CENNI STORICI
Nel VI secolo d. C., mentre imperversava la lotta tra i greco-bizantini e i goti, solo due città erano difese da ottime mura, Napoli e Cuma. Napoli, assediata nel 536 da Belisario, cedette solo con l'inganno; mentre nel 542 venne violata da Totila per fame. Tuttavia né nel primo né nel secondo caso le mura furono militarmente espugnate. Le mura napoletane, com'è riportato in molte fonti storiche, furono famose per la loro potenza anche in epoche precedenti (per esempio in epoca romana le mura di Napoli non cedettero in alcun modo al console Filone). Dunque il loro ottimo assetto geografico e tecnico, acquisito in epoca greca (e ulteriormente accentuato in epoca romana), fece sì che le mura, in epoca bizantina, avessero bisogno di pochissime modifiche. Le modifiche riguardarono per lo più l'allargamento perimetrale, per consentire soprattutto d'inglobare i nuovi quartieri. Le mura furono restaurate sotto Belisario, che inoltre introdusse le torri poligonali (sette tra quadrate ed esagonali) dette augustali e allargate sotto Narsete che espanse le mura meridionali fino al mare, innalzando un antemurale di gran lunga più vicino alla costa (che col passare del tempo si era ampliata conseguentemente al ritirarsi del mare) rispetto alla precedente murazione. Le mura ducali. Il ducato di Napoli si crea da un relativo affrancamento dall'impero bizantino, man mano sempre più netto ed evidente. Durante il suo periodo, dal VII secolo al 1137 le mura si mostrano molto più estese dell'età antica. Secondo vari documenti dei secoli X e XI ben riassunti da Bartolomeo Capasso in una sua mappa topografica della città altomedievale possiamo descrivere la disposizione di porte e torri: partendo in senso antiorario dal luogo dove sorgerà Castel Capuano, occupato già a quei tempi da una struttura difensiva, si incontrava ovviamente porta Capuana (l'antica Porta Campana, che non era stata ancora traslata nella posizione attuale) attaccata all'antica fortezza, situata presso via Oronzio Costa. Proseguendo c'era porta Pusterla all'altezza del decumano superiore, che verrà detta prima Carbonara perché immetteva nel carbonarius (la discarica cittadina) poi nel XV secolo di Santa Sofia per la presenza della chiesa dedicata alla santa. Salendo più sopra era situata all'altezza di via Luigi Settembrini la turris curtis o torre corte presso cui c'era la porta Pavezia o di San Pietro del Monte (nome antico del monastero di Donnaregina): Camillo Tutini quando parla delle mura e delle porte di Napoli afferma che c'era una porta minore, la porta di San Pietro del Monte perché costruita vicino al convento di San Pietro al Monte (poi chiamato di Donnaregina, che all'epoca conteneva solo la chiesa di Donnaregina vecchia). Talvolta veniva chiamata porta dell'Acquedotto perché era vicina all'acquedotto che riforniva la città, l'acquedotto per mezzo del quale entrarono in città Belisario e Alfonso V d'Aragona. Si parla di una porta con torre (la curtis turris) anche in alcuni documenti relativi al convento di Donnaregina. Sempre il Tutini cita un vicolo di Corte Torre vicino al monastero di Donnaregina. Continuando c'era poi porta San Gennaro ancora nella posizione originale arretrata. Dal lato occidentale c'era l'antica porta Romana, detta ora di Sant'Agnello o Cantelma, all'inizio del decumano superiore, poi quella che era porta Puteolana fu sostituita dalla porta Donnorso verso la fine del X secolo. Questa fu costruita presso il Conservatorio di San Pietro a Majella. Sul nome di questa porta Carlo Celano dà due spiegazioni: la prima perché fu voluta da un certo Orso duca di Napoli (di cui in verità non abbiamo testimonianza nell'elenco dei duchi) oppure per via della nobile famiglia che abitava presso quella porta, propendendo per la prima ipotesi. Forse il duca o chi per lui si chiamava don Orso Tata (in latino Dominus Ursus Tata), da ciò porta Domini Ursitata o Ursitate; quest'ultima denominazione è facilmente traducibile in porta di don (= domini) Orso Tata, con il dittongo ae del genitivo Tatae assorbito in e per corruzione popolare. Scendendo al decumano inferiore si incontrava porta Cumana. In questo periodo sarebbe stata spostata ad ovest presso l'attuale basilica di Santa Chiara (quest'ultima costruita da Roberto d'Angiò), sebbene non si abbiano documenti in merito a questa collocazione. Le mura dopo aver costeggiato la zona di Donnalbina incontravano la torre Mastra (o maestra) situata dove poi sarebbe sorta Santa Maria La Nova, proseguendo ci si avvicinava al porto Vulpulo (il porto grande, detto in seguito anche dei Pisani) dove si ergeva il cosiddetto castellione novo, una fortezza costruita nel X secolo a difesa del porto, presso la quale sorgeva anche la porta Vulpula (detta in seguito di San Nicola). Le mura si avvicinavano al porto di Arcina (il porto piccolo), protetto da una torre con porta omonima. A Mezzocannone sorgeva ancora la porta Ventosa. Riguardo alle mura della zona c'è molta incertezza se credere o no all'ipotesi del Capasso secondo cui l'odierna via era cinta sui lati dalle mura che dal porto correvano verso l'interno fino alla porta dove riprendevano a scendere verso il mare. Ad ogni modo, il Capasso prosegue indicando una torre detta Cinta dalla quale riparte la muraglia esterna, interrotta dalla porta Calcaria, detta in seguito porta del Caputo (o dei Caputi) che sorgeva presso la chiesa di San Pietro martire. La muraglia meridionale terminava presso la torre Angula, detta così perché le mura rientravano verso l'interno creando appunto un angolo. Prima che le mura girassero verso est presso la torre delle ferule alla regio Balnei Novi, trovavamo la porta nova de illis monachis, cioè dei monaci perché sorgeva presso il monastero di Sant'Arcangelo agli Armieri. Le mura, percorso un tratto orizzontale riscontrabile presso le scomparse piazza della Sellaria e via del Pendino, risalivano di nuovo dopo aver superato la torre Ademaria o torre publica o rocca di Pizzofalcone, altro contrafforte difensivo chiamato così perché ad mare (vicino al mare). L'altro toponimo forse si riferisce alla presenza di falchi nella rocca. La torre sorgeva dove insiste oggi il monastero di Sant'Agostino alla Zecca. Accanto ad essa si apriva la porta di Pizzofalcone, che sarà diroccata da Carlo d'Angiò e sostituita lì vicino dall'arco del Pendino, posto al termine dell'omonima via (oggi non più esistente perché cancellata dalla nuova rete viaria del Risanamento) e demolito nel 1834. Proseguendo in direzione nord-est (lungo via Pietro Colletta, poi la scomparsa strada soprammuro all'Annunziata, poi lungo le tuttora esistenti via Annunziata e via Postica Maddalena) incontravamo un'altra torre, chiamata de illi romani, seguita poco dopo da la porta Furcillensis o dei Cannabari (o del Cannavaro) e infine la porta detta di Don Pietro, presso la zona dei Caserti. Superata questa, le mura si raccordavano con la fortezza di Capuana. Le mura normanne subiscono una manutenzione notevole, soprattutto per quanto riguarda la parte tecnica; il tutto fu a carico della corona. Il rafforzamento delle mura risulterà molto utile durante le minacce dell'Imperatore Enrico IV, che, alleato coi baroni della Terra del lavoro, cercò di espugnare Napoli; la città non cedette proprio grazie al recente consolidamento del sistema difensivo. La Napoli normanna, che durò circa un cinquantennio, ha lasciato poche testimonianze di sé, soprattutto per quanto riguarda i resti delle mura. Le mura angioine. In epoca angioina furono cospicui gli interventi militari applicati in città: fu necessario rafforzare e restaurare la cinta muraria ed applicare degli interventi di consolidamento ai castelli dell'Ovo e Capuano. La città che fu preferita a Palermo circa il ruolo di capitale del Regno di Sicilia, vide incrementare notevolmente la sua popolazione, pur rimanendo contenuta nella cinta muraria che insisteva sul tracciato di via Carbonara fino a Porta San Gennaro, risalendo poi Caponapoli, scendendo per via Costantinopoli e San Pietro a Maiella, lambendo il Mercatello, giungendo a Piazza del Gesù Nuovo e percorrendo via Monteoliveto fino alla Porta Petruccia. Da qui le mura proseguivano verso la torre maestra, per proseguire fino al borgo di Scalesia, a Sant'Agostino alla Zecca e infine viravano a sinistra per congiungersi sempre con Castel Capuano. Gli Angioini furono gli artefici anche di un importante allargamento delle mura a sud (la cosiddetta junctura civitatis) che inglobò la zona detta campo del moricino (o del muricino), il cui nome deriverebbe dal fatto che si trovava a ridosso delle mura estese in precedenza da Narsete oppure dalla presenza di Saraceni stanziatisi in quella zona. In ogni caso, il campo del Moricino diventò la piazza del Mercato della città. Le mura ora lambivano il mare e cingevano il porto di Arcina, risistemato proprio dagli Angioini. Carlo I d'Angiò eseguì vari interventi sulla cortina muraria: inglobò il borgo del Moricino che si trovava fuori Portanova, facendo partire le nuove mura dalla torre angula fino all'altezza della torre Ademaria e impose le nuove porte del Moricino e del Pendino. Carlo II d'Angiò nel 1268 provvide a spostare la porta Cumana presso l'attuale piazza del Gesù Nuovo, si congettura però il luogo preciso del suo posizionamento. Il re la fece ridecorare e per questo fu ridenominata porta Reale. Inoltre, visto che modificò il tracciato occidentale (fece costruire il bastione in cui sarà implementata port'Alba), tolse porta Donnorso che sorgeva presso il conservatorio di San Pietro a Majella e la sostituì con la porta di Sant'Antoniello, chiamata così perché sorgeva presso il monastero di Sant'Antonio detto popolarmente di Sant'Antoniello. Durante i regni di Roberto d'Angiò e Giovanna I di Napoli fu allungata la cortina sudorientale inglobando il nuovo mercato del Moricino; le nuove mura arrivavano fino al Lavinaio per poi risalire verso nord. Giovanna II di Napoli nel 1425 eresse nuove mura dalla dogana del sale fino al largo delle Corregge (via Medina) che proprio sotto gli angioini fu realizzato e circondato di edifici pubblici e palazzi nobiliari. Le mura aragonesi. Le costruzioni militari intraprese in epoca aragonese, regalarono alla città un sistema difensivo moderno e di tutto rispetto. Le mura e le torri furono portate più avanti rispetto alle impostazioni antecedenti; nel 1484 Ferrante d'Aragona promosse un ampliamento orientale della cortina difensiva: la città si presentava con un perimetro visibilmente allargato e provvisto di ventidue possenti torri cilindriche: partendo dal forte dello Sperone, al Carmine, proseguiva l'odierno corso Garibaldi combaciandosi con la nuova Porta Capuana (un progetto di Giuliano da Maiano); la cinta continuava ad estendersi sull'attuale via Cesare Rosaroll e circondava a nord San Giovanni a Carbonara; rivolta ad occidente, infine, si delineava a Porta San Gennaro, dunque con le antiche mura. Nel 1499 Federico d'Aragona inglobò nelle mura occidentali il territorio di Santa Marta che avrebbe avuto nel secolo successivo un notevolissimo boom edilizio. Le mura partivano da porta Reale, cingevano il monastero di Monteoliveto e percorrevano via Toledo, che sarà in seguito ottenuta colmando i fossati, fino ad arrivare a Castel Nuovo. Il progetto fu affidato ad Antonio di Giorgio da Settignano e fu compiuto entro il 1501. Porta Petruccia, costruita di fronte la chiesa di San Giuseppe Maggiore, all'inizio del largo delle Corregge nel XIII secolo (qui fu assassinato Andrea d'Isernia) fu così spostata presso i Cavalli di Bronzo, cioè nelle immediate vicinanze di Castel Nuovo. La porta allora fu denominata porta del Castello o di Santo Spirito per la vicinanza al convento di Santo Spirito, oggi non più esistente, che sorgeva presso l'attuale piazza del Plebiscito». http://it.wikipedia.org/wiki/Mura_di_Napoli#Le_mura_bizantine NAPOLI (palazzo Caracciolo di Avellino) Dal sito www.campaniartecard.it Dal sito www.exibart.com «Fra i vicoli segreti di Napoli un gioiello dell'architettura barocca che vide i Natali di Torquato Tasso, autore della celebre "Gerusalemme Liberata". All’altezza di via Anticaglia nel pieno “Centro Storico” della città di Napoli, vi sono i resti di “Palazzo Avellino”, situato al civico n. 4 dell’omonima piazza. La Famiglia Caracciolo d’Avellino ha origini e ramificazioni molto antiche, anche se le prime attestazioni si riferiscono a don Domizio Caracciolo (1508-† 31-12-1576), primo duca di Atripalda. Il patrizio napoletano, signore di Torchiarolo e governatore degli Abruzzi, volle creare un sontuoso palazzo nel pieno contesto della Napoli urbana. Nel luogo dove poi si svilupperanno le stanze di Palazzo Caracciolo già sorgeva l’antico Monastero di San Potito, abitato dalle Monache Benedettine. Il giovane Torquato visse solo quattro anni nel Palazzo Caracciolo di Avellino in quanto, negli anni successivi, trovò soggiorno in altri luoghi di Napoli. Il Palazzo sorse su edifici preesistenti. Nel corso del Cinquecento fu deciso che fosse assegnata a Porzia de Rossi, madre del Tasso, una dote di cinquemila scudi. Nacque, così una vertenza legale che durò quasi sino alla data della morte del poeta. Con questa sentenza si stabilì che il poeta, rinunciando ai suoi diritti, avrebbe percepito una rendita di cento scudi l’anno. Purtroppo il Tasso non incamerò mai questa cifra in quanto morì prima della data stabilita. Negli anni 1526-1616 il Palazzo fu ingrandito incorporandovi anche una ricca pinacoteca. Al termine dei lavori di restauro, Camillo Caracciolo fece realizzare una lapide posta nell’androne settentrionale del Palazzo, dove il Principe, dopo l’attività bellica prestata al seguito dei re spagnoli Filippo II e Filippo III, abbellì “l’avita dimora”. Il Palazzo Caracciolo di Avellino, dopo un periodo di abbandono, è stato in parte ristrutturato e, poiché oggi è abitato da un condominio, difficilmente conserva le tracce delle sue fasi storiche e anche dei presunti “restauri”. Della lapide che indicava il Tasso tra quanti vi avevano soggiornato (posta dal Comune il 22 aprile del 1895) vi è una indecifrabile traccia sulla facciata della Piazzetta.Bibliografia e Sitografia
http://www.napolicentrostorico.it/2013/12/01/le-mura-di-napoli.htmArticoli di approfondimento
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EPOCA
VI sec.
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