Nessuna traccia dell’apparato murario difensivo che è ormai integrato nelle strutture delle case che vi si sono sovrapposte nel tempo. Sicuramente la linea della difesa saliva con una buona pendenza fino a raggiungere il Castello che ancora sopravvive insieme alla torre circolare che ne costituiva la difesa diretta. Nulla rimane del tratto murario che la collegava all’altra torre circolare, la meglio conservata, che costituisce una prima difesa a guardia dell’area più propriamente castellana. Una serie di gradini scavati nella roccia nell’unica parte accessibile evidenzia che l’area del castello non aveva accessi carrai.

La più antica citazione che attesti l’esistenza della rocca di Roccaravindola si ritrova nella donazione che Morino, conte di Venafro (Ugo, qui et Morinus, comes de Benafro et filius quondam Robberti) sottoscrive nel 1074 a favore dell’abate Desiderio di Montecassino. Con quell’atto Morino concede a Montecassino le chiese di S. Nazzario, di S. Pietro, S. Martino e S. Barbato presso la rocca quae dicitur Rabinola (Registrum Petri Diaconi, f. 208r, n° 490). Si tratta di una citazione che nella sua estrema sinteticità ci aiuta perlomeno a ritenere che Roccaravindola in origine fosse un edificio riservato ad una guarnigione militare piuttosto che ad una comunità di famiglie e che solo in un secondo momento attorno all’originario nucleo fortificato si sia sviluppata una organizzazione di tipo urbano con la creazione di una cinta difensiva. … Dobbiamo ritenere che la prima cinta di difesa in muratura, dotata di torri circolari, non sia di epoca antecedente al XIV secolo se è vero, come era riportato nel Registro del Cancelliere del Regno G. di Belmonte, che Carlo I d’Angiò, ritornando dalla campagna di Tunisi si sia preoccupato nel 1270 di esentare propter eo­rum paupertatem le comunità di Venafro, Isernia, Rocca Pipirozzi, Torcino, Roccaravindola, Camposacco, San Barbato, Cerasuolo ed altre di pagare le collette che furono applicate per le altre parti del nuovo regno. Ulteriori problemi furono creati dal disastroso terremoto del 1349 che, secondo la cronaca cassinese, devastò anche le terre di S. Vincenzo al Volturno. Non è da escludere che proprio subito dopo questo terremoto si sia costituito un organico sistema difensivo tant’é che nel privilegio con il quale Maria di Durazzo il 24 dicembre 1358 ... per alleviare i disagi della popolazione e per ringraziarla della fedeltà mostrata, assegna una parte delle rendite feudali ed esenta dal pagamento della colletta generale. In particolare assegna … in castro Gravinule (Ravindola) auri tarenos viginti; in Casale Sancti Barbati auri tarenos duodecim … Particolari adattamenti furono sicuramente effettuati nella seconda metà del XV secolo quando Roccaravindola passò nelle mani dei Pandone, conti di Venafro. Il feudo fu confermato da Alfonso d’Aragona a Francesco nel 1442 e successivamente passò al figlio Galeazzo dal 1457. Allora Roccaravindola aveva 35 nuclei familiari (fuochi) pari a circa 175 persone. Ciò si ricava dal relevio (che era la tassa che il barone pagava al momento in cui gli veniva affidato il feudo) e, soprattutto, dall’elenco dei nuclei familiari che ricevettero nel 1449 il mezzo tomolo di sale ... Il numero esiguo di fuochi ci fornisce un’idea delle dimensioni del centro abitato alla metà del XV secolo e possiamo immaginare quanto approssimativo potesse essere il sistema della difesa. È probabile che i Pandone si siano limitati a piccoli adattamenti del preesistente sistema di difesa con la semplice trasformazione delle poche feritoie verticali che furono integrate con l’inserimento di una toppa circolare, adatta al tiro con i primi archibugi, secondo una modalità che si ritrova in quasi tutti i sistemi difensivi del territorio circostante».

«Lo stato di degrado del nucleo antico di Roccaravindola rende particolarmente difficile una ricognizione puntuale della sua struttura urbana e non consente una ricostruzione precisa della sua evoluzione muraria. Tuttavia con l’aiuto della mappa catastale aggiornata agli anni ’70 è possibile tracciare la linea di una murazione difensiva che possiamo definire angioina per la sopravvivenza di torri circolari a scarpa che costituiscono un eccellente punto di riferimento tipologico. Uguale ragionamento vale per l’area del castello dove le riprovevoli demolizioni per presunte esigenze di pubblica incolumità, effettuate negli anni ’60, hanno lasciato pochi elementi per una ricostruzione fedele dell’impianto medioevale. Ci vengono, però, incontro per questa ricostruzione alcuni toponimi che sopravvivono nella tradizione popolare ormai sul punto di scomparire definitivamente. a cominciare dalla originaria via di accesso che collega il nucleo abitato all’antica chiesa di S. Michele e che significativamente si chiama ancora via di Collagnera, corruzione popolare di “Colle Angelo”. Questa via extra murale finisce sulla cosiddetta Porta Vecchia che, trasformata sostanzialmente nel tempo, conserva la struttura muraria di una torre circolare d’angolo cui si aggrega un supportico (modificato in qualche modo nel 1870, come fa capire la data lapidea sull’arco) che corrisponde all’originaria porta di cui, ovviamente, non rimane più nulla. Dalla Porta Vecchia si seguiva (oggi è totalmente crollato) il cosiddetto sporto, che va interpretato come “supportico”, il quale si attesta sulla linea della cinta muraria per la sovrapposizione di una serie di case all’originario piano di ronda. Una seconda torre circolare era attestata nel punto mediano del supportico e di essa ora rimane solo l’impianto. Il piano di ronda assume complessivamente un andamento avvolgente, tant’è che tutta la strada conserva ancora il nome di via del Circolo. ... Ritornando alla cinta muraria, dove la linea piega a 90 gradi, verso nord-ovest, la presenza di una torre circolare e l’arco che conserva il nome di Porta Nova, indica l’antica esistenza di una seconda porta urbica. Nessuna traccia dell’apparato murario difensivo che è ormai integrato nelle strutture delle case che vi si sono sovrapposte nel tempo. Sicuramente la linea della difesa saliva con una buona pendenza fino a raggiungere il Castello che ancora sopravvive insieme alla torre circolare che ne costituiva la difesa diretta. Nulla rimane del tratto murario che la collegava all’altra torre circolare, la meglio conservata, che costituisce una prima difesa a guardia dell’area più propriamente castellana. Una serie di gradini scavati nella roccia nell’unica parte accessibile evidenzia che l’area del castello non aveva accessi carrai.

La più antica citazione che attesti l’esistenza della rocca di Roccaravindola si ritrova nella donazione che Morino, conte di Venafro (Ugo, qui et Morinus, comes de Benafro et filius quondam Robberti) sottoscrive nel 1074 a favore dell’abate Desiderio di Montecassino. Con quell’atto Morino concede a Montecassino le chiese di S. Nazzario, di S. Pietro, S. Martino e S. Barbato presso la rocca quae dicitur Rabinola (Registrum Petri Diaconi, f. 208r, n° 490). Si tratta di una citazione che nella sua estrema sinteticità ci aiuta perlomeno a ritenere che Roccaravindola in origine fosse un edificio riservato ad una guarnigione militare piuttosto che ad una comunità di famiglie e che solo in un secondo momento attorno all’originario nucleo fortificato si sia sviluppata una organizzazione di tipo urbano con la creazione di una cinta difensiva. … Dobbiamo ritenere che la prima cinta di difesa in muratura, dotata di torri circolari, non sia di epoca antecedente al XIV secolo se è vero, come era riportato nel Registro del Cancelliere del Regno G. di Belmonte, che Carlo I d’Angiò, ritornando dalla campagna di Tunisi si sia preoccupato nel 1270 di esentare propter eo­rum paupertatem le comunità di Venafro, Isernia, Rocca Pipirozzi, Torcino, Roccaravindola, Camposacco, San Barbato, Cerasuolo ed altre di pagare le collette che furono applicate per le altre parti del nuovo regno. Ulteriori problemi furono creati dal disastroso terremoto del 1349 che, secondo la cronaca cassinese, devastò anche le terre di S. Vincenzo al Volturno. Non è da escludere che proprio subito dopo questo terremoto si sia costituito un organico sistema difensivo tant’é che nel privilegio con il quale Maria di Durazzo il 24 dicembre 1358 ... per alleviare i disagi della popolazione e per ringraziarla della fedeltà mostrata, assegna una parte delle rendite feudali ed esenta dal pagamento della colletta generale. In particolare assegna … in castro Gravinule (Ravindola) auri tarenos viginti; in Casale Sancti Barbati auri tarenos duodecim … Particolari adattamenti furono sicuramente effettuati nella seconda metà del XV secolo quando Roccaravindola passò nelle mani dei Pandone, conti di Venafro. Il feudo fu confermato da Alfonso d’Aragona a Francesco nel 1442 e successivamente passò al figlio Galeazzo dal 1457. Allora Roccaravindola aveva 35 nuclei familiari (fuochi) pari a circa 175 persone. Ciò si ricava dal relevio (che era la tassa che il barone pagava al momento in cui gli veniva affidato il feudo) e, soprattutto, dall’elenco dei nuclei familiari che ricevettero nel 1449 il mezzo tomolo di sale ... Il numero esiguo di fuochi ci fornisce un’idea delle dimensioni del centro abitato alla metà del XV secolo e possiamo immaginare quanto approssimativo potesse essere il sistema della difesa. È probabile che i Pandone si siano limitati a piccoli adattamenti del preesistente sistema di difesa con la semplice trasformazione delle poche feritoie verticali che furono integrate con l’inserimento di una toppa circolare, adatta al tiro con i primi archibugi, secondo una modalità che si ritrova in quasi tutti i sistemi difensivi del territorio circostante».

Bibliografia e Sitografia

http://catalogo.beniculturali.it/detail/ArchitecturalOrLandscapeHeritage/1400018933

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XIII sec.

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