CENNI STORICI
Alle due e mezza della notte del 26 luglio 1805 un rovinoso terremoto (10° grado della scala Mercalli), con epicentro nel Matese, causò nel Molise circa 6000 morti (una trentina a Jelsi), distruggendo molte case tra le quali non v'era il Palazzo Valiante, perchè la vecchia palazzina del 1750 era stata data alle fiamme, dopo averla spogliata di ogni suppellettile, il 3 giugno del 1799 dalle truppe borboniche capeggiate da Cesare Zanchi di Ururi, ed il nuovo Palazzo Valiante non era stato ancora ricostruito. Per mille anni, dal 700 al 1700 circa, il paese era rimasto arroccato sul "Ripo" attorno alla Chiesa Madre di S. Andrea Apostolo e al palazzo ducale Carafa, per motivi di difesa: vi si accedeva, infatti, solo attraverso le porte (porta Maggiore, porta D'Angeli ed altre). Poi, man mano la gente prese coraggio è uscì dal guscio per sistemarsi nella piana di San Biagio (oggi Piazza Umberto I) e ai lati della via della transumanza (oggi Corso Vittorio Emanuele) fin sul Colle Gualtieri (oggi colle Vitero) acquistato dall'avv. Saverio Valiante, padre di Andrea, ove fu costruita la prima palazzina, senza stile, senza torri, senza accessori, senza pretese difensive (il figlio di Andrea nascerà più tardi nel 1761). Dopo l'incendio su ricordato del 1799, l'avv. Saverio Valiante, chiese al figlio, che si trovava allora a Marsiglia, un progetto per un nuovo palazzo, sullo stile dei castelli che abbellivano la provincia francese. Il palazzo, a forma di fortilizio delimitato da torri circolari, venne ricostruito sul luogo in cui sorgeva la precedente dimora di famiglia. I progetti furono elaborati da architetti francesi e dalla Francia vennero i parati per la decorazione interna, i dipinti su carta posti sulle porte con raffigurazioni di animali entro contesti bucolici, secondo la moda neoclassica in voga a Parigi. Il mobilio, le porcellane e gli oggetti d'arredo presenti nel salone costituiscono certamente una delle piùpreziose testimonianze della diffusione dello stile impero nella nostra regione. L'opera fu realizzata dal 1806 al 1809 dall'architetto-pittore Musenga, il piùnoto allora nel Molise, su di un'area di mq. 2000 compresi gli accessori, con quattro torri imponenti cilindriche ai lati, con le feritoie per le canne degli archibugi e con un fregio di pietre sporgenti, giusta nella metà, a mo' di fascia o di cordone per renderle più slanciate. Il fortilizio, con mura maestre di cm.80, sommava le caratteristiche di un castello a quelle di dimora delle famiglie del Comandante. L'atrio interno, con volta a botte e stemma con alabarde, vessilli e corona simboli di sovranità e di vittoria, presenta una pavimentazione a breccioni suddivisi da losanghe in pietra, analogamente a quella pavimentazione che esisteva davanti al palazzo, prima della installazione sotterranea delle reti dei servizi comunali. Tre rampe di scale portano al piano superiore, con gradini appena levigati dal calpestio bicentennale. Una vetrata sul pianerottolo immette nel giardino con riquadri e viali di mortella, con pozzi e tettuccio in stile. Un arco a tutto sesto (metri 5x3) su di un muro di cinta introduce nell'ampio cortile della cisterna, profonda metri 10 e larga metri 5, con acqua sorgiva e vasca scalpellata ove, tra l'altro, si abbeverarono i cavalli delle scuderie di Valiante e quelli degli austriaci comandati dal gen. Frimont, che assediarono il palazzo nel 1821 e catturarono Valiante. Autobotti inglesi nel 1943 attinsero alla cisterna acqua per le truppe. Delle scuderie di Valiante resta una sola, anche se con il tetto crollato per vetustà; è chiamata "stallone", cioè stalla per antonomasia, le altre sono andate distrutte dal fuoco nel febbraio del 1949. Fienili, rimesse, legnaie, cantine, fondaci, opifici, laboratori, per oltre cento metri a destra e a sinistra del palazzo, dal Corallone (oggi Vico interno al Corso) alla Taverna, fin sulla contrada Chiusa, costituivano nell'insieme beni pertinenti al castello e accessori necessari alle persone che vi gravitavano per lo sviluppo della loro attività economica autosufficiente, detta appunto economia curtense. Il Corallone, specie di aggregazione corallina, era una serie di casette a schiera, per gli addetti al palazzo a vario titolo: stallieri, maniscalchi, fabbri ferrai, falegnami, calzolai esperti in selleria, fornai, lavandaie. Oggi ci sono negozi, anzi supermercati, allora tutto si doveva produrre in loco, nella corte, appunto. Nel "Corallone" restano solo tre casette d'epoca.Bibliografia e Sitografia
Palazzo Valiante- Capozio Jelsi, 1805/00/00 post - (beniculturali.it)
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